foto: ondanomala.org |
Johannersburg (Sudafrica), 10 giugno 2012 – Diecimila carati al mese, per un investimento di sei milioni di euro e la prospettiva di triplicare nel giro di poco tempo la quantità di diamanti importata.
È questo il nuovo business di cosa nostra, come spiega Riccardo Lo Verso sull'ultimo numero del mensile “S”. Tutto parte il 19 febbraio dello scorso anno, quando in un albergo della città sudafricana, quando sette uomini di diversa nazionalità si sono seduti al tavolo di un albergo per investire il loro denaro, che almeno in un caso – non conoscendo l'identità degli altri businessman – devono essere riciclati.
Antonino Messicati Vitale, uno degli uomini seduti al tavolo, è infatti boss di Villabate, latitante dalla fine del 2010. 40 anni, figlio di Pietro, condannato durante il maxiprocesso e successivamente ucciso in un agguato, ha percorso le orme del padre, comprensive di un decennio trascorso in carcere. È considerato un leader carismatico, tanto da essere invitato al summit organizzato a Bagheria il 12 marzo 2011, a due mesi dal meeting sudafricano.
Sarebbe lui, dicono gli inquirenti, uno degli uomini chiave del accordo che avrebbe dovuto aprire un nuovo canale nella via del traffico internazionale di pietre preziose. A provarlo ci sarebbe un contratto – di cui il mensile è in possesso – siglato durante quell'incontro, firmato da alcuni partner europei e dal Zimbabwe Group, o Zimbgroup.
Secondo le indagini, il gruppo sudafricano si farebbe rappresentare in Italia da Salvatore Ferrante, titolare in Sudafrica anche di fattorie ed allevamenti di bestiame insieme alla sorella Pina, alto dirigente dell'African Dune, multinazionale specializzata nella commercializzazione su vasta scala di pietre preziose. I due, inoltre, sono anche gli zii della madre di Messicati Vitale. Sarebbero, secondo gli inquirenti, il vettore attraverso il quale i diamanti avrebbero viaggiato tra Italia e continente africano, ed è molto probabile – data la parentela – che siano stati proprio loro ad ospitare Messicati Vitale in una terra che sta ormai diventando meta ambita per mafiosi in fuga (Vito Roberto Palazzolo insegna[1]).
Non è dato sapere se nell'incontro di Bagheria venne tirato in ballo anche il discorso dei diamanti, in quanto gli inquirenti non riuscirono a piazzare microspie all'interno del locale, anche se è ipotizzabile che Messicati Vitale sia diventato una sorta di “ministro delle Finanze” dei clan palermitani, o quantomeno di una parte di essi (quelli dei mandamenti di Pagliarelli, Porta Nuova e Bagheria). Tracce di questo nuovo business potrebbero arrivare dall'esame dei libri mastri trovati in possesso di Vincenzo Coniglio, parrucchiere di Corso Calatafimi e contabile della famiglia mafiosa di Porta Nuova, così da poter dare un'identità agli altri sei uomini seduti a quel tavolo nel febbraio 2011.
È questo il nuovo business di cosa nostra, come spiega Riccardo Lo Verso sull'ultimo numero del mensile “S”. Tutto parte il 19 febbraio dello scorso anno, quando in un albergo della città sudafricana, quando sette uomini di diversa nazionalità si sono seduti al tavolo di un albergo per investire il loro denaro, che almeno in un caso – non conoscendo l'identità degli altri businessman – devono essere riciclati.
Antonino Messicati Vitale, uno degli uomini seduti al tavolo, è infatti boss di Villabate, latitante dalla fine del 2010. 40 anni, figlio di Pietro, condannato durante il maxiprocesso e successivamente ucciso in un agguato, ha percorso le orme del padre, comprensive di un decennio trascorso in carcere. È considerato un leader carismatico, tanto da essere invitato al summit organizzato a Bagheria il 12 marzo 2011, a due mesi dal meeting sudafricano.
Sarebbe lui, dicono gli inquirenti, uno degli uomini chiave del accordo che avrebbe dovuto aprire un nuovo canale nella via del traffico internazionale di pietre preziose. A provarlo ci sarebbe un contratto – di cui il mensile è in possesso – siglato durante quell'incontro, firmato da alcuni partner europei e dal Zimbabwe Group, o Zimbgroup.
Secondo le indagini, il gruppo sudafricano si farebbe rappresentare in Italia da Salvatore Ferrante, titolare in Sudafrica anche di fattorie ed allevamenti di bestiame insieme alla sorella Pina, alto dirigente dell'African Dune, multinazionale specializzata nella commercializzazione su vasta scala di pietre preziose. I due, inoltre, sono anche gli zii della madre di Messicati Vitale. Sarebbero, secondo gli inquirenti, il vettore attraverso il quale i diamanti avrebbero viaggiato tra Italia e continente africano, ed è molto probabile – data la parentela – che siano stati proprio loro ad ospitare Messicati Vitale in una terra che sta ormai diventando meta ambita per mafiosi in fuga (Vito Roberto Palazzolo insegna[1]).
Non è dato sapere se nell'incontro di Bagheria venne tirato in ballo anche il discorso dei diamanti, in quanto gli inquirenti non riuscirono a piazzare microspie all'interno del locale, anche se è ipotizzabile che Messicati Vitale sia diventato una sorta di “ministro delle Finanze” dei clan palermitani, o quantomeno di una parte di essi (quelli dei mandamenti di Pagliarelli, Porta Nuova e Bagheria). Tracce di questo nuovo business potrebbero arrivare dall'esame dei libri mastri trovati in possesso di Vincenzo Coniglio, parrucchiere di Corso Calatafimi e contabile della famiglia mafiosa di Porta Nuova, così da poter dare un'identità agli altri sei uomini seduti a quel tavolo nel febbraio 2011.
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