1) Volete che venga abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti?Questi erano i tre quesiti a cui l'8 novembre 1987 gli italiani furono chiamati a rispondere per decidere se il paese dovesse continuare a fare uso del nucleare. O, per meglio dire, non dovesse più far uso di un nucleare “di produzione propria”.
2) Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone?
3) Volete che venga abrogata la norma che consente all’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all'estero?
A ventiquattro anni di distanza, precisamente il 12 e 13 giugno prossimi, il popolo sarà chiamato ad esprimersi proprio su quella decisione. In base all'andamento del voto referendario – dove, come al solito, bisognerà “dire sì se si vuol dire no” parafrasando Gaber – sapremo se l'Italia tornerà a far parte dei paesi produttori di energia nucleare o continuerà solo ad acquistarla. Ma sarà davvero la volontà del popolo a decidere?
Che si riparli dell'argomento – a distanza quasi di una generazione – è un bene, e personalmente credo sia ancor più importante che si ridiscutano quelle decisioni, alla luce dell'importanza che il settore energetico ricopre per il nostro paese.
Quel che non mi piace è che, come al solito, ci si sia immediatamente trincerati dietro l'appartenenza ad una delle due “tifoserie” - cioè quelle dei pro-nuclearidi o dei contrari – mettendo all'indice chi tra intellettuali ed addetti ai lavori si schierava in maniera socialmente non desiderabile. Abbiamo perso un'occasione. Peccato.
Abbiamo perso l'occasione di ricominciare a ragionare come una democrazia “normale”, una democrazia nella quale le decisioni vengono prese dopo attenta ed onesta discussione e non per l'atto di forza di questo o quel centro di potere. L'occasione più grande che ci siamo lasciati sfuggire comunque è un'altra, e riguarda i nostri rapporti di forza geo-politica futuri, rapporti nei quali la voce “energia” ricopre un ruolo sempre più decisivo nella definizione degli equilibri in campo. Si pensi ai “giochi petroliferi” nel Mediterraneo di cui Señor Babylon si è occupato qualche settimana fa (post del 25 febbraio: “Giochi nel Mediterrano”. http://senorbabylon.blogspot.com/2011/02/giochi-nel-mediterraneo.html).
Mentre la Germania fermava sette centrali (su diciassette) per controlli, mentre l'Austria decideva di rimettere in discussione l'intero programma energetico e mentre la Svizzera sospendeva la costruzione di nuove centrali, l'Italia si ergeva nuovamente a patria dell'isterismo politico (che d'altronde ci contraddistingue) grazie al quale ogni tentativo di discussione – che perori l'una o l'altra causa – viene tacciata o di sciacallaggio o di appartenenza a qualche centro di potere (in certi casi invocati a sproposito).
Ha fatto scalpore, ad esempio, la notizia che Margherita Hack si sia schierata a favore del nucleare, adducendo – dalle colonne del quotidiano Il Riformista – che quelle verso il nucleare e verso gli organismi geneticamente modificati (gli Ogm, per intendersi) sarebbero delle paure irrazionali, anche da un punto di vista scientifico.
Sarà venuto un mezzo infarto alla sinistra una volta definita “estrema” e “antagonista” (persa oggi nei meandri di non si sa bene quale accozzaglia a fini elettorali), che da tempo ormai aveva innalzato l'astrofisica a “luminare” avendo come principale argomento comune l'anti-berlusconismo, dando evidentemente per scontato che una persona notoriamente appartenente all'area “di sinistra” possa avere idee difformi dall'idem sentire di quella specifica parte politica.
È interessante notare come lo stesso trattamento di ripulsa – ad esempio – non viene destinato ad un altro dei “leader” di quell'area politica (Nichi Vendola) al quale viene permesso di fare accordi con il gruppo Marcegaglia per gli inceneritori o di lasciare che l'acqua pugliese sia ancora in mano privata, tanto da costringere Beppe Grillo a dedicargli qualche riga non certo di encomio
Le scuse stanno a zero e con il suo linguaggio tra il pretesco e il barocco, talvolta supercazzolaro, Nichi nega per ammettere e ammette per negare. (…) Ci sono tre tipi di persone. Chi fa i fatti e non lo dice. Chi fa i fatti e lo dice. Chi dice e si fa i fatti suoi. Vendola appartiene alla terza categoria.Eppure, mentre scrivo, il sito del movimento che fa capo a Vendola continua a portare la dicitura “Sinistra Ecologia Libertà”.
(il resto del post potete leggerlo qui: http://www.beppegrillo.it/2011/02/supervendola/index.html).
Esiste forse un parametro di riferimento con il quale l'elettore medio permette ad un politico – dai più indicato come il “messia” che risolleverà le sorti della Sinistra – di professare una cosa e attuarne un'altra e nell'altro caso non si accetta che chi si è sempre schierato da quella parte, senza peraltro avere alcun obbligo se non quelli legati ad un paio di elezioni, possa far uso di quella libertà di pensiero – e dunque di opinione – spesso invocata (o forse sarebbe meglio dire oltraggiata?) da chi si definisce “di sinistra”?
Non è importante quel che pensa la Hack – o quel che può pensare Chicco Testa, ad esempio, altro “convertito” sulla via di Damasco. La cosa importante è che, dall'altro lato, si faccia una capillare opera di informazione – anzi, di contro-informazione – affinché i cittadini possano scegliere in totale autonomia di pensiero se schierarsi pro o contro il ritorno al nucleare. Ma la sinistra che si affida ai “santoni” (Travaglio, Saviano, lo stesso Grillo) è ancora in grado di fare un'operazione di questo tipo? O forse il problema è proprio che – a parte Celentano e qualcun altro – per il “lavoro sporco” d'informazione questa volta non ci si può affidare a nessun “guru”, e dunque non esiste alcun sito, link o dossier al quale taggarsi?
Trovo invece molto interessante la riflessione che fa Bruno Manfellotto su L'Espresso del 24 marzo (l'articolo è “Tra incubi nucleari e baciamano”: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/tra-incubi-e-baciamano/2147166):
Che queste centrali non si possano dire sicure al cento per cento è ovvio. Ma con l'aggravante che un incidente atomico può avere sull'ambiente conseguenze irreversibili che un impianto tradizionale certo non ha. Ma con altrettanta certezza si può affermare che la maggior parte degli incidenti più gravi, pochi in verità, siano riconducibili a una colpa dell'uomo più che del sistema: a Three Mile Island l'avaria non fu segnalata in tempo; a Chernobyl si manifestò in tutta la sua infondatezza l'arrogante sicumera sovietica; a Fukushima è andato in tilt un impianto nato nel 1971 che il governo avrebbe dovuto chiudere da tempo.Insomma: il problema non è se esista o meno un nucleare “sicuro”. Il problema è che, sicuramente, il nucleare finirà in mano ai politici. Ed è di questo che bisogna avere più paura, in particolare se la classe politica a cui ci riferiamo è quella che riguarda il nostro paese. Illuminante in tal senso è il paragone che fa il senatore del Pd Ignazio Marino – uno dei rarissimi barlumi di speranza nell'attuale scenario politico-partitico – che si chiede, in merito al problema dello smaltimento delle scorie nucleari: «(...)se non si riesce a risolvere il problema della costruzione di un inceneritore per bruciare l'immondizia, come riusciremo a sistemare queste grandissime quantità di scorie nucleari che nessuno al mondo sa ancora smaltire?»
Ed è proprio la sfiducia nell'uomo più che nella macchina che suggerisce pessimismo e l'invito ad adottare tutte le garanzie di sicurezza – e non solo in Italia: siamo circondati da impianti nucleari – prima di lanciarsi in un'avventura che potrebbe essere senza ritorno.
In attesa di arrivare ad una risposta, è bene riprendere la domanda lasciata in sospeso ad inizio post: sarà davvero la volotnà del popolo a decidere l'esito del referendum? Per dirla in altri termini: il governo ha deciso di sua sponte di riaprire l'affaire nucleare – mai realmente chiuso – o ci sono degli interessi “esterni” in gioco?
French connection
Nonostante una classe dirigente non certo all'altezza del paese che sono chiamati a rappresentare (ma questo – direbbe qualcuno – dipende anche dall'humus nel quale si è costretti a pescare), l'Italia è un paese strategico per gli equilibri mondiali data anche la sua posizione geografica.
Ce lo hanno raccontato tante volte i libri di storia e le inchieste giudiziarie e giornalistiche su alcune di quelle vicende che – a partire dagli anni Settanta – entrano a far parte di quell'ampio dossier dei “misteri d'Italia”.
E poi lo sappiamo: non esiste un paese – tra i paesi che non fanno parte delle grandi potenze – che possa decidere le proprie politiche in completa autonomia. E l'Italia non sfugge di certo.
I vecchi contendenti di quegli anni ci sono ancora. Quaranta anni fa gli Stati Uniti facevano pressioni sull'Italia per evitare che questa – attraverso il Partito Comunista Italiano, passato alla storia come il più grande e potente partito comunista dell'Europa occidentale - potesse iniziare a rispondere a Mosca piuttosto che a Roma.
Oggi la direttrice Roma-Mosca sembra ancora più corta, dati sia i rapporti personali tra Berlusconi e Putin che quelli economici tra Eni ed il “Ministero degli Esteri” russo Gazprom.
«È uno scherzo, è solo propaganda. Non è importante». A dirlo è Sergio Garribba, Consigliere per l'energia dell'ex Ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, di cui è considerato uno degli uomini più fidati. Anche gli Stati Uniti si fidano di Garribba, che infatti viene considerato “uno stretto contatto” dell'ambasciata. Anche questo incide sulla decisione americana di scendere in campo in quella che sempre più assume i crismi di una vera e propria guerra della diplomazia nucleare.
Da una parte gli U.S.A., dall'altra i “soliti” russi. Esattamente come negli anni Settanta. Con un'unica – sostanziale – differenza: la Francia.
Sono propri i francesi, infatti, a rischiare di vincere la partita nucleare sul suolo italiano. Una partita che si gioca su sei centrali – le famose centrali di nuova generazione che vorrebbero costruire su suolo italiano - per un costo di quattro miliardi di dollari cadauna. Una torta da ventiquattro miliardi della quale gli statunitensi pretendono la loro fetta. Acquisendola, peraltro, questi ultimi avrebbero anche un altro vantaggio: allontanare l'Italia dalla Russia e dal suo gas, depotenziando – de facto – la principale arma geopolitica di Putin e soci.
Il colosso Areva – quasi monopolista europeo nel settore – per la Francia ed il duo Westinghouse-General Electric per gli americani. Sono questi i giocatori che, a partire dal 2008, si interessano al nucleare italiano. I russi, in tutta la vicenda, sembrano avere un ruolo marginale se non addirittura non avere interesse nel dibattito nucleare.
Nel febbraio 2009 la partita sembra essere chiusa: l'Italia firma con i francesi il contratto per la costruzione di quattro reattori Epr (European Pressurised Reactor, i famosi “reattori di terza generazione”) entro il 2020. Il progetto italiano – lo abbiamo visto in precedenza – parla di sei centrali, per cui ne mancano all'appello due. E sono gli americani a volersele accaparrare. Per questo a maggio il Presidente americano Obama manda in Italia Steven Chu, Segretario all'Energia (eletto all'unanimità nel gennaio 2009), che arriva ben sapendo che la situazione che potrebbe trovarsi davanti non è delle più nitide. Gli americani infatti sospettano che la forte pressione esercitata dai francesi comprenda anche pagamenti illeciti a funzionari del nostro apparato governativo. Lo sospettano e lo fanno dire a Wikileaks, che difatti rilancia il dispaccio.
Il ricatto
È interessante leggere i “cable” di Wikileaks. Molti – solitamente quelli che trovano più spazio sui media nazionali – contengono molto “gossip” (come quelli che riguardavano i giudizi sul nostro apparato governativo, non certo stupefacenti), altri hanno contenuti decisamente più interessanti.
Come quello che riguarda l'affaire Megaporti – cable del 20 maggio 2009, codice 09ROME558, classificato da Elizabeth Dibble, incaricata d'affari per gli U.S.A. a Roma – nel quale gli americani pongono l'attenzione sul porto di Gioia Tauro, dal quale potrebbe partire materiale nucleare clandestino utile a colpire il territorio americano (la famosa “bomba sporca” di cui si parlava nell'immediato post-09/11) per la “disponibilità” di alcuni funzionari doganali “a guardare dall'altra parte mentre si compiono illegalità”.
Proprio per scongiurare l'evenienza di un attentato nucleare, per gli Stati Uniti è di fondamentale importanza che il nostro paese venga inserito nel “progetto Megaporti”.
Con i porti, particolarmente quelli dell'Italia meridionale, sotto l'influenza del crimine organizzato, è particolarmente importante che l'Italia sia inclusa nel progetto Megaporti del Dipartimento dell'Energia. I porti italiani spediscono grandi quantità di container negli Stati Uniti e alcuni porti italiani sono centri principali di trasbordo. (…) Il governo USA, in passato, ha cercato due volte di lanciare i Megaporti in Italia: in entrambi i casi i nostri sforzi sono stati ostacolati dalla burocrazia italiana. Il governo italiano ha mostrato scarso entusiasmo per il progetto e ha costantemente evitato di nominare una “persona di riferimento“ di livello elevato per la realizzazione. (…) Siamo pronti a esercitare un'ulteriore pressione del governo USA. Al fine di evitare insidie che hanno ucciso i nostri tentativi precedenti, stiamo cercando di guadagnarci in anticipo gli alti livelli del governo italiano. Vogliamo che il governo italiano, ai livelli massimi, si impegni nella realizzazione dei Megaporti e designi formalmente un ministro del governo italiano che sia responsabile della realizzazione. (…) i Megaporti rappresentano un'occasione importante per l'Italia di fare qualcosa di concreto a sostegno degli sforzi del Presidente Obama di proteggere il mondo dal terrorismo nucleare(…) senza i Megaporti i porti italiani potrebbero perdere lavoro a favore di altri porti europei concorrenti che attualmente stanno realizzando i Megaporti. Perchè il governo Berlusconi prenda questo problema sul serio, dirigenti italiani chiave devono sentire questo da Washington, in particolare da Lei.è quanto scrive la Dibble a Chu.
Insomma: o diamo una mano agli americani nella loro “guerra al terrorismo nucleare” o potremmo subirne serie ripercussioni economiche con lo spostamento dei loro affari marittimi dai nostri ad altri porti europei. Se non è un ricatto poco ci manca...
Giochi di potere
La “persona di riferimento di livello elevato” con cui vorrebbero dialogare gli americani la trovano: Claudio Scajola, l'uomo delle “case a sua insaputa” che a breve, forse anche per le sue amicizie “pesanti”, rientrerà dalla porta principale della politica nazionale ed internazionale.
Fin dal viaggio in Italia del maggio 2009 a Steven Chu viene affidato il compito di “conquistare” il “superministro”, invitato nel settembre successivo a ricambiare la visita volando negli States.
Nel suo soggiorno a stelle e strisce Scajola visita anche gli stabilimenti della Westinghouse, una delle due aziende americane interessate ai “lucrativi contratti” di un eventuale nuovo mercato nucleare. La società statunitense, peraltro, ha un asso nella manica: l'Ansaldo Nucleare (Finmeccanica) con cui è in stretti rapporti.
Scriverà l'ambasciatore David Thorne in merito: «Noi abbiamo saputo che Scajola ha un'altra ragione per appoggiare il coinvolgimento delle aziende statunitensi. L'accordo con la Francia ha tagliato fuori dai contratti le società italiane che vogliono contribuire a costruire le centrali. Una di queste, Ansaldo Nucleare, ha sede nella regione di Scajola: la Liguria. E così, se Westinghouse ottiene la sua parte, Ansaldo – azienda della terra di Scajola – ne beneficia. Noi abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile nel nostro sostegno alle aziende Usa. Se Scajola ha anche un interesse locale nel cercare di fare in modo che le ditte americane ottengano commesse, questo è un vantaggio da cogliere e da massimizzare a beneficio degli Stati Uniti».
La saldatura tra interessi italiani e americani viene registrato con il passaggio del 45% di Ansaldo Energia – di cui il ramo nucleare è una delle controllate – alla First Reserve Corporation, fondo di investimento americano specializzato nel settore energetico. Costo dell'operazione: 1.200 milioni di euro. E questo è solo il livello più superficiale degli interessi americani nel nucleare italiano.
Siamo stati capaci di convincere il governo italiano a cambiare una bozza della legislazione sul nucleare che avrebbe lasciato l'approvazione dei certificati per le nuove centrali agli altri governi europei. La nuova versione estende la certificazione a qualsiasi paese Ocse. Questo apre la porta alle aziende americane.«In pratica» - scrive l'Espresso in merito - «si passa dagli standard di sicurezza dell'Unione europea a quelli di qualunque membro dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, che comprende 34 nazioni inclusi Giappone, Australia e Usa».
A tutto questo, peraltro, va aggiunto quel sottile gioco – tutto politico – delle nomine nelle grandi aziende nazionali e tra le seconde e terze file di Ministeri, commissioni e agenzie.
Ed è proprio al dipartimento Energia del Ministero (ed alla nomina per la sua direzione in particolare) che guardano da Washington. I contendenti sono due: da un lato il già citato Garribba - lo“stretto collaboratore dell'ambasciata” americana che, dunque, ne appoggia la candidatura – dall'altro Guido Bortoni, che ha il difetto di aver lavorato per un decennio all'Enel (in accordo con i francesi) la cui eventuale vittoria potrebbe mettere la parola fine alle velleità economiche americane nel nucleare tricolore. Quando la scelta ricade proprio su quest'ultimo, gli americani devono trovare un “piano b”: Francesco Mazzucca, presidente dell'Ansaldo Nucleare, che si fa portavoce della candidatura alla guida dell'Agenzia di sicurezza nucleare del professor Maurizio Cumo, ex presidente Sogin S.p.A. (Società Gestione Impianti Nucleari), in ottimi rapporti con Gianni Letta e – cosa ancor più importante – favorevole all'uso della tecnologia nucleare americana. Mazzucca non riuscirà nel suo intento – l'Agenzia è stata infatti affidata, non senza polemiche, a Umberto Veronesi – ma Cumo entra comunque a far parte dei cinque membri dell'Agenzia.
In tutto questo, naturalmente, l'attuale opposizione non sta certo a guardare.
Oltre ad avere evidenti problemi con il settore comunicazione, l'attuale segretario del Partito Democratico deve avere anche pessimi rapporti con la memoria, dato che ai tempi in cui era Ministro dello Sviluppo Economico del governo Prodi II non era esattamente uno dei maggiori nemici dell'atomo. Tra i suoi atti ministeriali, infatti, spicca l'accordo sul GNEP, acronimo che sta per Global Nuclear Energy Plan (Partnership Globale sull'Energia Nucleare) che, come facilmente intuibile dal nome, non è certo un accordo per lo sviluppo dell'energia rinnovabile. «L'Italia non è fuori dalla produzione di energia nucleare, l'ha solo sospesa» e «carbone pulito e nucleare probabilmente giocheranno un ruolo importante nell'assicurare i bisogni del futuro» sono le dichiarazioni tramandate ai posteri.
Che ci creda davvero o che tale apertura al nucleare sia fatta solo in seno ai rapporti con i centri di potere – nazionali ed internazionali – che spingono per il ritorno all'atomo in Italia non ci è dato comunque sapere.
Ho chiesto io stesso...
Ma torniamo alle forze di governo.
Perché se gli americani nutrono forti simpatie verso Scajola ed alcuni dei suoi uomini, stessa sorte – almeno in campo nucleare – sembra non avere Gianni Letta, il quale si rivolge all'ambasciatore Ronald Spogli per un problema relativo allo smaltimento delle scorie della Trisaia, centro nucleare della Basilicata: non si riesce a trovare un impianto che abbia le tecnologie per trattare 64 (sessantaquattro) barre di combustibile frutto di un programma sperimentale italo-statunitense chiuso circa quattro decadi fa. La risposta di Spogli – che si espone in prima persona con l'allora amministrazione Bush – è lapidaria: «Purtroppo il dipartimento per l'Energia non può accettare il materiale».
Insomma: arrangiatevi.
Arrivati a questo punto è dunque evidente quale sia la risposta alla domanda di apertura: sarà davvero la volontà del popolo a decidere?