Amianto, metalli pesanti, PCB, rifiuti organici. Sono alcuni dei materiali tossici contenuti nelle navi che alcune compagnie marittime europee mandano allo smantellamento sulle coste di paesi come l'India, il Bangladesh o il Pakistan.
A denunciarlo, pubblicando la lista di navi e compagnie è la NGO Shipbreaking Platform, una coalizione che si occupa di ambiente, diritti umani e diritti dei lavoratori e che lotta contro questo modo di rottamare le navi.
Nessun paese sviluppato, dicono dall'organizzazione, consentirebbe di smantellare le navi sulle sue spiagge. Dalla sola Europa arriva circa il 40% delle navi che vengono smantellate sulle coste dell'Asia Meridionale, diventata uno degli snodi nevralgici di questo tipo di traffico per i bassissimi standard ambientali e nella sicurezza sul lavoro rispetto all'Europa.
I costi non sostenuti per le tecnologie, la formazione professionale e la tracciabilità delle navi contribuiscono agli alti profitti generati dallo smantellamento illegale, realizzato attraverso lo sfruttamento di lavoratori - spesso migranti e bambini - senza alcuna forma di protezione dalle sostanze tossiche, tanto che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la rottamazione delle navi uno dei lavori più pericolosi al mondo.
Una diversa declinazione dell'etica su cui si basa lo smaltimento dei rifiuti tossici. Così come accade per i rifiuti infatti, anche per le navi i costi di smaltimento sono imparagonabili. Secondo un'inchiesta realizzata da Luigi Pelazza per le Iene smaltire queste legalmente costerebbe in Italia circa 500.000 euro, lo smaltimento illegale costa invece solo 300 dollari
A guidare la classifica dei "global dumpers" le società greche Danaos ed Euroseas e le tedesche Conti, Hapag-Lloyd e Leonhardt&Blumberg, che hanno inviato alla rottamazione illegale circa l'80% delle loro navi. Altre società - l'ong fa il nome della danese Maersk, la più importante società proprietaria di navi cargo al mondo - utilizzerebbero cavilli come i contratti di noleggio (chárter) per aggirare le responsabilità.
Anche l'Italia - nella lista compaiono società come Ignazio Messina, Tirrenia Compagnia Italiana di Navigazione o Augusta Offshore Spa - è coinvolta nel traffico, con 27 navi inviate verso l'Asia meridionale nel 2012.
A dicembre l'Europa ha pubblicato sulla gazzetta ufficiale un nuovo regolamento sulla rottamazione, che però non si applica a navi battenti bandiere ombra come quelle del Comoros, di Tuvalu, Togo, Liberia o Panama. Circa due terzi delle navi europee rottamate, si legge nel comunicato stampa della NGO, non aveva bandiera di uno Stato membro. Insieme all'organizzazione, peraltro, il Parlamento europeo sta lavorando ad un meccanismo finanziario - un fondo finanziato dai canoni pagati dagli armatori, un'assicurazione o un conto di risparmio - che aiuterebbe le società armatrici ad internalizzare i costi di smaltimento dei materiali pericolosi presenti nelle navi.
Ma gli accordi ufficiali, come evidenzia la questione delle bandiere di comodo, possono essere ignorati. È il caso della Cina, altra importante destinazione per le navi europee da rottamare, che con l'UE è tra i paesi firmatari della Convenzione di Basilea del 1989, che vieta qualsiasi movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi tra paesi OCSE e non-OCSE. Almeno sulla carta.
(foto: greenreport.it)