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Milano - Potrebbe essere una fotocopia a far cadere il nome Ligresti dalla torre del potere italiano. La fotocopia di un accordo segreto per la buonuscita della famiglia tra Salvatore Ligresti e Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca è infatti al centro delle indagini della procura milanese, che ha nei giorni scorsi indagato i due per ostacolo alle autorità di vigilanza in relazione all'operazione Unipol-Fonsai, la cui fusione darebbe vita al primo operatore italiano nel campo assicurativo – in particolare Rc auto – con una fetta del 30% del mercato coperta dal gruppo, le cui quote sarebbero più che doppie rispetto al secondo operatore, stando a quanto sostiene Altroconsumo[1].
Oltre al documento segreto, gli inquirenti stanno tentando di capire se Ligresti abbia realmente manipolato il titolo della Permafin – la holding di famiglia – attraverso due società fiduciarie con sede alle Bahamas tra cui la Heritage Trust, nel cui capitale sociale è presente al 12% Giancarlo De Filippo, presidente de La Minoritaria Holding Investment, controllata dall'altra società lussemburghese direttamente riconducibile a Salvatore Ligresti, la Starlife SA.
Terzo filone dell'inchiesta è poi quello legato al crac di Sinergia ed Im.Co., società grazie alle quali Ligresti si muove all'interno della holding e dei suoi affari.
Per capire però come si è arrivati a questo punto, è interessante partire dalle origini, raccontando come si è sviluppato il potere di una delle famiglie che negli ultimi decenni si è potuta sedere nel salotto buono del potere senza imbarazzo alcuno.
Ascesa, declino e rinascita di un patriarca. Nato nel 1932 a Paternò, Catania, si trasferisce prima a Padova, dove si laurea in ingegneria e poi a Milano. Perché se Roma è la capitale politica, Milano è la capitale finanziaria, quella dove girano i soldi veri. Allora come oggi.
È qui che Salvatore Ligresti conosce il “gruppo dei paternesi”, Michelangelo Virgillito, passato dalla vendita di materiali ferrosi a cavallo delle due guerre alle scalate finanziarie, come quella - non riuscita - alla Pirelli o alla Lanerossi, che riesce ad avere grazie all'aiuto dell'avvocato e senatore missino Antonino La Russa (padre dell'ex ministro della Difesa Ignazio). Del gruppo fa parte anche il ragioniere calabrese Raffaele Ursini, di fatto il “delfino” di Virgillito.
Attraverso questo gruppo, in particolare attraverso La Russa, a Ligresti sarebbero state spalancate le porte della finanza e del potere che conta, come quello che in quegli anni è in mano al banchiere Enrico Cuccia, che all'ingegnere paternese aprirà le porte di uno dei pilastri della finanza italiana: Mediobanca.
I tre – Virgillito, Ursini e Ligresti – si passano la proprietà della Liquigas, leader nel settore della distribuzione del Gpl. Negli anni Sessanta questa passerà ad Ursini, quando ormai la parabola di Virgillito è avviata ad una discesa. In quegli anni l'azienda riesce ad acquistare la compagnia di assicurazione SAI dalla famiglia Agnelli. Ad occuparsi dell'operazione è Antonino La Russa.
Dieci anni dopo, coperta dai debiti derivanti dalla crisi del settore chimico italiano, Ursini cederà la Liquigas all'Ente Nazionale Idrocarburi e la Sai a Salvatore Ligresti prima di fuggire in Sud America a seguito della condanna per falso in bilancio. La vicenda avrà anche un seguito nel 1989, quando Ursini tornerà in Italia per far valere una clausola segreta prevista secondo la quale il passaggio di proprietà avrebbe dovuto essere solo una vendita simulata. Ligresti ed il Tribunale dettero però parere differente.
È così che inizia la carriera di quello che diventerà uno degli immobiliaristi più facoltosi, entrando a far parte della lista degli uomini più ricchi d'Italia. Siamo negli anni Ottanta, gli anni della “Milano da bere” e del potere della corrente craxiana del Partito Socialista. Sono, questi, gli anni nei quali Ligresti diventa “Mister cinque per cento”, acquistando quote azionarie della Pirelli (5,4%), della Cir di Carlo De Benedetti (5,2%), dell'Italmobiliare di Giampiero Pesenti e della Agricola Finanziaria (3,7%) facente parte del gruppo Ferruzzi gestita all'epoca da Raul Gardini.
Nonostante partecipazioni percentualmente basse, Ligresti riesce comunque a controllare aziende e società, anche grazie al modo in cui struttura il suo sistema di potere, basato su una holding piramidale, la Premafin Finanziaria Spa gestita de facto a conduzione familiare, essendo presenti tutti e tre i suoi figli attraverso tre società lussemburghesi: la Canoe Securities SA gestita da Giulia Maria, la Limbo Invest SA gestita da Gioacchino Paolo e la Hike Securities SA di Jonella Ligresti[2].
A queste vanno aggiunte poi la Compagnia Fiduciaria Nazionale Spa, alla quale sono intestate tutte le quote della holding e la Starlife SA – anch'essa battente bandiera lussemburghese – che controlla circa il 17,6% della Permafin attraverso Sinergia Holding di Partecipazioni Spa (10,112%) e, tramite questa, Im.Co. Spa (acronimo di Immobiliare Costruzioni, le cui quote in testa a Salvatore Ligresti rappresentano il 7,5% del totale). Insieme, Starlife ed Im.Co. detengono il 20% di Premafin che, aggiunto al 31% posseduto dai tre figli, permette alla famiglia di possedere il 51% della Premafin.
Il triangolo del potere italiano, però, oltre a soldi e potere, vede il terzo angolo dipanarsi tra le aule di tribunale, dove Ligresti senior entra spesso, come nel 2008 – quando viene indagato dalla Procura di Firenze per corruzione[3] – o come nel 1992, quando all'aula di tribunale segue la cella di un carcere dove sconterà, dopo aver patteggiato, due anni e quattro mesi nell'ambito dell'inchiesta su Tangentopoli, di cui Ligresti «è considerato un personaggio di primo piano»[4]. Sarà grazie a lui che gli inquirenti riusciranno ad arrivare al coinvolgimento di Bettino Craxi nell'operazione, dando così il via alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.
A questo punto – alle soglie del nuovo millennio – entra in scena Mediobanca, che permette al gruppo Ligresti di acquistare attraverso la SAI il 6,7% della compagnia d'assicurazione Fondiaria, fino a quel momento nell'orbita Montedison. Il patto – utile anche per bloccare l'offerta pubblica d'acquisto fatta dalla Fiat-Edf su Montedison – prevede una seconda fase nella quale Ligresti si è impegnato a rilevare un ulteriore 22,2% della società.
A bloccare il tutto ci pensa la Consob, la quale stabilisce come condizione imprescindibile per l'operazione che l'Opa sia lanciata sull'intero capitale. Ligresti si rivolge così ad una serie di banche, cioè JP Morgan Chase, Interbanca, Mittel e Commerzbank. È quest'ultima che, acquistando il pacchetto di Fondiaria poi girato alla Sai, permetterà materialmente la nascita del gruppo Fondiaria-SAI[5].
Ligresti torna così ad essere un nome di peso nel “salotto buono” della nostra economia, dove gli interessi del gruppo sono ormai disseminati su tutto il territorio nazionale, nonché in quello della nostra finanza, entrando attraverso Premafin in Rcs MediaGroup, società editrice del Corriere della Sera e del free-press City, nel quale è già presente Jonella Ligresti. Anche in questo caso la quota partecipativa si aggira intorno al 5% ma, come negli altri casi, Ligresti senior entra nel patto di sindacato, riuscendo così a controllare il gruppo.
Premafin, la scatola cinese. Torniamo però al vertice della piramide, alla Premafin. In realtà un vertice farlocco utilizzato esclusivamente come contenitore delle azioni delle assicurazioni Fon-Sai, presenti nel portfolio della capogruppo per una percentuale compresa tra il 36 ed il 38% delle quote societarie ma che è in testa ai Ligresti solo per il 18%, con il restante 82% in mano a piccoli azionisti che, come tali, non hanno alcun potere reale. La compagnia assicurativa possiede poi il 63% di Milano Assicurazioni, che vede nel proprio capitale azionario anche l'intervento diretto dei Ligresti con una quota di capitale sociale attestata al 12%.
Della holding fanno inoltre parte Rizzoli-Corriere della Sera (di cui Premafin possiede il 5,5% del capitale); Pirelli (5%), Gemina (4,2%), Mediobanca (3,9%), Assicurazioni Generali (1%); Montepaschi (0,4%) e Unicredit (0,3%). Premafin è poi presente in Immobiliare Lombarda e dal 2005, attraverso la Igli – di cui fanno parte anche il gruppo Benetton e i Gavio, con quote fissate ciascuno al 33,3% - di Impregilo.
Anche i ricchi piangono. Dietro a tutte queste percentuali, che fanno del gruppo Ligresti uno dei gruppi più influenti nel nostro sistema di potere politico-economico, si nasconde però il rovescio della medaglia, che per Premafin significa una montagna di debiti derivanti dalla crisi economica, che si traduce in crediti esigibili da parte delle banche, in particolare Unicredit, Banca Intesa e Mediobanca, di cui proprio Ligresti è azionista. In merito a quest'ultima, si stima che i crediti esigibili siano definibili in circa un miliardo e cinquanta milioni di euro che però, essendo subordinati, andrebbero in fumo in caso di fallimento del gruppo.
Si capisce bene, dunque, perché sia proprio Mediobanca a tentare in tutti i modi di salvare il gruppo, con l'entrata nel gruppo Premafin-Fonsai della rossa Unipol, che con un versamento di 400 milioni sulla capogruppo Premafin detiene ora l'81% del capitale di Premafin – relegando così i Ligresti ad una quota di minoranza che ha nettamente depauperato il potere reale della famiglia – ed ha esercitato diritti sul 35% di azioni FonSai.
I pm nel salotto buono. È in questo contesto, dunque, che entra in scena Luigi Orsi, sostituto procuratore titolare dell'inchiesta, al quale tocca il compito di capire se esista un patto segreto firmato da Salvatore Ligresti ed Alberto Nagel con il quale alla famiglia Ligresti una buonuscita di 45 milioni di euro più «ufficio con segretaria e vettura con autista per papà Salvatore, un pacco di soldi per Jonella, uno stipendio sicuro e sontuoso per Giulia e Paolo», come scriveva Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano qualche giorno fa[6]. Una buonuscita che, però, farebbe automaticamente saltare l'intera operazione, in quanto la Consob ha fissato un unico “paletto”: niente trattamenti di favore per nessuno, neanche se questi si chiamano Ligresti.
Ma il patto c'è. O almeno così racconta ad Orsi Salvatore Ligresti, che lo avrebbe firmato con Nagel davanti all'avvocato Cristina Rossello, segretario del patto di sindacato di Mediobanca alla quale è affidata anche la causa di separazione di Silvio Berlusconi, del quale cura gli interessi legali insieme a Ghedini. L'avvocato consegna agli inquirenti un contratto privo di firme, ma viene “pizzicata” da Jonella Ligresti, che si presenta nel suo ufficio munita di microfono nascosto, registrando chiari riferimenti ad un contratto che invece le firme le ha, motivo per il quale l'avvocato viene interrogata per quattro ore in aggiunta alla dissociazione di Mediobanca, che precisa di non essere da lei rappresentata.
Capire se il gioco dei Ligresti sia il colpo di coda di un sistema di potere che sembra in declino o solo un modo per salvare il salvabile – magari rimanendo fermi un giro, in attesa di tornare come salvatori della patria nel prossimo crac – sarà sicuramente argomento delle chiacchiere estive nel salotto buono.
Oltre al documento segreto, gli inquirenti stanno tentando di capire se Ligresti abbia realmente manipolato il titolo della Permafin – la holding di famiglia – attraverso due società fiduciarie con sede alle Bahamas tra cui la Heritage Trust, nel cui capitale sociale è presente al 12% Giancarlo De Filippo, presidente de La Minoritaria Holding Investment, controllata dall'altra società lussemburghese direttamente riconducibile a Salvatore Ligresti, la Starlife SA.
Terzo filone dell'inchiesta è poi quello legato al crac di Sinergia ed Im.Co., società grazie alle quali Ligresti si muove all'interno della holding e dei suoi affari.
Per capire però come si è arrivati a questo punto, è interessante partire dalle origini, raccontando come si è sviluppato il potere di una delle famiglie che negli ultimi decenni si è potuta sedere nel salotto buono del potere senza imbarazzo alcuno.
Ascesa, declino e rinascita di un patriarca. Nato nel 1932 a Paternò, Catania, si trasferisce prima a Padova, dove si laurea in ingegneria e poi a Milano. Perché se Roma è la capitale politica, Milano è la capitale finanziaria, quella dove girano i soldi veri. Allora come oggi.
È qui che Salvatore Ligresti conosce il “gruppo dei paternesi”, Michelangelo Virgillito, passato dalla vendita di materiali ferrosi a cavallo delle due guerre alle scalate finanziarie, come quella - non riuscita - alla Pirelli o alla Lanerossi, che riesce ad avere grazie all'aiuto dell'avvocato e senatore missino Antonino La Russa (padre dell'ex ministro della Difesa Ignazio). Del gruppo fa parte anche il ragioniere calabrese Raffaele Ursini, di fatto il “delfino” di Virgillito.
Attraverso questo gruppo, in particolare attraverso La Russa, a Ligresti sarebbero state spalancate le porte della finanza e del potere che conta, come quello che in quegli anni è in mano al banchiere Enrico Cuccia, che all'ingegnere paternese aprirà le porte di uno dei pilastri della finanza italiana: Mediobanca.
I tre – Virgillito, Ursini e Ligresti – si passano la proprietà della Liquigas, leader nel settore della distribuzione del Gpl. Negli anni Sessanta questa passerà ad Ursini, quando ormai la parabola di Virgillito è avviata ad una discesa. In quegli anni l'azienda riesce ad acquistare la compagnia di assicurazione SAI dalla famiglia Agnelli. Ad occuparsi dell'operazione è Antonino La Russa.
Dieci anni dopo, coperta dai debiti derivanti dalla crisi del settore chimico italiano, Ursini cederà la Liquigas all'Ente Nazionale Idrocarburi e la Sai a Salvatore Ligresti prima di fuggire in Sud America a seguito della condanna per falso in bilancio. La vicenda avrà anche un seguito nel 1989, quando Ursini tornerà in Italia per far valere una clausola segreta prevista secondo la quale il passaggio di proprietà avrebbe dovuto essere solo una vendita simulata. Ligresti ed il Tribunale dettero però parere differente.
È così che inizia la carriera di quello che diventerà uno degli immobiliaristi più facoltosi, entrando a far parte della lista degli uomini più ricchi d'Italia. Siamo negli anni Ottanta, gli anni della “Milano da bere” e del potere della corrente craxiana del Partito Socialista. Sono, questi, gli anni nei quali Ligresti diventa “Mister cinque per cento”, acquistando quote azionarie della Pirelli (5,4%), della Cir di Carlo De Benedetti (5,2%), dell'Italmobiliare di Giampiero Pesenti e della Agricola Finanziaria (3,7%) facente parte del gruppo Ferruzzi gestita all'epoca da Raul Gardini.
Nonostante partecipazioni percentualmente basse, Ligresti riesce comunque a controllare aziende e società, anche grazie al modo in cui struttura il suo sistema di potere, basato su una holding piramidale, la Premafin Finanziaria Spa gestita de facto a conduzione familiare, essendo presenti tutti e tre i suoi figli attraverso tre società lussemburghesi: la Canoe Securities SA gestita da Giulia Maria, la Limbo Invest SA gestita da Gioacchino Paolo e la Hike Securities SA di Jonella Ligresti[2].
A queste vanno aggiunte poi la Compagnia Fiduciaria Nazionale Spa, alla quale sono intestate tutte le quote della holding e la Starlife SA – anch'essa battente bandiera lussemburghese – che controlla circa il 17,6% della Permafin attraverso Sinergia Holding di Partecipazioni Spa (10,112%) e, tramite questa, Im.Co. Spa (acronimo di Immobiliare Costruzioni, le cui quote in testa a Salvatore Ligresti rappresentano il 7,5% del totale). Insieme, Starlife ed Im.Co. detengono il 20% di Premafin che, aggiunto al 31% posseduto dai tre figli, permette alla famiglia di possedere il 51% della Premafin.
Il triangolo del potere italiano, però, oltre a soldi e potere, vede il terzo angolo dipanarsi tra le aule di tribunale, dove Ligresti senior entra spesso, come nel 2008 – quando viene indagato dalla Procura di Firenze per corruzione[3] – o come nel 1992, quando all'aula di tribunale segue la cella di un carcere dove sconterà, dopo aver patteggiato, due anni e quattro mesi nell'ambito dell'inchiesta su Tangentopoli, di cui Ligresti «è considerato un personaggio di primo piano»[4]. Sarà grazie a lui che gli inquirenti riusciranno ad arrivare al coinvolgimento di Bettino Craxi nell'operazione, dando così il via alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.
A questo punto – alle soglie del nuovo millennio – entra in scena Mediobanca, che permette al gruppo Ligresti di acquistare attraverso la SAI il 6,7% della compagnia d'assicurazione Fondiaria, fino a quel momento nell'orbita Montedison. Il patto – utile anche per bloccare l'offerta pubblica d'acquisto fatta dalla Fiat-Edf su Montedison – prevede una seconda fase nella quale Ligresti si è impegnato a rilevare un ulteriore 22,2% della società.
A bloccare il tutto ci pensa la Consob, la quale stabilisce come condizione imprescindibile per l'operazione che l'Opa sia lanciata sull'intero capitale. Ligresti si rivolge così ad una serie di banche, cioè JP Morgan Chase, Interbanca, Mittel e Commerzbank. È quest'ultima che, acquistando il pacchetto di Fondiaria poi girato alla Sai, permetterà materialmente la nascita del gruppo Fondiaria-SAI[5].
Ligresti torna così ad essere un nome di peso nel “salotto buono” della nostra economia, dove gli interessi del gruppo sono ormai disseminati su tutto il territorio nazionale, nonché in quello della nostra finanza, entrando attraverso Premafin in Rcs MediaGroup, società editrice del Corriere della Sera e del free-press City, nel quale è già presente Jonella Ligresti. Anche in questo caso la quota partecipativa si aggira intorno al 5% ma, come negli altri casi, Ligresti senior entra nel patto di sindacato, riuscendo così a controllare il gruppo.
Premafin, la scatola cinese. Torniamo però al vertice della piramide, alla Premafin. In realtà un vertice farlocco utilizzato esclusivamente come contenitore delle azioni delle assicurazioni Fon-Sai, presenti nel portfolio della capogruppo per una percentuale compresa tra il 36 ed il 38% delle quote societarie ma che è in testa ai Ligresti solo per il 18%, con il restante 82% in mano a piccoli azionisti che, come tali, non hanno alcun potere reale. La compagnia assicurativa possiede poi il 63% di Milano Assicurazioni, che vede nel proprio capitale azionario anche l'intervento diretto dei Ligresti con una quota di capitale sociale attestata al 12%.
Della holding fanno inoltre parte Rizzoli-Corriere della Sera (di cui Premafin possiede il 5,5% del capitale); Pirelli (5%), Gemina (4,2%), Mediobanca (3,9%), Assicurazioni Generali (1%); Montepaschi (0,4%) e Unicredit (0,3%). Premafin è poi presente in Immobiliare Lombarda e dal 2005, attraverso la Igli – di cui fanno parte anche il gruppo Benetton e i Gavio, con quote fissate ciascuno al 33,3% - di Impregilo.
Anche i ricchi piangono. Dietro a tutte queste percentuali, che fanno del gruppo Ligresti uno dei gruppi più influenti nel nostro sistema di potere politico-economico, si nasconde però il rovescio della medaglia, che per Premafin significa una montagna di debiti derivanti dalla crisi economica, che si traduce in crediti esigibili da parte delle banche, in particolare Unicredit, Banca Intesa e Mediobanca, di cui proprio Ligresti è azionista. In merito a quest'ultima, si stima che i crediti esigibili siano definibili in circa un miliardo e cinquanta milioni di euro che però, essendo subordinati, andrebbero in fumo in caso di fallimento del gruppo.
Si capisce bene, dunque, perché sia proprio Mediobanca a tentare in tutti i modi di salvare il gruppo, con l'entrata nel gruppo Premafin-Fonsai della rossa Unipol, che con un versamento di 400 milioni sulla capogruppo Premafin detiene ora l'81% del capitale di Premafin – relegando così i Ligresti ad una quota di minoranza che ha nettamente depauperato il potere reale della famiglia – ed ha esercitato diritti sul 35% di azioni FonSai.
I pm nel salotto buono. È in questo contesto, dunque, che entra in scena Luigi Orsi, sostituto procuratore titolare dell'inchiesta, al quale tocca il compito di capire se esista un patto segreto firmato da Salvatore Ligresti ed Alberto Nagel con il quale alla famiglia Ligresti una buonuscita di 45 milioni di euro più «ufficio con segretaria e vettura con autista per papà Salvatore, un pacco di soldi per Jonella, uno stipendio sicuro e sontuoso per Giulia e Paolo», come scriveva Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano qualche giorno fa[6]. Una buonuscita che, però, farebbe automaticamente saltare l'intera operazione, in quanto la Consob ha fissato un unico “paletto”: niente trattamenti di favore per nessuno, neanche se questi si chiamano Ligresti.
Ma il patto c'è. O almeno così racconta ad Orsi Salvatore Ligresti, che lo avrebbe firmato con Nagel davanti all'avvocato Cristina Rossello, segretario del patto di sindacato di Mediobanca alla quale è affidata anche la causa di separazione di Silvio Berlusconi, del quale cura gli interessi legali insieme a Ghedini. L'avvocato consegna agli inquirenti un contratto privo di firme, ma viene “pizzicata” da Jonella Ligresti, che si presenta nel suo ufficio munita di microfono nascosto, registrando chiari riferimenti ad un contratto che invece le firme le ha, motivo per il quale l'avvocato viene interrogata per quattro ore in aggiunta alla dissociazione di Mediobanca, che precisa di non essere da lei rappresentata.
Capire se il gioco dei Ligresti sia il colpo di coda di un sistema di potere che sembra in declino o solo un modo per salvare il salvabile – magari rimanendo fermi un giro, in attesa di tornare come salvatori della patria nel prossimo crac – sarà sicuramente argomento delle chiacchiere estive nel salotto buono.
di Andrea Intonti e Rosy Merola, InfoOggi.it, 5-6 agosto 2012
Note |
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Ligresti;
[3] Firenze, accusati di corruzione Ligresti e gli assessori Cioni e Biagi di Simona Poli e Franca Selvatici, Repubblica, 19 novembre 2008;
[4] Salvatore Ligresti, l’eterno ritorno di Gianni Barbacetto, societacivile.it;
[5] Intrighi del “Salotto Buono”: I Ligresti, blog.studenti.it/, 28 luglio 2012;
[6] Caso Mediobanca, il salotto buono si fa cattivo di Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano, 3 agosto 2012