Catania, 22 aprile 2012 - «Quella stessa terra che lo scorso 7 aprile ha intitolato una piazza a nostro padre ucciso dalla mafia a Catania il 9 novembre 1995, oggi lo dimentica e lo uccide un'ennesima volta, con una festa in maschera. Abbiamo pensato, creduto, sperato di sbagliarci. Ma purtroppo non è così». A parlare in questo modo – l'unico possibile, a volerla dire tutta – sono Flavia e Fabrizio, figli di Serafino Famà, avvocato penalista catanese ucciso per ordine di Giuseppe Di Giacomo, all'epoca reggente del clan Laudani attraverso una lettera aperta che i due fratelli hanno scritto al Presidente della Provincia di Catania, al Sindaco di San Giovanni La Punta nonché al Questore ed al Presidente del Tribunale di Catania[1].
Il “Villa Paradiso dell'Etna”, uno dei locali più conosciuti e frequentati a Catania, ha infatti pensato bene di organizzare il “Baciamo le mani party” (ora ribattezzato “Siamo siciliani party”), «che vuole ricordare ed inneggiare alla Sicilia del passato, di stampo prettamente agricolo che poi esportò fuori dai confini tante illustri personalità ma anche alcune particolari caratteristiche fatte di vossignoria e mammasantissima». Una festa – sulle scontate note del “Padrino” – nella quale gli uomini dovranno indossare coppola e gilet mentre le donne dovranno vestirsi come nel film di Francis Ford Coppola. Obbligatorio, per gli uomini, presentarsi con un pizzino in tasca, così da entrare meglio nella parte.
Suggerirei agli organizzatori di basare il menu della serata sulla cicoria, così da rendere ancora più realistica la serata in puro stile “zu Binnu” e soci[2].
«Non è solo un party, di per sé di cattivo gusto» - scrivono Flavia e Fabrizio Famà - «ma è un messaggio che si lancia ai giovani, un modo di far credere che coppola e pizzini, che peraltro si invita ad indossare alla serata, definiti quali “accessori che rispecchiano la sicilianità”, siano solo divertente folklore da imitare e non parte integrante di una becera mentalità di violenza, prevaricazione, sopraffazione del più debole, ripudio delle regole, odio. La storia della Sicilia da tramandare, da imitare, dovrebbe essere quella di chi si è battuto per la legalità, per la giustizia, per l'uguaglianza, per una società migliore per tutti noi, quella della gente onesta che giorno per giorno fa il proprio dovere». «La Sicilia della cultura, di personaggi come Giovanni Verga, Leonardo Sciascia, Luigi Pirandello, Andrea Camilleri, esempi di una terra che sa esprimere la bellezza dei valori morali ed è questa che sentiamo appartenerci, questa quella che noi vogliamo ricordare e tramandare. Questa è la nostra Sicilia», conclude la lettera.
A fare eco alla lettera, naturalmente, c'è Libera: «In nome di tutte le vittime della mafia e dei loro parenti che rappresentano la parte migliore della storia del nostro Paese crediamo che ci sia davvero poco di simpatico nel riaggiornare il mito della peggiore Sicilia criminale e ci vergogniamo del riferimento iconico alla “sicilianità” con coppola, gilet, camicia bianca e pizzini». L'auspicio dell'associazione è «che tali manifestazioni di colpevole nostalgia non abbiano seguito presso la larga parte di cittadinanza che crede nel valore della memoria».
Naturalmente l'evento non poteva non essere pubblicizzato su facebook, dove – come evidenziato da Saverio Tommasi in una sua video-inchiesta del gennaio 2011 (che trovate in apertura di questo articolo) - sempre più florido è il fronte dei “mi piace” su pagine che inneggiano ai boss. Non potendo scrivere improperi, mi limito a chiedere a questi presunti “fan” se non sia il caso di spegnere il computer ed aprire uno dei tanti libri che raccontano la storia di Cosa Nostra o delle tante persone comuni, dei tanti giornalisti o uomini che rappresentavano la parte sana dello Stato.
Dopo le t-shirt, i locali nel cui nome compare “mafia” o libri sulle “lezioni di Cosa Nostra per il business” http://marconurra.altervista.org/impara-dalla-mafia-in-libreria/ al triste capitolo della “lotta all'antimafia” (no, non è un refuso) dobbiamo aggiungere anche il capitolo delle “feste sbeffeggianti”.
Torno a far mia[3] – l'idea lanciata da Giulio Cavalli: rendere reato il “favoreggiamento culturale alla mafia”[4].
Il “Villa Paradiso dell'Etna”, uno dei locali più conosciuti e frequentati a Catania, ha infatti pensato bene di organizzare il “Baciamo le mani party” (ora ribattezzato “Siamo siciliani party”), «che vuole ricordare ed inneggiare alla Sicilia del passato, di stampo prettamente agricolo che poi esportò fuori dai confini tante illustri personalità ma anche alcune particolari caratteristiche fatte di vossignoria e mammasantissima». Una festa – sulle scontate note del “Padrino” – nella quale gli uomini dovranno indossare coppola e gilet mentre le donne dovranno vestirsi come nel film di Francis Ford Coppola. Obbligatorio, per gli uomini, presentarsi con un pizzino in tasca, così da entrare meglio nella parte.
Suggerirei agli organizzatori di basare il menu della serata sulla cicoria, così da rendere ancora più realistica la serata in puro stile “zu Binnu” e soci[2].
«Non è solo un party, di per sé di cattivo gusto» - scrivono Flavia e Fabrizio Famà - «ma è un messaggio che si lancia ai giovani, un modo di far credere che coppola e pizzini, che peraltro si invita ad indossare alla serata, definiti quali “accessori che rispecchiano la sicilianità”, siano solo divertente folklore da imitare e non parte integrante di una becera mentalità di violenza, prevaricazione, sopraffazione del più debole, ripudio delle regole, odio. La storia della Sicilia da tramandare, da imitare, dovrebbe essere quella di chi si è battuto per la legalità, per la giustizia, per l'uguaglianza, per una società migliore per tutti noi, quella della gente onesta che giorno per giorno fa il proprio dovere». «La Sicilia della cultura, di personaggi come Giovanni Verga, Leonardo Sciascia, Luigi Pirandello, Andrea Camilleri, esempi di una terra che sa esprimere la bellezza dei valori morali ed è questa che sentiamo appartenerci, questa quella che noi vogliamo ricordare e tramandare. Questa è la nostra Sicilia», conclude la lettera.
A fare eco alla lettera, naturalmente, c'è Libera: «In nome di tutte le vittime della mafia e dei loro parenti che rappresentano la parte migliore della storia del nostro Paese crediamo che ci sia davvero poco di simpatico nel riaggiornare il mito della peggiore Sicilia criminale e ci vergogniamo del riferimento iconico alla “sicilianità” con coppola, gilet, camicia bianca e pizzini». L'auspicio dell'associazione è «che tali manifestazioni di colpevole nostalgia non abbiano seguito presso la larga parte di cittadinanza che crede nel valore della memoria».
Naturalmente l'evento non poteva non essere pubblicizzato su facebook, dove – come evidenziato da Saverio Tommasi in una sua video-inchiesta del gennaio 2011 (che trovate in apertura di questo articolo) - sempre più florido è il fronte dei “mi piace” su pagine che inneggiano ai boss. Non potendo scrivere improperi, mi limito a chiedere a questi presunti “fan” se non sia il caso di spegnere il computer ed aprire uno dei tanti libri che raccontano la storia di Cosa Nostra o delle tante persone comuni, dei tanti giornalisti o uomini che rappresentavano la parte sana dello Stato.
Dopo le t-shirt, i locali nel cui nome compare “mafia” o libri sulle “lezioni di Cosa Nostra per il business” http://marconurra.altervista.org/impara-dalla-mafia-in-libreria/ al triste capitolo della “lotta all'antimafia” (no, non è un refuso) dobbiamo aggiungere anche il capitolo delle “feste sbeffeggianti”.
Torno a far mia[3] – l'idea lanciata da Giulio Cavalli: rendere reato il “favoreggiamento culturale alla mafia”[4].
Note |
Famà: «Da siciliani proviamo orrore», CtZen.it, 20 aprile 2012;
[2] Il padrino e la passione per la cicoria L' erba povera che piace ai potenti di Paolo Conti, Corriere della Sera, 13 aprile 2006;
[3] La Giostra della legalità nell'antimafia delle piccole cose, InfoOggi.it, 19 aprile 2012;
[4] Decidiamolo: favoreggiamento culturale alla mafia di Giulio Cavalli, 28 marzo 2012