#Celochiedeleuropa/3. Quale verità sul "Dalligate"?

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Bruxelles (Belgio) – I gruppi di interesse governano l'attività legislativa europea. A dirlo è Daniel Gueguén, uno dei nomi più importanti del lobbismo nelle istituzioni del Vecchio Continente. Attività, quella del lobbying, che è definibile semplicemente come il tentativo di tutelare un interesse specifico attraverso attività di convincimento del decisore pubblico. Non ha, dunque, una chiave esclusivamente negativa come la “mitologia urbana” vorrebbe.
Le cose cambiano, però, quando è l'interesse stesso ad essere negativo, come quando l'attività di pressione legislativa viene esercitata dalle multinazionali farmaceutiche o da quelle delle sigarette nel caso noto come “Dalligate”.

Dalli, un Commissario inopportuno? John Dalli, maltese, appartenente al Partito Nazionalista. Fino alle dimissioni del 16 ottobre è stato il Commissario europeo per i Diritti del Consumatore e la Tutela della Salute. L'Ufficio Europeo per la Lotta Anti-frode (Office Européen Lutte Anti-Fraude, OLAF), diretto dal magistrato e politico del Partito Democratico Giovanni Kessler, lo accusa di «violazione del codice di comportamento» e traffico di influenze. Stando alla ricostruzione dell'accusa l'imprenditore Silvio Zammit, anch'egli maltese ed appartenente al Partito Nazionalista, si sarebbe accreditato come facilitatore di un rapporto privilegiato con l'ex Commissario per le multinazionali del tabacco, in particolare con la Swedish Match, società in joint venture europea della Philip Morris, interessata ad introdurre nel vecchio continente lo snus, il tabacco da masticare che tanto sta andando di moda negli Stati Uniti. È proprio la società svedese che denuncia l'accaduto all'Olaf. Sarebbe stato Zommit a proporre l'eventualità di un alleggerimento della legge sul tabacco in discussione all'epoca in cambio di 60 milioni di euro. Una tangente, insomma.

Le indagini hanno dimostrato che, pur non essendoci stata partecipazione diretta di Dalli all'atto, questi era comunque informato sulle manovre del produttore maltese.  
Nella storia delle istituzioni europee lo “Snusgate” - o “Dalligate”, che dir si voglia – è il secondo scandalo dal 1999, quando l'intera Commissione presieduta quell'anno da Jacques Santer fu costretta a dimettersi con l'accusa di frode, cattiva gestione e nepotismo.

Conflitto di interessi. C'è un problema. A ben guardare, infatti, a trarre maggior vantaggio dallo scandalo sono proprio coloro che denunciano Dalli.
Il 18 ottobre accade uno strano episodio: due giorni dopo le dimissioni di Dalli dei ladri fanno visita agli uffici della Smoke Free Partnership, dell'European Respiratory Society e dell'European Publich Health Alliance, portando via alcuni computer e dei documenti. Le organizzazioni si battono per l'introduzione di norme più rigide sul consumo di tabacco nei paesi dell'Unione. Nella stessa direzione stava andando la direttiva-Dalli, che avrebbe introdotto linee ancor più restrittive sui prodotti a base di tabacco – snus incluso, dunque – e sulle sigarette elettroniche. Con le dimissioni di Dalli, però, il procedimento legislativo ha subito un grosso ritardo – con ogni probabilità se ne riparlerà con la nuova Commissione, il cui mandato inizierà solo nel 2014 - a tutto vantaggio della lobby del tabacco.

L'industria del tabacco, poi, ha una partnership interessante all'interno delle istituzioni europee: lo stesso ufficio che ha indagato Dalli. Grazie ad un accordo della durata di 12 anni con alcuni produttori di sigarette tra i quali spicca la Philip Morris l'Olaf può utilizzare le informazioni da queste prodotte per la lotta alla contraffazione e al contrabbando di sigarette, business tornato in voga tra le mafie transnazionali negli ultimi anni e che nel 2011 ha portato ad oltre 65 miliardi di sigarette contrabbandate, con una perdita per le casse legali di circa 11 miliardi l'anno. Rapporti confermati proprio da Giovanni Kessler in una audizione alla commissione d'inchiesta del Parlamento italiano del 6 giugno 2012 grazie ai quali l'OLAF mantiene «un costante flusso informativo e anche di intelligence proveniente dai grandi gruppi manifatturieri di tabacco sul traffico illegale, sia di puro contrabbando, sia di tabacchi contraffatti». Secondo quanto scrive Christoph Pauly su Der Spiegel (qui l'articolo tradotto da Anna Bissanti per PressEurop) inoltre, «le multinazionali finanziano anche il lavoro degli inquirenti e versano in tutto circa due miliardi di euro all'Unione europea».
Pur riconoscendo la necessità di bloccare un traffico illegale internazionale – per il quale qualche anno fa fu indagata proprio la Philip Morris (a fondo pagina i link a due articoli dell'International Consortium of Investigative Journalism) – sorge un problema: quanto incide il conflitto di interessi sull'indagine?
John Dalli, peraltro, fu costretto a dimettersi per uno scandalo simile nel 2004, quando era ministro degli Esteri a Malta. Un “capro espiatorio” assolutamente perfetto, dunque.

Dalli stava lavorando ad una più severa regolamentazione europea sul tabacco. La sua proposta prevedeva in particolare di controllare rigorosamente la vendita e la pubblicità di numerosi prodotti contenenti nicotina. Iter fortemente contrastato dall'irlandese Catherine Day, segretaria generale della commissione europea, considerata una delle donne più potenti a Bruxelles nonché più stretta collaboratrice di Barroso. In una lettera inviata il 25 luglio a Paola Testori Coggi, capo della Sanco (direzione generale della salute e dei consumatori, cioè la persona responsabile della politica della Commissione in materia di salute e sicurezza alimentare), esprimeva “seri dubbi” sulla direttiva, criticando “il divieto generalizzato di fumare” e interrogandosi “sul trattamento dei prodotti contenenti nicotina”. Infine, esprimeva riserve “sull'inasprimento delle disposizioni previste per la vendita di sigarette”. Il 23 settembre seguiva una seconda lettera – come riporta l'articolo di PressEurop – con la quale la Day invitava a non presentare la direttiva Dalli al summit dei capi di Stato e di governo europei previsto a metà ottobre, in quanto alcuni dettagli potevano ancora essere modificati senza troppi riflettori addosso. Il 15 ottobre l'Olaf invia il rapporto su Dalli a Barroso. Da quel momento viene chiuso in un cassetto e, almeno fino ad ora, sembra non esserci alcuna intenzione di tirarlo fuori. Stando alla ricostruzione che ne ha fatto la Commissione il documento sarebbe in mano al procuratore generale di Malta, competente sulla vicenda secondo le regole dell'Unione Europea.

Gli unici dettagli noti sono dunque quelli forniti in conferenza stampa da Giovanni Kessler, le cui quotazioni tra i parlamentari europei sono in ribasso proprio per il palese conflitto di interessi dell'agenzia che dirige. Inoltre il suo ufficio è accusato di non aver rispettato le procedure, in particolare il passaggio secondo il quale la trasmissione degli atti alla giustizia maltese avrebbe dovuto essere segnalata al Comitato di sorveglianza dell'Olaf, incaricato di proteggere i diritti degli indagati. Questo ha portato alle dimissioni di Christian Timmermans, presidente del comitato, in segno di protesta.

A questo punto assume tutt'altra luce la difesa (contro una cospirazione, come l'ha definita lo stesso protagonista) di Dalli, che ha accusato Barroso di averlo costretto alle dimissioni senza permettergli di leggere le conclusioni dell'inchiesta – della quale si attende ancora la pubblicazione – e che la decisione veda la longa manus della lobby del tabacco.



Per approfondire l'"affaire" Philip Morris, l'International Consortium of Investigative Journalists nel 2000 ha lavorato a due ampi approfondimenti:

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