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#Celochiedeleuropa/1. Lobby e Commissione Europea: chi controlla i controllori?
foto: corporateeurope.org |
Bruxelles (Belgio) – Secondo quanto definito dal «decano dei lobbisti di Bruxelles» Daniel Gueguén, l'Europa influenza il 75% delle decisioni nazionali. Il sistema decisionale europeo, però, è fortemente influenzato da gruppi di pressione che fanno gli interessi di grandi produttori o multinazionali [LINK] e non dei cittadini europei, che in molti casi – come in Italia – vengono tenuti all'oscuro di quanto avviene negli uffici d'Europa. Come nel caso dell'Orphacol, un medicinale di comprovata efficacia bloccato per una questione di mercato: la concorrenza statunitense.
Cos'è l'Orphacol? L'European Medicines Agency (l'agenzia europea responsabile di valutare le domande per l'immissione in commercio dei medicinali ha classificato il medicinale come life saving drug, medicinale salvavita. Se fosse in commercio, verrebbe utilizzato per una patologia nota come “difetti congeniti della sintesi degli acidi biliari primari”, una malattia rara che, scrive Jean Quatremer sul quotidiano francese Libération nel continente europeo interessa 90 bambini – di cui 16 in Francia – nati con una anomalia genetica che impedisce loro di produrre bile, un liquido necessario ai processi della digestione. Aspettativa di vita che non va oltre i 10 anni, a meno di non subire un trapianto di fegato.
Prodotto in Francia fin dagli anni '90, a partire dal 2007 i diritti di proprietà passano all'Istituto francese per la ricerca e le terapie cellulari (Cell Therapies Research&Services Laboratoires, da ora CTRS). L'Orphacol, infatti, interessa pazienti con deficit di due particolari enzimi epatici la cui mancanza non permette di produrre una quantità sufficiente delle principali componenti della bile, gli acidi biliari primari tra cui l'acido colico, prodotto dal fegato. Tale carenza può portare alla produzione di acidi epatotossici e successivamente all'insufficienza epatica, mettendo in pericolo la vita stessa dei pazienti. Dato l'esiguo numero di casi accertati, il medicinale è detto “orfano”, cioè utilizzato per patologie rare.
«La letteratura» - si legge nel rifiuto all'autorizzazione dell'EMA - «ha dimostrato che il trattamento con l'acido colico riduce la quantità di acidi biliari anormali nei pazienti, ripristina le funzioni epatiche normali e contribuisce a ritardare o prevenire la necessità del trapianto di fegato».
Il Comitato per i prodotti medici ad uso umano (Committee for Medicinal Products for Human Use, da ora CHMP), continua il documento «sulla base delle informazioni ottenute dalla letteratura scientifica, ha ritenuto che i benefici di Orphacol siano superiori ai suoi rischi e ha pertanto raccomandato il rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio in “circostanze eccezionali”».
Il 25 maggio 2012, però, la Commissione europea decide definitivamente di non concedere l'autorizzazione, sostenendo che le condizioni necessarie alla messa in commercio non fossero state soddisfatte. «Mentre l'Agenzia europea del farmaco (EMA) ha confermato la propria autorizzazione all'immissione in commercio del medicinale, la Commissione Europea ha annullato, per motivi di ordine giuridico, suddetta autorizzazione», si legge nell'interrogazione con richiesta di risposta scritta fatta alla Commissione da Gilles Pargneaux eurodeputato dell'Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D)
Il comportamento consueto della Commissione è quello di legiferare basando le proprie decisioni sul parere degli esperti delle agenzie europee. È questa scusante, ad esempio, che viene utilizzata quando si parla di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) e del parere favorevole dato dalla Commissione dopo aver ascoltato l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) di Parma. Per la commercializzazione dell'Orphacol, i pareri favorevoli arrivano addirittura da tutti e 27 i paesi membri dell'Unione Europea, riuniti nel comitato permanente dell'ufficio per i farmaci. La domanda, dunque, è lecita: perché questa volta si è agito diversamente?
Dieci per dieci. Per capire il perché di questa diversità di comportamento bisogna partire da una lettera inviata nel gennaio 2011 dalla statunitense Asklepion Pharmaceuticals alla Commissione ed introdotta nella documentazione del processo di prima istanza alla Corte di Giustizia europea e dalla Commissione trasmessa poi alla CTRS.
Oltre alla lettera, la Asklepion - controllata dalla Chiesa avventista del settimo giorno – ha presentato anche un altro documento: la richiesta di autorizzazione per un farmaco concorrente dell'Orphacol, del quale per adesso l'autorizzazione è l'unica cosa esistente.
Non è, naturalmente, solo una questione di concorrenza transcontinentale. In ballo c'è la gestione esclusiva del prodotto – e della malattia, a volerla dir tutta - per dieci anni. Profitto stimato in dieci milioni di euro all'anno. Le società farmaceutiche non sono enti benefici, e non fanno certo ricerca per scopi umanitari. Il loro scopo è il guadagno, e investire in una malattia che assicura cento milioni di euro in dieci anni non è certo un cattivo affare.
Secondo la ricostruzione del quotidiano francese, ruolo importante nella vicenda è quello di Patricia Brunko, ex responsabile dell'ufficio incaricato di autorizzare il commercio di nuovi farmaci in Europa prima del pensionamento a dicembre. È a lei, dunque, che bisogna chiedere conto dell'estrema – o sarebbe meglio dire eccessiva – attenzione al cosiddetto “uso medico accertato”, che si ottiene dopo dieci anni dall'impiego del farmaco.
Il primo cavillo arriva a questo punto. Secondo la Brunko, infatti, il medicinale sarebbe stato utilizzato non dal 1993, anno in cui l'Assistenza pubblica dell'ospedale di Parigi scopre l'utilità dell'acido colico per la cura di queste rare malattie ma dal 2007, anno in cui i diritti di proprietà vengono ceduti al laboratorio CTRS.
A questo punto, però, il laboratorio decide di rivolgersi ai giudici in quanto, come si legge nel ricorso del 10 luglio 2012 «la Commissione non era legittimata a riavviare la procedura di comitatologia (l'uso degli esperti da parte della Commissione, ndr) con un progetto di decisione che era sostanzialmente identico a quello già respinto dal comitato permanente e dal comitato di ricorso né era competente ad adottare la decisione contestata» e, inoltre, «la decisione contestata è in ogni caso inficiata da errori di diritto nell'interpretazione della direttiva 2001/83/CE» del novembre 2001 relativa ai medicinali per uso umano. Tale direttiva, si legge in un articolo di Ophélie Spanneut su Europolitics (“Commission's rejection of medicine results in imbroglio” pubblicato l'11 maggio 2012) permette al ricorrente – la CTRS, nel nostro caso – di non fornire i risultati delle prove tossicologiche, farmacologiche e cliniche. Proprio l'impossibilità di «dimostrare che il farmaco è stato utilizzato in Europa con efficacia riconosciuta e un livello accettabile di sicurezza per almeno dieci anni» viene utilizzata da Patricia Brunko come secondo appiglio per rallentare l'introduzione dell'Orphacol in Europa. La domanda da presentare all'EMA, comunque, deve essere accompagnata da una bibliografia scientifica particolareggiata
È interessante notare, a proposito dell'attenzione ai cavilli, come non si sia badato a convocare il comitato permanente l'8 maggio – giorno festivo in alcuni paesi dell'Unione – non arrivando alla maggioranza qualificata necessaria per opporsi alla decisione della Commissione. Stando alla versione francese, inoltre, le motivazioni di cui si è fatta portavoce Patricia Brunko sarebbero le stesse contenute nella lettera inviata dalla Asklepion.
Se la società farmaceutica americana ha un potere di veto maggiore rispetto a quello dei 27 paesi membri, è dunque lecita la domanda – più una provocazione in realtà – di Daniel Guéguen: «Nei fatti, chi è il boss a Bruxelles?»
Timeline:
- 1993: capsule da 50 e 250 mg di acido colico vengono distribuite in Francia come “préparation hospitalière” (preparazione ospedaliera). Dal 2007 queste capsule vengono distribuite dai Cell Therapies Research&Services Laboratoires (CTRS) con il nome di Orphacol;
- 18 dicembre 2002: l'Orphacol viene definito “medicinale orfano”, cioè medicinale utilizzato per patologie rare;
- Ottobre 2007: l'Orphacol ottiene l'autorizzazione alla commercializzazione dall'Agence nationale de sécurité du médicament et des produits de santé (Agenzia Francese per la Sicurezza dei Medicinali e dei Prodotti Sanitari), l'Autorità competente in Francia;
- 30 ottobre 2009: CRTS deposita la domanda per l'accesso a tutti i territori europei ed all'esclusiva per la gestione del prodotto per 10 anni all'EMA (European Medicines Agency) per richiedere l'autorizzazione alla commercializzazione dell'Ophracol, dopo che la decisione sulla procedura centralizzata era stata decisa il 28 settembre 2008;
- 18 novembre 2009: inizia la procedura;
- 5 febbraio 2010: il rapporto di valutazione di Robert Hemmings (UK), relatore, viene fatto circolare tra tutti i componenti del CHMP (Comitato per i prodotti medicinali per uso umano). Cinque giorni dopo è il turno del rapporto del co-relatore, l'irlandese Patrick Salmon.
- 18 marzo 2010: la lista delle domande sul farmaco realizzate dal CHMP viene inviata al richiedente
- dopo un periodo (luglio-novembre 2010) in cui i relatori e il CHMP si scambiano rapporti, domande e risposte e raccomandazioni
- A dicembre 2010, in una riunione tra CHMP e Commissione, arriva il parere favorevole alla commercializzazione sotto circostanze eccezionali. Il 5, però, la Commissione Europea – nella fattispecie Patricia Brunko - ha però respinto la richiesta adducendo l'incompletezza delle prove pre-cliniche e cliniche
- Gennaio 2011: la statunitense Asklepion Pharmaceutical invia una lettera confidenziale alla Commissione Europea che esprime parere contrario alla commercializzazione dell'Orphacol.
- Aprile 2011: l'EMA dà un nuovo parere contrario al blocco della Brunko. L'Orphacol viene definito life saving drug (medicinale salvavita), e dunque ha tutte le carte in regola per essere commercializzato. Ma la Brunko dà nuovamente parere negativo.
- 8 gennaio 2013: il quotidiano francese Libération fa scoppiare lo scandalo.
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