#Celochiedeleuropa. Il dilemma di Pericle, Grillo e la cittadinanza europea


foto: http://europa.eu/ 
Bruxelles (Belgio) - Da Pericle alle prossime elezioni europee del 2014 passando per l'euroscetticismo di Beppe Grillo, il punto rimane definire il rapporto tra democrazia e mercato, tra voce dei cittadini e voce delle monete (o dei banchieri, come dicono gli euroscettici). «Qualora non si obbedisse ai diktat delle istituzioni finanziarie internazionali (o non si soddisfacessero le loro aspettative) si potrebbe arrivare alla crisi economica e politica, e ciò sarebbe incostituzionale» - scriveva il filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Žižek sul Guardian a gennaio, commentando una decisione della corte costituzionale slovena (qui l'articolo tradotto da Anna Bissanti per Presseurop.eu) - «in termini più semplici, dato che soddisfare i diktat e le aspettative è il requisito di base per mantenere l'ordine costituzionale, questi hanno la priorità sulla costituzione (eo ipso sulla sovranità dello stato)».

Cameron vs Einaudi
Riadattando uno dei più noti momenti della storia recente italiana – il lancio delle monetine contro l'allora leader del Partito Socialista Bettino Craxi davanti all'hotel Raphael il 30 aprile 1993, emblema del passaggio storico tra la Prima e la Seconda Repubblica italiana – l'euroscetticismo che arriva dalle elezioni italiane può rappresentare un evento molto simile sul piano sovra-nazionale: la chiusura della “Prima Repubblica” Europea per entrare nella “Seconda”, nella quale la prima questione da porsi è chi comanda davvero.
Una questione di “centri del potere”, in buona sostanza, che pone l'attenzione sul tipo di distribuzione del potere decisionale nel continente, nell'impossibilità di poter continuare in una cornice in cui ad un potere formale delle istituzioni europee si aggiunge, spesso sostituendolo, quello delle capitali europee, Berlino in testa.
In tal senso, le elezioni italiane possono rappresentare un modo perfetto per aprire il dibattito europeo anche a chi fino ad oggi ha potuto solo subire gli effetti di decisioni alle quali non aveva accesso: quella cittadinanza messa da Commissione e Parlamento Europeo al centro dell'European Year of Citizens (e dei due milioni del programma ”anti-euroscetticismo”, come riporta Carmine Gazzanni su Infiltrato.it).
«A quasi sessant'anni da quando il Trattato di Roma diede ufficialmente vita alla Comunità economica europea», scriveva a gennaio Andre Wilkens su Project Syndicate (qui l'articolo in italiano) «i dibattiti che si svolgono in tutta l'Ue continuano a essere in buona parte condotti da attori nazionali in forum nazionali e con lo sguardo rivolto ai soli interessi nazionali», a riprova di quello che Umberto Eco ha definito “provincialismo ipoeuropeo”.

Un dibattito che, da qui alle elezioni europee del prossimo anno passando per le elezioni tedesche di settembre, dovrà portare a chiarire quale strada vuole intraprendere il vecchio continente.
Da un lato quella che ruota intorno alle “Unioni” europee, «a loro volta espressione di storie nazionali, collocazioni geografiche e tradizioni culturali che non sono riconducibili ad un'unica organizzazione sovranazionale» dove il potere reale torni concretamente nelle mani di governi e Parlamenti nazionali, oggi rappresentata dalla richiesta referendaria di David Cameron ma della quale, però, nessuno è in grado di calcolare il prezzo. Dall'altra la strada che porta al definitivo spostamento del potere sul piano europeo (dalle cui istituzioni, comunque, già arriva il 75% delle leggi nazionali) riprendendo quel dibattito sui c.d. Stati Uniti d'Europa che - mirando «all'ideale di una vera federazione di popoli», come la definiva Luigi Einaudi nel 1945 - porti alla formazione di quelli che potrebbero essere gli Stati Uniti dei popoli europei.

Una cittadinanza sovra-nazionale?
In un mondo – e dunque in un'Europa – in cui l'immigrazione e l'interconnessione transnazionale tra culture hanno relativizzato l'idea di appartenenza nazionale e dove la globalizzazione, culturale ed economica ha fortemente modificato la sovranità degli Stati-nazione (ne parla Claus Leggewie in un interessante articolo su Eurozine.com) hanno ancora senso forme di protezionismo nazionale come le minacce di uscita dalla moneta unica e dall'Unione Europea in generale?
Allo stesso modo, laddove non può più definirsi una sovranità nazionale, sostituita da “arene cosmopolite” volte ad affrontare questioni trans-nazionali, si può ancora definire la cittadinanza in chiave nazionale?
Si pensi a questioni come il cambiamento climatico, la comunicazione globalizzata attraverso strumenti come internet o la stessa crisi economico finanziaria, che ha influito anche sulla situazione politico-elettorale italiana degli ultimi mesi, che non possono certo essere considerate – e dunque risolte – secondo una lettura localistico-nazionale che può portare, come lo chiama Wilkens, alla creazione di un dibattito paneuropeo dove anche l'operato delle “famiglie partitiche” debba seguire piattaforme comuni in tutti gli stati membri.
Uno “spazio sociale paneuropeo” porterà alla creazione di una “cittadinanza trans-nazionale” come la definisce Rainer Bauböck?
«La sfida» - scrive Leggewie - «è sviluppare un concetto di cittadinanza che sia abbastanza largo da affrontare i modi nei quali la cittadinanza nazionale è colpita da problemi globali di qualunque tipo».