Gli interrogativi irrisolti dell'omicidio di Iendi Iannelli e Stefano Siringo

foto: strada Maidan Shar-Bamyan;
fonte: www.coopitafghanistan.org

Kabul (Afghanistan) - Ricapitoliamo: Iendi Iannelli e Stefano Siringo sono due ragazzi romani, rispettivamente di 26 e 32 anni, che nel 2006 arrivano in Afghanistan per lavorare all'interno del “Programma Giustizia”, il progetto portato avanti dalla cooperazione italiana per costruire il sistema giudiziario del paese “liberato”. Stefano arriva a Kabul come impiegato del ministero degli Esteri, contratto di quattro mesi, rinnovabile, ed un più che probabile spostamento definitivo in America Latina – sempre grazie alla Farnesina – dove lo aspetta Giulia, la sua fidanzata cubana che non vuole spostarsi dal suo paese. Iendi Iannelli, ex pilone del Torvaianica Rugby cresciuto in Sudafrica, arriva a Kabul come amministratore della International Development Law Organization (Idlo), l'organizzazione che gestisce gran parte dei fondi italiani destinati alla cooperazione, dove si occupa per lo più delle spese locali in quanto i cordoni della borsa rimangono alla sede centrale dell'organizzazione, a Roma.

Vengono rinvenuti privi di vita sul letto della camera di Iannelli presso la Guest House Idlo a Kabul il 16 febbraio 2006. Le prime ipotesi parlano di avvelenamento da monossido di carbonio (versione dell'ambasciatore Sequi) proveniente da una stufa a gas che in realtà è elettrica, dopodiché la causa della morte passa all'overdose o, come riferiscono le autopsie «intossicazione acuta da eroina». Nel corpo di entrambi i ragazzi vengono infatti ritrovate tracce di eroina pura all'89%. Un grado di purezza troppo alto per essere assunto anche dai tossicodipendenti, cosa che i due ragazzi non sono, come raccontano l'assenza di tracce fisiche – come i fori di siringa – e tutti i loro conoscenti. Tutti tranne uno. Ivano, il fratello di Iendi, è infatti l'unico a parlare apertamente di un fratello tossicodipendente.

Perché questa insistenza? Si scopre – in realtà non è un mistero – che Ivano lavora all'United Nation Office for Project Service (Unops), una delle due organizzazioni su cui Iendi stava indagando. Analizzando i conti della Idlo, infatti, si era reso conto di un giro di false fatturazioni tra le due organizzazioni per il valore di 1,5 milioni di dollari, come confermato anche dal suo successore, Rustam Ergashev, da Edgardo Buscaglia che dirige il lavoro di Iendi e, tra gli altri, da Antonella Deledda, ex vice coordinatrice dell'ufficio di giustizia a Kabul, che a Roma trova le prove dell'esistenza di due “protocolli” tra Idlo e Unops – rispettivamente di 900.000, 400-500.000 dollari – che accreditano l'ipotesi investigativa di Iendi, così come confermerà anche la giudice per le indagini preliminari, Rosalba Liso, che si è occupata del caso per la Procura della Repubblica di Roma.

È per questo che Iendi e Stefano vengono uccisi mischiando la droga nel cibo, un metodo “classico“ in Afghanistan. La purezza della droga è altissima, la morte praticamente immediata. Avviene tra le 20,15 e le 21,33 della sera prima, 15 febbraio, e non il giorno 16 come viene invece riportato nel certificato di morte. Dalle autopsie è risultato però che Stefano e Iendi quella sera non cenarono. I "residui carnei" parzialmente digeriti rinvenuti nello stomaco di Iendi risalgono infatti al pranzo delle 14, dopo il quale questi accusò forti dolori addominali che lo costrinsero a tornare alla Guest House, per poi uscire nuovamente per recarsi all'Idlo e passare a prendere Stefano. Da ciò è ipotizzabile che la morte avvenne per iniezione dopo aver stordito i due ragazzi: sul collo di Stefano - all'altezza della giugulare - venne infatti ritrovato un foro inflitto prima della morte (descritto per ben due volte nei referti autoptici). Dopodiché l'assassino - o gli assassini - adagiarono i corpi sul letto e sparsero l'eroina in giro per la stanza. «Questo "particolare"» - evidenzia Barbara Siringo - «non venne mai messo in evidenza dal pm malgrado le nostre insistenze».

La chiave. Allo stesso modo, chi ha preparato la camera aveva un unico scopo: mettere in piedi una scena da post “droga party”.
I primi ad arrivare sul posto – almeno i primi ad arrivarci dopo chi ha creato la messinscena – sono Angelo Guadagni e Vincenzo Lattanzi, rispettivamente impiegato e capo del “Progetto Giustizia”, allarmatisi perché Stefano non si era presentato a lavoro, verso le 10 del 16 febbraio. Sono loro a dare origine, per certi versi, al dilemma della chiave: la porta della stanza era infatti in vetro, con telaio di legno, secondo le dichiarazioni chiusa dall'interno. Guadagni tentò prima di rompere la parte del vetro vicina alla toppa, in modo da poter semplicemente girare la chiave ed entrare. Ma la chiave non c'era, da qui la necessità di romperla completamente a colpi di sedia. La chiave, come risulta evidente dalle fotografie (di seguito, per gentile concessione di Barbara Siringo) è però vicinissima alla porta, quando la logica vorrebbe che un tale colpo l'avesse scaraventata più in là, verso il centro della stanza. A meno che anche la posizione della chiave non facesse parte della ricostruzione farlocca e la porta fosse stata precedentemente chiusa dall'esterno. Nessuno ha indagato sulla possibilità che ne fosse stata fatta una copia.

Samira Manda, cooperante sudanese che abitava nel compound, dichiarò di aver visto un uomo, identificato come afghano, bussare a quella stessa porta la sera prima. Magari quel Tareq, autista fornito dalla Idlo a Iendi, scappato in Pakistan dopo due giorni, forse per paura o perché implicato nella vicenda e scomparso nel nulla dopo aver chiesto ed ottenuto dalla organizzazione l'anticipo sullo stipendio. O magari quel tal “Rudi” - identificato dal collega ed amico di infanzia di Stefano, Marcello Rossoni – logista segnalato alle Nazioni Unite con l'accusa di gonfiare le fatture rivendendo materiale da lui stesso precedentemente rubato.

I corpi. Quando Guadagni e Lattanzi entrano nella stanza, trovano i corpi di Iendi e Stefano distesi sul letto, ordinatamente e ancora vestiti, come se qualcuno li avesse presi e disposti in quella posizione. Dagli esami fatti dal tossicologo nominato dal pubblico ministero risulta che i due siano morti, intossicati dall'eroina, contemporaneamente. Ma ciò non è possibile data la differenza fisica dei due ragazzi. Sui corpi, o per meglio dire sulle autopsie, dei due esiste un altro dei troppi misteri di questa vicenda: La sera del 15 febbraio, infatti, Iendi accusò forti dolori addominali, ma il contenuto del suo stomaco non venne esaminato, allo stesso modo per Stefano, del quale vennero analizzate solo sangue e urine. Il corpo di Iendi venne frettolosamente cremato, chiudendo la possibilità ad ogni altra futura indagine.

Il pc troppo pulito per essere nuovo. Per il suo lavoro, Iendi disponeva di due computer: un Sony Vaio ed un Compaq o Hp. Secondo quanto dichiarato da Rossoni, Edgardo Buscaglia chiese ai carabinieri di ispezionare quello dell'ufficio, che però risultò privo di qualunque accenno di attività. Troppo pulito per non pensare ad una formattazione o ad una qualche forma di intervento di mani terze, magari per cancellare proprio le prove che Iendi stava raccogliendo sull'operato delle due organizzazioni.

L'omicidio e la beffa. «La morte del signor Siringo non rientra nel perimetro di copertura del contratto assicurativo», scrivono i Lloyd's nella comunicazione fatta alla famiglia Siringo «non rientrando certamente l'omicidio nel concetto di infortunio».

Ci sono voluti ben sette anni per definire come “omicidio” quanto accaduto tra la sera del 15 e la mattina del 16 febbraio 2006. Sette anni dopo i quali, comunque, sono ancora troppi gli interrogativi a cui trovare risposta. «Era abituale» - ha dichiarato Samuel Gonzalez Ruiz nella sua deposizione del 9 febbraio 2011 - «che alcuni fondi che erano destinati ad un programma o ad un paese potessero essere destinati transitoriamente o permanentemente ad altri programmi o Paesi». Non è accettabile, però, che per questa “allegria” nella gestione dei fondi della cooperazione non solo debbano morire due ragazzi arrivati in Afghanistan per fare il loro lavoro ma che, soprattutto, la giustizia italiana non abbia potuto (con il gip Liso) né voluto (con l'insistenza del pm Palamara per una tesi evidentemente smantellata dai fatti) porre risposta a tutte le domande, che dopo sette anni sono tutt'altro che chiuse.

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Già pubblicati:
[1 - "Voglio la verità sull'omicidio di Iendi Iannelli e Stefano". Intervista a Barbara Siringo; 6 agosto];
[2 - Distrazione di fondi dalla cooperazione italo-afghana: Iannelli e Siringo uccisi per averlo scoperto; 7 agosto];
[3 - Caso Iannelli-Siringo: che fine hanno fatto i soldi della cooperazione italo-afghana? 8 agosto]

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