Caso-Shalabayeva, il "fattore culturale"

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Roma – Si è parlato di fattori geo-economici e di diritti umani dimenticando forse un aspetto che emerge in maniera sempre più evidente con l'emergere dei dettagli dell'extraordinary rendition di Alma Shalabayeva e della piccola Adua, rispettivamente moglie e figlia di quel Mukhtar Ablyazov dipinto alla stregua di uno dei più importanti nomi del terrorismo internazionale da due funzionari dell'ambasciata kazaka, di cui uno è il più alto in grado, l'ambasciatore Andrian Yelemessov. Un aspetto, per certi versi, culturale.

Chi scrive non è esperto di questioni tecniche interne ai rapporti diplomatici, ma non credo che un ambasciatore di un qualsivoglia Paese possa entrare al Palazzo del Viminale – cioè la sede del Ministero dell'Interno – chiedere e ricevere audienza dal capo di gabinetto, Giuseppe Procaccini, ovvero dal braccio destro del ministro (Angelino Alfano, nello specifico) e vedersi mettere un intero apparato di sicurezza a disposizione per gli interessi suoi e dello Stato di cui è ambasciatore.

“Uso personalistico della res publica”. È questo ciò a cui stiamo assistendo (oltre a quanto già evidenziato nei giorni scorsi) nell'affaire-Shalabayeva, che si voglia credere o meno alle giustificazioni del governo.

Perché se – come sempre più i fatti rendono chiaro – esistono delle colpe politiche allora quegli stessi rappresentanti delle istituzioni devono dimettersi, soprattutto Alfano. Come scrive Ezio Mauro su Repubblica, infatti «Se davvero non sapeva, deve dimettersi perché evidentemente la sede è vacante, le burocrazie di sicurezza spadroneggiano ignorando i punti di crisi internazionale, il paese non è garantito».

Per quanto riguarda Emma Bonino, ministro degli Esteri fin da subito vista come l'unico politico “di prestigio” internazionale – il cui dicastero ha tenuto a precisare di non avere voce in capitolo su espulsioni – e che per prima ha parlato di «figura miserabile» fatta dal nostro Paese (che si aggiunge comunque ad una già ampia e storica sequela) si faccia lei stessa “ambasciatrice dei diritti umani italiani”, voli in Kazakistan e torni solo quando da quello stesso aereo potranno scendere anche Alma Shalabayeva e sua figlia. Sarebbe l'unico modo per riabilitarla agli occhi degli italiani.

Se invece, dall'altro lato, si vuole credere ai “non sapevamo”, questo significa che esisterebbe un sistema, quelle «burocrazie di sicurezza» di cui parla il direttore di Repubblica, formate in questo caso dagli uomini degli apparati di sicurezza che hanno materialmente autorizzato ed eseguito l'extraordinary rendition, che si muove al di sotto ed a prescindere dal Governo. Una possibilità che, se i fatti non la stessero smentendo, sarebbe tanto grave quanto inquietante.