BigPharma: il grande elettore tra Obama e Bush

foto:www.supplementcounsel.com

Washington (Stati Uniti) - Le case farmaceutiche hanno avuto un ruolo nella decisione di scatenare la guerra in Afghanistan, dove nel 1999 il Mullah Omar vietava la produzione di oppio? È la domanda che ci stiamo ponendo in questo lungo approfondimento. Dopo aver visto come le case farmaceutiche siano da annoversarsi tra i principali "grandi elettori" dei governi statunitensi, indipendentemente dal colore, oggi entriamo più nel dettaglio, tornando là dove l'Afghanistan è diventato uno scenario di guerra: la scrivania di George W. Bush.

L'ex presidente, stando ai dati dei “Top recipients” del Center for Responsive Politics (CRP), era al primo posto alle elezioni del 2004 con 1.125.915 milioni di dollari (il democratico John Kerry, che lo sfidava, con 684.423 dollari arriva secondo anche in questa classifica).

Da questi dati è possibile fare almeno due considerazioni: innanzitutto che per capire come andranno le presidenziali del 2016 bisognerà guardare più ai finanziamenti di BigPharma che a idraulici o campagne elettorali porta a porta, e che le case farmaceutiche hanno una particolare “abilità” nel finanziare maggiormente il candidato scelto da quel “volere popolare” che, mai come in questo caso, diventa espressione “poetica e suggestiva”, parafrasando Giorgio Gaber. Ma i rapporti tra Presidenti e case farmaceutiche, naturalmente, non si chiude solo alla voce “grandi finanziatori”, anzi.

Quelle mail che scottano. Nel 2009 scoppia il caso: il periodo è quello delle discussioni relative alla Riforma Sanitaria, approvata solo lo scorso anno. Una serie di e-mail pubblicate dal New York Times svelarono i lavori “diplomatici” tra Nancy-Ann DeParle, consulente di Obama sul testo della riforma e i più potenti lobbisti delle multinazionali del farmaco. Lo scopo, naturalmente, quello di far passare la legge. In cambio BigPharma chiese – ottenendola - una sola cosa: avere mano libera sui prezzi di alcune medicine.

EliBush. Ancor più interessanti, anche per una semplice questione temporale, sono però i rapporti tra le case farmaceutiche e l'Amministrazione Bush che ha materialmente iniziato la campagna militare d'Afghanistan.

Se noti sono i rapporti della Pfizer con l'ex Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld attraverso la G.D. Searle&Company - di cui dal 1997 è stato presidente fin quando non è stato chiamato da George W. Bush - meno lo sono probabilmente i rapporti tra quest'ultimo e la Eli Lilly. Il padre ha fatto parte del consiglio di amministrazione della società mentre Bush jr ha prelevato da questa sia l'ex governatore dell'Indiana (e responsabile per le operazioni nel Nord America) Mitch Daniels che Randall L. Tobias, che della società è stato presidente. Jacob Lew, dallo scorso febbraio Segretario di Stato, è invece l'uomo della casa farmaceutica nell'amministrazione Obama.

In questa sede, tra i tre, il più interessante è sicuramente Tobias, travolto dallo scandalo che nel 2007 trovò il suo nome – insieme ad altri 15.000 – nelle liste della Pamela Martin and Associated, il servizio di escort fornito alla upper class di Capitol Hill da Deborah Jane Palfrey, meglio nota come “D.C. Madam”, poi suicidatasi. Prima di dimettersi, l'Amministrazione Bush aveva affidato proprio a Tobias la gestione del fondo da 15 milioni di euro per la lotta all'Aids che, da vice del Segretario di Stato Condoleeza Rice, venne nominato amministratore dell'U.S. Agency for International Development (UsAid), l'Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale. Un nome sul quale torneremo in seguito.

Se entro i confini statunitensi il ruolo politico delle case farmaceutiche è così ampio – oltre ai rapporti politici veri e propri ben 95 componenti del comitato scientifico dell'American Psychiatric Association (su 170) che ha curato il DSM IV, hanno avuto rapporti economici con le case farmaceutiche tra il 1989 ed il 2004 - non di meno lo è all'estero, da dove BigPharma ottiene un terzo dei suoi profitti totali (103 miliardi di dollari) ed è in grado di interferire con le decisioni di altri governi, come racconta il caso di Peter Sawicki, direttore e fondatore dell'Instituts für Qualität und Wirtschaftlichkeit im Gesundheitswesen (IQWiG), che in Germania regola l'immissione dei farmaci, accusato di essere troppo rigido nelle sue valutazioni rendendo difficile l'operato delle case farmaceutiche. Le accuse di scarsa trasparenza mosse da Sawicki portarono alla richiesta da parte delle multinazionali del farmaco di inserire la Germania nella lista nera dei paesi protezionisti. Più che noti, poi, i casi di “revolving doors” sia nazionali che internazionali.
Nel 2010, infine, un'indagine portata avanti dal Dipartimento di giustizia americano e dalla Sec, la Consob americana, ha definito come le società farmaceutiche «pagavano governanti, medici, agenti di commercio. Pagavano e forse continuano a pagare ancora per vedersi autorizzare un farmaco, riuscire a fare approvare una medicina, costringere a scegliere un prodotto invece di un altro». 

Approfondimento: “The pharmaceutical industry as a political player”, John Abrahma, The Lancet, novembre 2012.

PfizerTurchia, ufficio Afghanistan. Una lista probabilmente non esisterà mai. Nessuno saprà con certezza quali società farmaceutiche stanno approfittando della guerra afghana. Una di queste è sicuramente la Pfizer, che attraverso i suoi uffici turchi controlla dieci paesi dell'area caucasica e dell'Asia centrale tra cui l'Afghanistan. «L'oppio non è soltanto la droga. L'oppio è la base della morfina, è alla base, dunque, di tutti gli antidolorifici che oggi mandano avanti e fanno vivere senza dolore tutti i malati, non solo quelli terminali. Pensiamo al cancro e a quanti medicinali a base di oppio vengono utilizzati per alleviare il dolore», ha dichiarato il generale Fabio Mini[1] per l'inchiesta Afghanistan di Giorgia Pietropaoli (ampiamente citato nel suo libro “Missione Oppio”). Medicinali che servono ad alleviare anche un altro genere di “dolore”: quello economico-finanziario delle grandi case farmaceutiche.


Note:
[1] "Missione Oppio. Afghanistan: cronache e retroscena di una guerra persa in partenza” di Giorgia Pietropaoli edito da Alpine Studio nel 2013, pag 236.
[4- Continua domani]

Già pubblicati:
[1-Afghanistan, l'editto anti-oppio e lo "strano" tempismo di una guerra che non finirà, 9 luglio]
[3- Il Signor Smith svela la "Missione oppio". Intervista a Giorgia Pietropaoli, 10 luglio]
[3- L'oppio afghano finanzia le campagne elettorali (statunitensi)?, 11 luglio]

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