Karzai ammette: presi soldi dagli Stati Uniti (e dall'Iran)

foto: decryptedmatrix.com

Kabul (Afghanistan) – Si è sempre detto che Hamid Karzai fosse un presidente più amato dagli Stati Uniti che dal popolo afghano. Ora, grazie alle rivelazioni di Matthew Rosenberg del New York Times, quelle voci trovano ulteriore conferma. Negli ultimi dieci anni, infatti, la Cia ha depositato mensilmente valigette piene di denaro negli uffici del presidente e che finivano nelle mani di membri del Consiglio Nazionale Afghano, tra i quali Mohammed Zia Salehi, arrestato nel 2010 per traffico di denaro, finanziamento ai Taleban e commercio di oppio, al culmine di un'operazione di contrasto alla corruzione che aveva il suo fulcro nella Kabul Bank

Quei soldi, secondo Karzai, sono serviti per curare i feriti, per l'istruzione dei giovani o per altre operazioni comunque legali. Secondo le fonti del quotidiano newyorkese – funzionari statunitensi rimasti anonimi – sono stati invece utilizzati per corrompere politici e signori della guerra, tra i quali alcuni al governo, come i vicepresidenti Muhammad Qasim Fahim e Karim Khalili.

La notizia di per sé non stupisce e, anzi, più che di scoop sarebbe forse più giusto parlare di ammissione. Non essendo riusciti a batterli sul campo, attraverso Karzai gli Stati Uniti hanno lavorato ad un piano alternativo: comprarsi i signori della guerra afghani a suon di milioni di dollari, forse l'unico modo per realizzare una exit-strategy davvero sicura. L'unico risultato realmente ottenuto è stato infatti quello di dare protezione, soldi e legittimità alle stesse reti – il traffico di droga, i Taleban – che ufficialmente si combattevano.

«Noi li chiamavamo “soldi fantasma”. Arrivavano in segreto, ripartivano in segreto» ha raccontato al New York Times Khalil Roman, dal 2002 al 2005 vice capo di gabinetto di Karzai, che fino al 2010 riceveva con lo stesso sistema soldi anche dall'Iran, il cui scopo dichiarato era quello di spaccare l'asse Kabul-Washington, con gli americani che avevano tutto l'interesse a tenersi buono il potente gruppo di potere che ruota intorno al presidente.
Non è chiaro se gli americani abbiano ricevuto ciò che volevano, anche alla luce del fatto che – scrive Rosenberg - «invece che ingraziarselo, i pagamenti sembrano ben illustrare l'opposto: Karzai sembra non essere comprabile».

Oltre a Fahim si sa che parte del denaro è finito nelle tasche del fratello del presidente, Ahmed Walid Karzai, a capo del Kandahar Strike Force fino al suo omicidio, avvenuto nel 2011.

Secondo i funzionari afghani, il flusso di denaro proveniente da Teheran - che finivano principalmente nelle mani del capo dello staff di Karzai, in depositi bancari a nomi di quest'ultimo o negli uffici presso il palazzo presidenziale - era molto più tracciabile dei soldi “fantasma” americani.

Il ruolo di Salehi.
Con le informazioni rivelate da Rosenberg, la vicenda legata all'arresto di Salehi assume una nuova chiave di lettura. Lo stesso Karzai aveva dato il suo beneplacito all'operazione, finché una telefonata dello stesso Salehi nel cuore della notte non fece cambiare idea al presidente. Il motivo, ammise Karzai mesi fa durante il programma “This Week” della ABC, riguardava le modalità dell'arresto, con trenta uomini mascherati e muniti di kalashnikov che prelevarono l'ex membro del CNA dalla sua casa nel bel mezzo della notte. «Questo è ciò che accadeva nei giorni dell'Unione Sovietica» - dichiarava il presidente afghano - «quando in nome dello stato le persone venivano prelevate dalle loro abitazioni da persone armate e sbattute in oscure prigioni e in processi sommari».
Ma Salehi è stato arrestato in maniera legale, con tanto di approvazione di Karzai.

Del caso si occupava la Major Crimes Task Force, una delle due squadre – l'altra era la Sensitive Investigations Unit che ha lavorato sul caso della Kabul Bank – create dal generale David Petraeus, all'epoca comandante delle operazioni militari americane nel settore medio-orientale, per fronteggiare la corruzione nel paese. Karzai non solo giurò che entrambi i gruppi sarebbero stati sciolti, ma ridusse la paga dei procuratori speciali – che era stata portata ad 800 dollari come “premio” per il loro operato – e retrocesse i pubblici ministeri che avevano condannato Salehi, chiudendo agli Stati Uniti qualunque altra possibilità di indagine.

Tutto il sistema viene quindi smantellato, con Petraeus mandato a dare la caccia agli insorti e Salehi che diventa l'intermediario tra gli Stati Uniti ed il governo Karzai per il passaggio di denaro. Una riabilitazione completa nel giro di poche ore che lascia più di un dubbio. Il presidente lascerà infatti a fine mandato, nel 2014, e dopo gli accordi di Doha forte è la sensazione che il nome del successore possa essere proposto direttamente dai Taleban.  

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