"Fratelli Cecenia", gli attentatori di Boston tra ignoranza e strumentalizzazione

Tamerlan (a sinistra) e Dzokhar Tsarnaev (a destra)
foto: repubblica.it
Boston (Massachusetts, Usa) – È stata definita un nuovo 11 settembre da chi vi ha preso parte. Si è parlato – non senza evidente esagerazione giornalistica – di “strage”. Ma cosa è stato, davvero l'attentato della maratona di Boston dello scorso 16 aprile? Troppe le chiavi di lettura che sono state fornite nelle ore e nei giorni immediatamente successivi: il gesto di un folle, un attentato organizzato da movimenti anti-patriottici o troppo patriottici data la prossimità del Patriot Day, infine la pista internazionale, con la Cecenia diventata, per qualche giorno, il fulcro del nuovo asse del male, in attesa che – venuto meno lo sceicco del terrore e depotenziato il mad dog coreano – il mondo conosca nomi e città della nuova geografia del terrorismo internazionale.

Il primo ad essere stato incolpato delle bombe alla maratona di Boston è un ragazzo di 17 anni, Salah Barhoun, fa il maratoneta per la sua scuola. Era lì per guardare la corsa non potendovi prendere parte. La sua unica colpa? Avere la pelle nera, come rimarcherà inizialmente la CNN. Il riconoscimento sembra però più frutto del “denuncismo” della rete – le foto rilasciate dalle forze dell'ordine hanno, come di consueto, scatenato una dilettantistica caccia all'uomo - che non di attività investigativa propriamente detta. La matrice dell'attentato è, secondo le prime analisi, chiaramente internazionale. Per quale motivo rimarrà un mistero.
L'FBI infatti si corregge poco dopo, rilasciando un'altra foto. Due giovani di sesso maschile, razza caucasica, berretto da baseball in testa. Praticamente il 90% dei giovani statunitensi. La matrice dell'attentato diventa dunque interna. Sicuramente il gesto di un folle isolato o un'attentato a sfondo razzista. Il perché, anche in questo caso, rimane un mistero.

Così come un mistero rimane, allo stato delle cose, capire le motivazioni che hanno spinto due fratelli, Tamerlan e Dzokhar Tsarnaev a compiere l'attentato. Sono loro, stando alle nuove foto, i due giovani caucasici col berretto in testa. L'identificazione fotografica, che costituisce la prova principale del loro coinvolgimento, potrebbe però non essere poi così certa. Con i loro nomi che escono sui giornali, comunque, si chiude la caccia all'uomo. E si aprono gli interrogativi. I due – come scrive l'antropologa ed esperta di media Sarah Kendzior su Al Jazeera - diventano ben presto «il genere sbagliato di caucasici».
Dzokhar, 19 anni, è nato in Kirghizistan. Suo fratello Tamerlan, ucciso durante le ricerche delle forze dell'ordine, era nato 26 anni fa in Russia. Trasferitisi dieci anni fa negli Stati Uniti in fuga dalla seconda guerra cecena, il primo era diventato cittadino statunitense lo scorso anno.

La vita dei due – sia offline che online - viene immediatamente scandagliata. Si dice abbiano tratto ispirazione da “Inspire”, magazine di Al Quaeda non così difficile da reperire su internet e dunque potenzialmente alla portata di tutti. Allo stesso modo, tornando indietro di qualche anno, si potrebbe chiedere ai giornali italiani quanti potenziali “bombaroli” siano stati intercettati dalle cronache degli ordigni preparati dall'Unabomber italiano, autore rimasto sconosciuto – tanto da non sapere neanche se declinarlo al singolare sia corretto – di circa una trentina di azioni tra gli anni '90 e il 2006 e poi sparito dalle cronache.
Per quanto riguarda la vita sui social media dei due, l'indizio principale della colpevolezza del più giovane dei due fratelli la CNN lo trova su Twitter. In un tweet di risposta del suo profilo datato 10 agosto 2012, cioè quasi un anno prima dell'attentato

Dzokhar scrive che «la maratona di Boston non è un buon posto dove fumare». «Potrebbe voler dire tutto o niente. Non lo sappiamo», commentava il giornalista del network statunitense guardando dritto in camera per trovare l'empatia ed il pathos giusti con i propri spettatori, come evidenziato in un interessante articolo di Matthew Kupfer su Registan.net. Quel “non lo sappiamo” diventa, comunque, un modo per insinuare – dato che allo stato dei fatti non vi sono riscontri effettivi – che i due fratelli facessero parte di un non meglio specificato “terrorismo islamico ceceno”. Un po' come pretendere che tutti gli anti-berlusconiani italiani attivi sui social network siano potenziali attentatori del più volte presidente del Consiglio italiano.
Così come potenziali attentatori di matrice religiosa potrebbero diventare i tanti cospirazionisti italiani. Alyssa Lindley Kilzer ha raccontato sul suo blog Tumblr – come ha evidenziato ancora una volta la CNN - come la famiglia Tsarnaev avesse abbracciato le teorie cospirazioniste sul 9/11, diventate elemento di “fervore religioso”.
Chissà, poi, cosa si scoprirebbe utilizzando il parametro della CNN sugli account dei militari americani impegnati ad esportare Democrazia e Terrore in posti in cui una telecamera puntata non la trovi (quasi) mai, come per i 200 iracheni morti in quattro giorni nelle scorse settimane.

La pista del “terrorismo ceceno in America” - per il quale non ci sono precedenti - diventa l'unica spiegazione plausibile per l'attentato. L'identità individuale dei fratelli viene sostanzialmente cancellata. I due diventano, come scrive la Kendzior, il «simbolo stereotipato di una terra lontana, congelata nel tempo». C'è chi - come Eliza Shapiro del Daily Beast - riesce a trovare segnali in tal senso anche dal nome del maggiore dei fratelli, Tamerlan, lo stesso di un “signore della guerra” del 1300. I fratelli Tsarnaev diventano, grazie a questa ricostruzione, i “Fratelli Cecenia”. «Enfatizzando l'etnicità degli Tsarnaev al posto della loro scelta individuale e rappresentando questa etnia come barbara e violenta» - ha scritto la Kendzior - «i media hanno creato la falsa immagine destinata dai loro nomi e dalla loro “cultura del terrore” ad uccidere. Non ci sono persone in Cecenia, solo simboli». Niente, inoltre, vi era nel passato dei due ragazzi che possa ricondurre a tale matrice, così come la stessa Fbi aveva evidenziato nel 2011, quando aveva interrogato il maggiore dei fratelli su segnalazione proveniente direttamente da Mosca, dopo un viaggio di Tamerlan in Daghestan considerato “sospetto” dai russi.