#Celochiedeleuropa. Partenariato orientale: tra gasdotti e diritti umani (dimenticati)

foto: geopolitica.info

Baku (Azerbaijan) – Nei primi giorni di maggio il Commissario per l'allargamento e la politica europea di vicinato, il ceco Štefan Füle era a Baku, capitale dell'Azerbaijan nell'ambito del Partenariato Orientale, l'accordo di associazione stipulato nel 2009 dall'Unione Europea per avvicinarsi a sei paesi dell'area ex-sovietica (Ucraina, Georgia, Armenia, Azerbaijan, Moldavia e Bielorussia, chiudendo in quest'ultimo caso entrambi gli occhi sul regime di Alexander Lukashenko) attraverso accordi multilaterali e bilaterali.
Tale accordo – al quale nella primavera del 2011 è stata associata l'Assemblea parlamentare UE-Vicinato orientale (EURONEST) e che riguarda anche i paesi del Caucaso meridionale – insieme all'Unione per il Mediterraneo- fa parte della Politica Europea di Vicinato (PEV) volta a «contribuire a rafforzare la stabilità, la sicurezza e la prosperità dei vicini dell'UE a est e a sud, e quindi la sicurezza e la prosperità dell'Unione europea stessa». 

Approfondimento #1: Il partenariato orientale e la doppia periferia europea

Un Partenariato dal volto politico? L'European External Action Service è il sistema diplomatico dell'Unione, istituito dal Trattato di Lisbona ed entrato in attività il 1 dicembre 2010. Guidato dall'Alto rappresentante per gli Affari Esteri, carica ricoperta attualmente dalla britannica Catherine Ashton, vede uno dei punti chiave del suo operato nella European Neighbourhood Policy (ENP, “Politica di vicinato” in italiano) nella quale, per ovvi motivi geografici prima ancora che di politica internazionale, un ruolo cardine è ricoperto dal Partenariato con i paesi dell'ex blocco sovietico, in bilico tra l'appartenenza all'europa delle istituzioni e la nuova-vecchia politica russa nell'area. Proprio per fra fronte a ciò, la ENP – nata sotto un'ottica prettamente “tecnica” - si sta trasformando in un operato fortemente politico, volto in particolar modo a favorire – anche attraverso la “messa all'indice” attraverso il cosiddetto naming and shaming – lo sviluppo di pratiche democratiche in quei paesi guidati da leader che non rientrano nella lista dei “democratici” ma i cui paesi ricoprono per motivazioni varie un ruolo importante nello sviluppo europeo. Mosca accusa per questo l'Europa di utilizzare il Partneariato come strumento di “cooptazione” degli stati delle ex-repubbliche sovietiche per erodere il suo spazio di influenza.

Quei diritti umani ad intermittenza. All'ordine del giorno degli incontri il tentativo di capire come sbloccare una situazione che, ferma dall'Accordo di Cooperazione del 1996, potrebbe portare i paesi dell'Unione a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia – dalla quale arriva circa un quarto dei 500 miliardi di metri cubi di gas annui che costituiscono il mercato dell'Europa occidentale - grazie allo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi azeri e tentare di risolvere le tensioni createsi con l'Armenia nella provincia autoproclamatasi indipendente del Nagorno-Karabakh, quel "piccolo Kosovo dimenticato" da media e diritto internazionale tra Armenia e Azerbaijan che proprio nel petrolio di Baku vede la principale motivazione per il non-intervento della comunità internazionale. «Il nodo della questione» - scriveva Silvia Padrini su EastJournal.net - «sta nell'incompatibilità delle pretese che si trovano sui due piatti della bilancia: interessi petroliferi vs. principio di autodeterminazione dei popoli». Da qui anche gli schieramenti creatisi intorno ai due poli del conflitto, con Iran e Russia dalla parte armena e l'Unione Europea schierata – insieme alla Turchia – con gli azeri anche per l'importanza che il paese ricopre nella geografia dei gasdotti.

Sotto la contestata quasi-dittatura di Ilham Aliyev, eletto nel 2003 a seguito della controversa candidatura voluta dall'ex presidente, il padre Heydar, l'Azerbaijan ha potuto registrare un evidente boom economico, con il Prodotto Interno Lordo triplicato ed il tasso di povertà diminuito dal 45% del 2003 al 9% del 2010.
Negli ultimi anni, però, questa crescita è andata rallentando, in quanto sorretta dalla erosione dei diritti democratici e dalla sempre maggiore corruzione, che nel lungo periodo ha disincentivato gli investimenti esteri, come la fuga della multinazionale Nestlé lo scorso anno. In più, dei proventi del petrolio – il cui picco di sfruttamento massimo è stato raggiunto nel 2010 – hanno beneficiato più le élites che non la popolazione civile.

La Commissione Europea denuncia come il paese sia ancora lontano da una condizione di democrazia compiuta, che non permette la piena indipendenza della magistratura e dove il rispetto e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali non è garantito. In attesa di risolvere questi problemi i contratti sulle forniture di gas vengono comunque firmati anche da Bruxelles.

Gli incontri con il Commissario Füle hanno inoltre riguardato la semplificazione del sistema dei visti e l'accordo di riammissione di persone in posizione irregolare (qui un articolo esplicativo di MeltingPot.org sui similari accordi Ue-paesi balcanici) l'accordo sullo spazio aereo comune e, soprattutto, l'ulteriore passo in avanti sul Corridoio Sud, progetto lanciato nel 2003 da Bruxelles per portare il gas dal Mar Caspio all'Europa Occidentale aggirando il territorio russo ed attraversando lo “stato dimenticato” della Cecenia. Scopo principe del Corridoio è, infatti, diminuire la dipendenza energetica da Mosca.

L'Azerbaijan – che all'inizio di quest'anno ha riaperto le trattative per il gasdotto Trans Caspico per portare in Europa il gas di un'altra delle “dittature dimenticate”, il Turkmenistan di Gurbanguly Berdimuhamedow - si trova dunque a ricoprire un ruolo importante nella ridefinizione degli equilibri legati al sistema dei gasdotti e dei Corridoi. Con la presenza del giacimento di Shah Deniz sul suo territorio, il governo azero è chiamato a definire quale dei due gasdotti – Nabucco o Trans Adriatic Pipeline – definirà gli equilibri geopolitici nell'area nei prossimi anni. Dopo la crisi con l'Ucraina del 2009 che portò al blocco delle forniture, l'Unione Europea ha dato maggiore impulso ad una strategia di diversificazione delle proprie fonti di approvvigionamento, date le ripetute intemperanze tra Mosca e Kiev che potrebbero in futuro portare a nuovi blocchi. Da qui la necessità, per Bruxelles, di evitare una «discussione sui meriti» dei due gasdotti, come ha chiesto il Commissario all'energia Günter Oettinger in una lettera all'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Catherine Ashton, esortando i paesi membri ad evitare “partigianerie” e a non dividersi nella scelta dei progetti, situazione che porterebbe ad una spaccatura dalla quale nessuno avrebbe reale vantaggio.

La scelta, disse il ministro dell'Industria e dell'Energia azero Natig Aliyev dopo l'incontro di aprile con Ola Borten Moe, ministro del Petrolio e dell'Energia norvegese, verrà fatta tenendo principalmente in conto quale dei progetti sarà commercialmente più appetibile.

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