Negoziati Serbia-Kosovo, cadono nel vuoto i nuovi tentativi di dialogo

foto: balcanicauaso.org 
Bruxelles (Belgio) - Sono durate in tutto 12 ore le trattative dell'ottavo ed ultimo incontro sui negoziati per la normalizzazione delle relazioni bilaterali tra Serbia e Kosovo, poi le parti si sono aggiornate al nuovo incontro – previsto per la prossima settimana - con un nulla di fatto. «Le delegazioni ora torneranno in patria per consultazioni, e mi annunceranno le proprie decisioni nei prossimi giorni», ha detto Catherine Ashton, Alto rappresentante UE per gli Affari Esteri chiamata a far stringere la mano ad Hashim Thaçi (qui due articoli sul controverso leader della resistenza antiserba, da Cafebabel.com  e Presseurop.eu) e Ivica Dačić, primi ministri di Kosovo e Serbia. «Il divario tra le parti è molto stretto ma resta profondo» è stato il commento della Ashton a conclusione degli incontri.

Le delegazioni si sono scontrate sull'argomento più spinoso: le competenze di quella che dovrebbe diventare l'Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comprendente l'area di Mitrovica nord, e le municipalità di Zubin Potok, Zvecan e Lepasovic) chiesta da Belgrado – che vorrebbe dotarla di poteri esecutivi e di controllo su polizia e giustizia - in cambio dello smantellamento delle proprie strutture nella zona nord del Kosovo abitata al 94% da serbi in un paese a maggioranza albanese. Di ben altro avviso Thaçi, che ha evidenziato “l'estremo altruismo” delle sue condizioni, forte anche del favore di Unione Europea e Stati Uniti.
Durante il quarto incontro tenutosi a gennaio, era stata trovata un'intesa sulle entrate doganali di Jarinje e Brnjak, viste come punti di confine o checkpoint a seconda dell'interpretazione che se ne vuole dare.

Per la comunità serba del nord del Kosovo - che non ha mai riconosciuto il governo di Priština, istituito dopo l'indipendenza del 2008 - questa integrazione è vista come un vero e proprio tradimento. Tra i principali sostenitori del progetto ci sono infatti sia Ivica Dačić che Tomislav Nikolić, nel 1999 rispettivamente portavoce e vicepremier di Slobodan Milošević, non esattamente la stessa posizione politica di allora. Nikolić, da maggio 2012 presidente della Repubblica di Serbia, aveva basato la campagna per le presidenziali proprio sullo scioglimento dei precedenti negoziati, contrari agli interessi dei serbi dell'enclave, che accusano Belgrado di aver ceduto alle pressioni occidentali (una condizione imprescindibile per il dialogo su futuri ingressi nell'Unione).«Nonostante quello che abbiamo passato negli ultimi 13 anni, l'umiliazione più dolorosa per i cittadini del nord del Kosovo è che tutti gli sforzi fatti per restare parte delle istituzioni della Repubblica di Serbia vengono ora sabotati proprio da Belgrado, e la cosa più tragica è che con i suoi negoziati lampo Dačić ci ha tolto dalle mani l'arma più preziosa: la disobbedienza civile, utilizzata per resistere ad un'integrazione imposta in un sistema che i serbi del nord non vogliono», ha detto Goran F., originario del villaggio di Banjaska, a Osservatorio Balcani e Caucaso.

Chi rischia di più dal mancato accordo è proprio la Serbia. Senza accordo, infatti, non solo i comuni serbi del Kosovo passerebbero sotto il governo di Priština, ma avendo rifiutato di collaborare alla risoluzione di una importante controversia regionale, la marcia di avvicinamento tra Belgrado e Bruxelles sarebbe fortemente rallentata. Con le mani (legate) agli accordi con il Kosovo, la comunità volge lo sguardo a Mosca, che - non riconoscendo l'indipendenza dell'ex provincia serba - nei giorni scorsi ha inviato l'ambasciatore Aleksandar Čepurin per cercare di interferire nei negoziati. «L'unica soluzione che vedo per la Serbia è unire le forze con la Russia», ha detto l'ambasciatore, sottolineando come la linea tenuta da Mosca sia quella di rispettare la Risoluzione ONU 1244  guardando a Belgrado anche come un futuro partner commerciale - un modo per ristabilire parte dell'influenza persa nell'area - per l'Unione Doganale Eurasiatica, la zona di libero scambio che attualmente coinvolge, oltre alla Russia, anche Bielorussia, Kazakistan e Ucraina.

Pur con una evidente tensione, i negoziati non sono da considerarsi ancora completamente falliti. Se da Bruxelles non sono infatti arrivate buone notizie non è detto che queste non possano arrivare nei futuri incontri tra le parti, il primo dei quali previsto già per la prossima settimana. Qualora si dovesse raggiungere un accordo  i leader europei potrebbero dare la loro approvazione per l'avvio delle discussioni nelle riunioni di ottobre e dicembre. Tempi che dipendono però anche dagli Stati membri, in particolare dalle elezioni che si terranno in Germania a settembre. Il via libera tedesco è infatti condizionato dal parere del Bundestag, che potrebbe anche decidere di rimandare la discussione al prossimo anno.