Camp Nama: la base degli orrori anglo-americani in Iraq

foto: orianomattei.blogspot.com
Londra – Dopo Abu Ghraib, dopo lo scandalo di Base España, adesso è l'esercito britannico a doversi sedere sul banco degli imputati per la guerra in Iraq. Pochi giorni fa, il ministro degli Esteri britannico William Hague aveva vietato ai colleghi del governo di parlare del conflitto durante il decimo anniversario dell'invasione dell'Iraq. Ieri, infatti, il Guardian ha raccontato degli abusi perpetrati dai militari britannici e statunitensi a Camp Nama, situato presso il Baghdad International Airport e quartier generale della Task Force 121, a cui i britannici partecipavano con membri dello Special Boat Service (SBS) e dello Special Air Service (SAS)

Oltre trenta i militari di questa task force finiti sotto inchiesta – undici quelli rimossi in via definitiva - per i metodi di gestione dei dentenuti. Il gruppo era stato creato per interrogare quei prigionieri iracheni sospettati di essere in possesso di informazioni sensibili sulle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e su Abu Musab al-Zarqawi, all'epoca ai primi posti della lista dei ricercati americani. Persino il Pentagono si lamentò per i metodi di interrogatorio e detenzione particolarmente brutali. Tra questi la “black room”, la sala delle torture completamente dipinta di nero, senza finestre e con dei ganci che pendevano dal soffitto molto simile a quella che si vede nelle scene iniziali di Zero Dark Thirty, il film di Katheryn Bigelow dello scorso anno sull'omicidio di Osama Bin Laden. Come si apprende inoltre da alcune testimonianza raccolte da Human Right Watch, tra le peculiarità di Camp Nama c'era “il canile”, un centinaio di celle larghe due metri e alte un metro e mezzo dove i detenuti erano costretti a stare accucciati, nelle quali la temperatura notturna andava spesso sotto zero e di giorno – grazie alle lamiere dei tetti – era altissima.

Prima tappa – insieme a Base España, dove era di stanza il contingente spagnolo – verso la più famosa Abu Ghraib o verso la base aerea afghana di Bagram. Ad aprile 2004 scoppia lo scandalo delle fotografie della vergogna, pochi giorni dopo la Task Force viene rinominata, diventando Task Force 6-26. Un cambio di nome – non l'unico – necessario a confondere gli avversari ma soprattutto impedire alla corte marziale di poter identificare i membri per condannarli individualmente per gli abusi.
É proprio come Task Force 6-26 – il cui slogan suonava più o meno come “Se non sanguinano, non sei perseguibile” - che nel 2006 se ne occupa il New York Times (qui l'articolo di Eric Schmitt e Carolyn Marshall, con descrizione dettagliata del campo). «La verità è che lì non c'erano regole», disse all'epoca un ufficiale del Pentagono intervistato dal quotidiano americano.

Stati Uniti, Spagna, Regno Unito. Che sia finalmente arrivato il momento di raccontare la vera Storia della guerra in Iraq, non solo nelle cronache – o nelle aule di tribunale, come quelle che già accolgono l'Iraq Inquiry - ma anche sulla storia ufficiale?
Di quante altre nazionalità si comporrà, ancora, l'esercito dei torturatori?

Approfondimento fotografico: 
Camp Nama: Baghdad's secret torture facility (dal Guardian)