Lobby, Regione, dibattito. Intervista a Maria Cristina Antonucci (4/4)

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[Parte 1: Democrazia, partiti e utilità del lobbismo. Intervista a Maria Cristina Antonucci (1/4)]
[parte 2: Lobby, Europa e società civile organizzata. Intervista a Maria Cristina Antonucci. (2/4)]
[Parte 3: Lobbisti, faccendieri e stereotipi. Intervista a Maria Cristina Antonucci. (3/4)]

foto: http://euact.eu/
Roma - Quarta ed ultima parte dell'intervista alla dottoressa Maria Cristina Antonucci  - ricercatrice in Scienze sociali presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) grazie alla quale abbiamo cercato di capire chi siano davvero i lobbisti al di là degli stereotipi e come questi si muovano nelle istituzioni europee e verso il decisore pubblico italiano. Non resta che andare a guardare l'ultimo dei tre livelli nei quali questi si muovono, quello più vicino alla quotidianità della gente: il piano regionale.

Toscana, Molise, Abruzzo, Veneto, Emilia-Romagna sono alcune delle regioni che hanno – o stanno tentando – un regolamento del settore lobbistico. Può essere quello regionale un piano con il quale, sostanzialmente, bypassare l'incapacità di normare il piano nazionale?

Purtroppo, in carenza di una legge nazionale le discipline regionali emerse, pur se apprezzabili, non risultano sufficienti per trainare il modello di regolazione italiano del lobbying. La difficoltà principale si pone con riferimento ai tentativi di legislazione regionale non ancora andati a buon fine, come nel caso del Veneto. La proposta di legge regionale veneta presentata di recente prevedeva un obbligo di iscrizione dei lobbisti al Registro della trasparenza della Regione, venendo così a fornire una disciplina di dettaglio regionale per una professione non regolamentata a livello nazionale. Il potenziale conflitto di competenze legislative tra livello nazionale e livello regionale, con la conseguenza di un possibile annullamento ex post della legge regionale, si pone in maniera seria.
Nei tre casi di leggi regionali approvate (L. R. 5/2002 della Regione Toscana, della Regione Molise, e L. R. 61/2010 della Regione Abruzzo) , si è invece prevista la facoltatività dell’iscrizione ai registri regionali – in cambio di incentivi selettivi - per i lobbisti che intendevano esercitare la propria attività nei confronti di Consiglio (Toscana e Molise) e Giunta (Abruzzo). Il modello di riferimento evidente è la regolazione della Commissione europea, ben nota per trascorse vicende politiche dei proponenti delle leggi regionali toscana e abruzzese, Nencini e Chiavaroli.
E tuttavia vorrei sottolineare come se anche le leggi e i progetti di legge regionali non possono da soli supplire ad una organica disciplina legislativa nazionale in materia, essi dimostrano come la questione del rapporto tra gruppi di pressione e istituzioni politiche sia stata correttamente intesa, nella sua importanza e nelle sue conseguenze, dai sistemi politici regionali, il cui personale politico abbia avuto esperienze all’interno delle istituzioni europee.

Questo intersecarsi dei piani della sperimentazione politica, tra Europa e Regioni, si può rivelare, molto più di alcune limitate, recenti iniziative in materia di politiche agricole, come un elemento di dinamismo per l’intero sistema politico italiano.
 
Dal suo libro sembra di poter definire due modelli di riferimento nell'ambito regionale. Da un lato quello “tosco-molisano”, dall'altro quello “abruzzese”. In cosa si differenziano questi modelli e quale, tra i due, è quello che sembra poter ottenere una maggiore trasparenza nel settore?


I due modelli sono differenti relativamente a tre caratteri. In primo luogo vorrei segnalare tempo di ideazione ed implementazione: la legge regionale della Toscana è del 2002, il testo molisano del 2004, la norma abruzzese risale invece alla fine del 2010. Poi, trovo che ci siano delle differenze significative circa la motivazione dell’atto legislativo: nel caso toscano si è intendeva inserire nel circuito politico-istituzionale i molti soggetti associativi caratteristici della cultura civica regionale, prevedendo così forme ulteriori di partecipazione; nel caso abruzzese, si è rivelata prevalente l’esigenza di garantire una maggiore trasparenza delle istituzioni regionali, coinvolte in alcuni casi negli scandali della ricostruzione successiva al terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. Infine, trovo che ci siano  delle differenze significative anche per tipologia di soggetti istituzionali previsti dalle norme: nel caso toscano-molisano, è prevista un’attività di lobbying dei gruppi regionali solo nei confronti del Consiglio Regionale, nel caso abruzzese vengono dettate norme per la regolazione del lobbying anche nei confronti della Giunta regionale. Si tratta di un processo che, in analogia con le dinamiche politiche nazionali, vede spostare l’asse decisionale dall’organismo di rappresentanza politica all’ organismo esecutivo del sistema politico regionale e che intende disciplinare secondo trasparenza il lobbismo esercitato anche nei confronti di questo crescente potere regionale. In questo senso, prevedendo una disciplina del lobbismo tanto nei confronti del Consiglio regionale quanto nei confronti della Giunta, la norma abruzzese garantisce una maggiore trasparenza e rappresenta un buon benchmark anche per una eventuale disciplina nazionale.
 
Quanto può essere importante, per questioni come la maggiore trasparenza di cui abbiamo ampiamente parlato, l'emersione di un vero e proprio dibattito sugli organi di informazione che coinvolga il decisore pubblico, i gruppi di pressione e la società civile organizzata?


Ritengo fondamentale lo sviluppo di un ampio, informato ed articolato dibattito pubblico sul tema e ritengo che non sia possibile relegare la questione ai (pochi) gruppi di specialisti del settore e ai politici di professione. Penso che sia sempre più necessario prevedere iniziative di informazione sulle intenzioni legislative in materia, seguite da una o più consultazioni aperte a raccogliere le opinioni e le motivazioni dei cittadini, delle associazioni, dei professionisti del settore e dei gruppi operanti nel mondo della rappresentanza degli interessi particolari. Il modello che ho in mente è il sistema di informazione/consultazione partecipata previsto dalla Commissione europea con l'Iniziativa europea per la trasparenza del 2006, che ha organicamente inserito una parte dei contributi giunti dai cittadini nel Quadro di riferimento per le relazioni della Commissione con i rappresentanti degli interessi del 2008, grazie al quale è stato creato il  Registro della Trasparenza. Considero inoltre fondamentale il ruolo della stampa nel fornire una informazione più attenta ed accurata sul tema delle lobby, evitando di ricorrere al termine in maniera impropria e sensazionalistica e cercando di portare invece chiarezza sulla complessità delle dinamiche tra sistema politico, mondo economico, società civile organizzata. Solo in questo modo, grazie al rilevante contributo di organi di informazione di qualità, dotati di un approccio consapevole al tema, una opinione pubblica qualificata potrà fornire il proprio contributo di indicazioni al sistema politico sulla modalità di regolazione più idonea per il lobbismo italiano.

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