#Celochiedeleuropa. Il voto italiano: una minaccia o una promessa per l'Unione Europea?

foto: The Economist
Bruxelles (Belgio) – Beppe Grillo e Silvio Berlusconi vincono, l'unità europea perde. È questo, in soldoni, il commento tipico che media e forze politiche continentali ha hanno fatto dopo le elezioni italiane, con il settimanale britannico The Economist che evidenziava la notizia con un più che eloquente “Send in the clowns” (“Entrano i clown”)
Ma è davvero così? Davvero i due “pagliacci” sono il peggiore incubo per le istituzioni europee? A ben guardare, la storia è esattamente opposta. Ma procediamo per gradi.

Rome wasn't built in a (electoral) day
Ad uscire dalle urne, lo scorso 26 febbraio, è un'Italia che ha dimostrato forte antipatia per Berlino, simpateticità con Londra ed avviatasi lungo la strada che da Atene porta a Lisbona, dove il battibecco Monti-Merkel sull'endorsment di quest'ultima ha rappresentato l'ultimo passaggio di una campagna elettorale all'insegna della scarsa capacità comunicativa, dove il Partito Democratico è riuscito a non-vincere elezioni che aveva in mano non smacchiando completamente il giaguaro (impostando una campagna elettorale su una cosa per la quale persino i propri elettori hanno provato vergogna), consegnando l'Italia alla fase di incertezza nella quale ci troviamo.
Alcune domande, però, possono già avere risposta. Innanzitutto – grazie allo studio dei flussi elettorali fatto dall'Istituto Cattaneo (qui il report) – dai dati sulle nove città prese in esame sappiamo di un elettorato a 5 stelle formato per lo più da elettori insoddisfatti dal partito guidato da Pierluigi Bersani. Emblematico il caso di Firenze, che ha visto ben il 58% dei voti regalati dal Partito Democratico al Movimento 5 Stelle, ed in molti si chiedono cosa sarebbe accaduto se al posto dell'attuale segretario ci fosse stato proprio l'attuale sindaco di Firenze. Democratici che avrebbero forse fatto meglio ad interrogarsi a fondo sul perché in quasi cinque anni abbiano perso circa 3,5 milioni di voti (3.452.606 secondo l'analisi fatta da Giancarlo Bosetti per Reset.it) piuttosto che adagiarsi su uno spirito primario ingenuamente traslato in vittoria alle elezioni nazionali.
Secondo pacchetto di voti, dicono i dati dell'Istituto, arrivato all'M5S dalla Lega Nord, che ha ceduto il 46% dei voti del padovano al movimento di Beppe Grillo, oltre ad avergli ceduto parte dell'identità partitica, in particolare in merito a questioni come l'immigrazione o il forte euroscetticismo. Quest'ultimo, insieme al populismo ed alla moderazione a sinistra – l'ennesima esclusione della fu estrema sinistra dovrebbe insegnare qualcosa ai dirigenti politici dell'area – rappresenta il volto dell'Italia post-elettorale, andata alle urne credendosi invece europeista e progressista.

Italia(ni) all'estero. Una distinzione elettorale.
Numeri che forse sarebbero stati ben diversi se si fosse tenuto conto del diritto al voto di lavoratori e studenti fuori sede. Solo per gli studenti coinvolti dal progetto Erasmusuno dei possibili tagli al Fondo Sociale dell'UE nonostante sia uno dei pochi progetti attraverso i quali creare una identità culturale e sociale realmente europea – si parla di almeno 25.000 persone. Tutti voti che, stando ai racconti di chi è stato coinvolto da questo progetto, sono stati potenzialmente tolti alla cultura europeista del Paese. «Gli Erasmus sono all'estero partecipando a un progetto firmato anche da un governo italiano, lo stesso governo che oggi non riesce a garantire il voto», come ha raccontato Andrea, ingegnere ventiquattrenne in Erasmus a Parigi a Gabriella Conte in un articolo di Cafebabel.it. Quello stesso governo – è bene sottolinearlo – che ha invece concordato con le autorità indiane diritti speciali ai due Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ai quali è stato concesso un permesso di quattro settimane per permettergli di votare dopo quello concesso durante il periodo natalizio (qui la ricostruzione della vicenda da parte di Matteo Miavaldi, giornalista italiano del China Files). Una diversità di trattamento che fa sorgere più di un dubbio sulle priorità italiane.

La fase di stallo nella quale ci troviamo, cristallizzazione di un sistema elettorale fatto apposta per governare solo attraverso ampie maggioranze o sistemi di “Große Koalition” come sarebbe il chiacchierato accordo PD-PDL, nel quale gli euroscettici – circa il 57% degli elettori presentatisi alle urne – superano di gran lunga gli europeisti. La concretizzazione di un incubo per l'intera Europa che dovrà ora interrogarsi su come portare avanti il paradigma “berlinocentrico” dell'austerità in un sistema che sta perdendo il proprio limite periferico, dalla crisi dell'asse mediterranea che dalla Grecia passa attraverso Roma e Madrid per arrivare in Portogallo – dove almeno un milione di cittadini è sceso in piazza sabato e la cui economia potrebbe essere danneggiata dai nostri risultati elettorali - fino a quell'Inghilterra che, mentre cancella l'Unione dai programmi di geografia, con il paventato referendum chiesto da David Cameron potrebbe finalmente decidere se entrare con entrambi i piedi in Europa o uscirne definitivamente (qui l'approfondimento di Presseurop.eu).

 Approfondimenti:
 EuroNews-The Network. Il Regno Unito a un bivio: restare o meno nell'Ue?
David Cameron Full Speech: Britain and Europe - January 23rd, 2013

Il dilemma di Pericle
Chi, invece, ha tutto l'interesse a rimanerci, puntava – e forse punta ancora – alla prosecuzione del governo Monti con altri leader, parafrasando von Clausewitz. Dal presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso, che ha chiesto di continuare «l'ambizioso progetto di riforma» portato avanti dal governo uscente che, «se completato, potrebbe significativamente innalzare il potenziale di crescita» dell'Italia, fino al nuovo presidente dell'Eurogruppo, l'olandese Jeroen Dijsselbloem  che, alla televisione privata olandese RTL-Z, ha evidenziato come un governo stabile a Roma sia importante per tutta l'Europa, sottolineando che «non è importante quale sarà l'aspetto del nuovo governo italiano purché sia all'altezza degli accordi già presi», un governo «in grado di garantire la fiducia dei cittadini e dei mercati», secondo il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle
Se Roma piange, Bruxelles non ride insomma. Perché sulla vittoria del “non-carismatico” Bersani ci aveva puntato tutta quella Europa che vede nel triangolo Parigi-Roma-Madrid un tentativo di bilanciare il “berlinocentrismo” che caratterizza questa fase storica dei rapporti tra gli Stati membri (qui e qui un intervento del filosofo tedesco Jürgen Habermas) Eppure mai come questa volta l'errore di valutazione è evidente. Perché niente come l'avvento dei “due clowns” può fare bene all'unione del continente: portare l'Europa ad interrogarsi sulle proprie criticità – quelle tante volte evidenziate denunciando l'”Europa dei banchieri”- e portare ad un nuovo modello europeo.
Per paradosso, l'Unione Europea – intesa come istituzione e come struttura socio-culturale – ha ora la possibilità, o per meglio dire la necessità, di cavalcare l'onda euroscettica che arriva dall'Italia per risolvere questioni troppo a lungo lasciate irrisolte, come la necessità di una maggiore democratizzazione dei processi decisionali, risolvendo definitivamente il “dilemma di Pericle”:

“Per Pericle la democrazia è l'isonomia più la velocità dell'informazione, assicurata dalla rettilinearità e ortogonalità degli assi, secondo il principio che regola la trasformazione dell'intero Mediterraneo in un unico mercato: quello della rettificazione, della riduzione del mondo e delle sue città a una gigantesca mappa quadrangolare. La città di Clistene, idealmente circolare, è ancora la città in cui i cittadini sono uguali di fronte alla legge e partecipano alle decisioni, nel centro che garantisce, con la propria unicità e il proprio carattere geometrico, della coerenza tra l'ordine urbano e l'ordine del cosmo. Nella città di Pericle, in cui tale coerenza è smarrita e nella sua unicità il centro più non esiste, l'informazione è più veloce ma la decisione non è più collettiva, e pochi sanno quel che davvero accade.[...]Il progetto di Pericle fallì, perché risultò impossibile trovare una soluzione al problema che è ancora oggi il nostro: conciliare le ragioni della democrazia con il funzionamento del mercato”.
[Franco Farinelli, “Geografia. Un'introduzione ai modelli del mondo“, pag. 165]

(1. Continua domani)