Scandalo "Oil for food", iniziato il processo a Parigi

foto: attainablemind.net

PARIGI – Si è aperto lunedì il processo per lo scandalo denominato “Oil for food”. Sul banco degli imputati l'ex ministro dell'Interno francese Charles Pasqua, il gruppo petrolifero Total con l'allora vicepresidente senior per il Medioriente Christophe de Margerie, 61 anni, oggi amministratore delegato della compagnia – che nega ogni addebito – ed alcuni ex diplomatici come l'ex ambasciatore francese all'Onu Jean-Bernard Merrimée. Per tutti l'accusa è di corruzione.
La società era già finita sotto inchiesta nel 2005, quando venne accusata di corruzione attiva e traffico di influenza

Lo scandalo prende il nome dal programma da 64 miliardi di dollari con il quale tra il 1996 ed il 2003 si tentò di limitare gli effetti dell'embargo imposto dalle Nazioni Unite - a cui il popolo iracheno era costretto fin dall'invasione del 1990 - tramite un apposito piano di scambi commerciali tra petrolio iracheno e beni di prima necessità, in particolare cibo e medicine.
Si scoprì, però, che il governo di Saddam Hussein ne aveva già attivato uno attraverso lo sfruttamento di canali paralleli e l'attività di lobbying di personalità vicine o avvicinate dal governo iracheno. Inoltre, il petrolio veniva venduto con un sovrapprezzo che l'Iraq incassava attraverso società fittizie. Molti dei pagamenti illeciti passavano sui conti della Bnp-Paribas, banca parigina incaricata dall'ONU per le transazioni ufficiali.
«Delle mazzette irachene», si legge in un articolo del Sole24Ore del 2005, «erano stati informati sin dall'inizio tutti: dalla Farnesina al Consiglio di sicurezza, dal Governo francese, che arrivò addirittura a permettere alle aziende di defiscalizzare i retropagamenti, a quello americano, il cui rappresentante sedeva nel comitato Onu che autorizzava ogni singolo contratto».

In tutto – scriveva nel 2005 il Sole24Ore – 2.200 su 4.500 aziende coinvolte a livello mondiale, di cui 122 battenti bandiera italiana. 1,8 miliardi di dollari la quota di tangenti versate al governo di Saddam Hussein secondo le 600 pagine del rapporto della commissione indipendente Volcker istituita da Kofi Annan – allora Segretario Generale che vide il figlio Kojo coinvolto nello scandalo – presieduta dall'ex presidente della Federal Reserve sotto le amministrazioni Carter e Reagan. Francia e Russia i paesi più coinvolti nella «multinazionale della corruzione», che vide coinvolte società come DaimlerChrysler, Daewoo, Siemens, Gazprom o le italiane Iveco e New Holland del gruppo Fiat, Breda Energia e Progetto Europa & Global Spa, società di ingegneria civile. A tutte le società veniva chiesto un extra del 10% sul valore di ogni contratto, fatto passare come "after sale services fee”, servizi post-vendita. Cifra che doveva poi tornare al governo di Saddam attraverso un conto giordano. «Fino al 2000 non c'è mai stato chiesto niente. Poi dal 2001 fino alla guerra agli inizi del 2003, sui nostri contratti ci è stato chiesto di pagare. E noi abbiamo pagato. Dopo la guerra, abbiamo ripreso a lavorare senza più pagare» - disse Carlo Trocca, presidente della società, a Claudio Gatti  - «Non avevo scelta. Dovevamo pagare quello che ci veniva richieste, se volevamo continuare a lavorare in Irak». Side agreement, accordo a parte, si chiama.

Lo scandalo ha avuto dunque anche un filone italiano, nel quale forte è stato il coinvolgimento della rete di Comunione e Liberazione e di uno dei suoi uomini di punta: l'ex presidente della Lombardia Roberto Formigoni, messosi in contatto diretto tramite lettera [pag. 90 del rapporto] con il cristiano Tareq Aziz, braccio destro di Saddam Hussein. A Formigoni, Tarek Aziz aveva chiesto diretto aiuto contro «l'aggressione anglo-americana» già nel 1999, attraverso una lettera inviata anche a George Galloway (sinistra laburista inglese), Vladimir Vol'fovič Žirinovskij (leader del Partito Liberal-Democratico russo) nonché a decine di politici ed opinion-maker che, era l'idea del governo iracheno, avrebbero dovuto fare pressione per cancellare l'embargo.
Sarebbe stata proprio l'intercessione di Formigoni a far ottenere la fetta più ampia del petrolio iracheno (24,5 milioni di barili utilizzati) al nostro paese, commercializzati attraverso due società vicine a Comunione e Liberazione ed al suo “braccio imprenditoriale”, la Compagnia delle Opere, ovvero la Cogep della famiglia Catanese e la Nrg Oils di Alberto Olivi. Per ringraziare Formigoni dell'intercessione, la Cogep avrebbe pagato 942.000 dollari in Iraq e 700.000 a mediatori italiani e la Nrg Oils 262.000. Tangenti, insomma.
A finire sotto la lente della magistratura è Marco Giulio Mazarino De Petro, amico e collaboratore di Formigoni ed intermediario tra questi e Saddam Hussein. La prescrizione ha però chiuso il caso almeno quello italiano.

qui i report ufficiali
qui la ricostruzione del Global Policy Forum