Dentro l'M23. Il quadro internazionale (3/3)

In migliaia hanno lasciato la città di Sake, Thousands flee the town of Sake, 26 km a ovest di Goma a seguito degli scontri nelle città orientali della Repubblica Democratica del Congo.
Foto: Phil Moore/AFP/Getty Images

Goma (Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo) - Paul Kagame contro Joseph Kabila. Guardando “con occhio (agli interessi) occidentale” quello che sta avvenendo nell'area dei Grandi Laghi, dopo il ruolo giocato dalle preziosissime riserve minerali lo scontro tra i due presidenti potrebbe essere una delle chiavi di lettura con cui poter spiegare l'”M23”.
Uno scontro che porta direttamente nelle stanze di Washington – di cui, in qualche modo, ambedue sono referenti nell'area – e delle principali cancellerie del mondo, incluse quelle dei consigli d'amministrazione di quelle società che hanno interessi diretti sulla Repubblica Democratica ed il cui operato è stato definito dalle Nazioni Unite come un vero e proprio “saccheggio sistematico”[1]. Le diplomazie affaristico-politiche occidentali infatti, si ritrovano in una posizione delicata (da qui anche l'immobilismo dei caschi blu, ormai da tempo trasformatisi in esercito al servizio del Primo Mondo).
Il 40enne Joseph Kabila, infatti, considerato “persona non grata”[2] dai suoi stessi cittadini, viene visto dall'Occidente come un “investimento più sicuro” rispetto al suo più importante contendente interno, il 79enne Étienne Tshisekedi wa Mulumba, leader dell'Unione per la Democrazia ed il Progresso Sociale (uno dei movimenti politici più importanti del paese) che - pur perdendo alle contestate elezioni dello scorso dicembre[3] - è riuscito a portare dalla sua parte la popolazione attraverso scioperi generali e le caratteristiche peaceful Christian marches, le marce pacifiche con le quali negli anni Novanta fu tra gli artefici della caduta DI Mobutu Sese seko.
Ma anche i santi hanno i loro scheletri nell'armadio però, e stando al libro dello scrittore belga Ludo De Witte "L'assassinio di Lumumba" Tshisekedi avrebbe partecipato all'omicidio del per ora unico leader realmente indipendente che la Repubblica Democratica - o in qualunque altro nome sia stata contraddistinta fino ad ora - abbia prodotto: Patrice Émery Lumumba (qui una biografia[4]).

La geo-politica degli aiuti internazionali. Dall'altro lato del fronte Paul Kagame, anch'egli passato dal fronte anti-Mobutu e dall'addestramento statunitense[5], entrato nelle grazie occidentali per essere il più capace “maneggiatore di aiuti umanitari del continente”, tra i quali i 125,5 milioni di dollari provenienti dalla Gran Bretagna che negli ultimi 5 anni hanno permesso ad un milione di rwandesi di uscire dalla povertà, facendo registrare il più veloce tasso di riduzione della stessa mai raggiunto in Africa.
Se gli aiuti venissero tagliati, utilizzandoli dunque come “leva politica” per tentare di pacificare l'area, come già fatto dalla Germania – che ha sospeso i 26 milioni di dollari previsti fino al 2015 - dall'Inghilterra e dall'Olanda, Kagame si troverebbe a dover fare i conti con una riduzione di circa la metà del proprio budget. Da qui la necessità di modificare la percezione del Rwanda nella comunità internazionale

Ultima venne la società civile. Guerra o taglio degli aiuti che siano, a subire gli effetti maggiori della instabilità nella Repubblica Democratica sarà sempre la popolazione.
2,4 milioni le persone che dall'inizio dell'anno sono state costrette ad abbandonare le proprio abitazioni a causa degli scontri e che vanno ad aggiungersi agli “ospiti” dei campi profughi realizzati a seguito degli scontri tra l'esercito regolare ed i vari gruppi ribelli susseguitisi in questi anni (ce ne sono otto mentre scriviamo, anche se la maggior parte sono classificabili come semplici gruppuscoli criminali). Nel solo Nord-Kivu, l'area dove principalmente opera l'M23 – scriveva qualche giorno fa il senatore del Partito Democratico Ignazio Marino[6] - «gli sfollati sono 1,6 milioni; 4,5 milioni di persone soffrono per penuria di cibo e di beni di prima necessità», nonostante un paese che – date le risorse – potrebbe sedersi al cosiddetto “tavolo dei grandi del mondo”. E non come semplice “osservatore”.

Note
[1] Il Congo e la drammatica corsa al Coltan di Marina Rini, Peacelink, 4 maggio 2005;
[2] DR Congo President Joseph Kabila begins second term, BBC News Africa, 20 dicembre 2012;
[3] Congo, Kabila proclamato presidente. Per il Centro Carter si tratta di «risultati non credibili» di Giampaolo Musumeci, Sole24Ore, 11 dicembre 2011;
[4] Lumumba, l'africano che guardava a Rousseau di Daniele Barbieri, Liberazione, 17 gennaio 2011;
[5] Primopiano: Paul Kagame, gesuiti.it, dicembre 2003;
[6] Congo, crisi umanitaria senza aiuti di Ignazio Marino, marino.blogautore.espresso.repubblica.it, 12 novembre 2012