Dentro l'M23. Il network dei minerali insanguinati (2/3)

la mappa delle risorse naturali nella Repubblica Democratica del Congo.
Fonte:
http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-15722799

Goma (Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo) - In Bosco Ntaganda Joseph Kabila – eletto presidente in RDC nel 2001 dopo l'assassinio del padre – aveva riposto le speranze per la buona riuscita dell'operazione “Amani Leo” (“Pace oggi”, in swahili) del 23 marzo 2009, con la quale si tentò di pacificare l'area anche attraverso un'amnistia verso gli esponenti del CNDP.
Le Nazioni Unite e diverse organizzazioni non governative che lavorano nell'area descrivono “Terminator” come il classico signore della guerra africano che utilizza il suo rango militare per scopi personali come la creazione di un esercito personale con il quale difendere i propri interessi nei traffici transfrontalieri con il Rwanda (come quello delle armi, violando l'embargo), nel controllo delle miniere e sui racket che – stando ad un report confidenziale delle Nazioni Unite e ripreso in parte dall'agenzia Reuters (qui ripreso dalla BBC[1]) - costituiscono una importante fonte di finanziamento del movimento ribelle (15.000 dollari a settimana) del quale però stanno godendo maggiormente gli alti ufficiali.
Il fattore finanziario, infatti, è uno dei motivi principali che hanno portato alla creazione dell'”M23”, noto anche come Esercito Rivoluzionario Congolese nato nella primavera scorsa dalla diserzione di circa 300 soldati appartenenti al CNDP ribellatisi alle condizioni precarie dell'esercito regolare, con salari da 100 dollari non sempre pagati in un contesto militare in cui regole fondamentali erano corruzione, inefficienza e scarsità di alloggi per le truppe.

I soldi veri però, nella Repubblica Democratica – un paese grande più o meno quanto l'Europa dell'Est che ospita 72 milioni di abitanti[2] – ribelli e soldati regolari non li fanno con i medio-piccoli taglieggiamenti ma sfruttando le ricchezze di un Paese archetipico dello sfruttamento tra Nord e Sud del mondo. I famosi “blood diamonds[3], avorio, oro, cobalto, petrolio, uranio[4], il coltan[5] senza il quale non sapremmo il significato di un termine come “telefono cellulare” oltre a cacao, caffè cotone e molte altre ricchezze che, da sole, non giustificano la posizione di ultimo in classifica per quanto riguarda PIL pro-capite ed Indice di Sviluppo Umano. La Chatham House stima che il guadagno derivante dallo sfruttamento di queste risorse[6] sarebbe di oltre venti miliardi di dollari. Un intero allevamento di galline dalle uova d'oro su cui in tanti – tra signori della guerra, corporations e governi vari - vogliono mettere le mani e che rappresenta il vero motivo dell'instabilità sociale, politica, economica ed inter-etnica che non sembra possibile placare.

Ragionando per conseguenze logiche, neanche il fatto che nella Repubblica sia presente la più ampia operazione delle Nazioni Unite – invischiata tra le altre in accertati casi di stupri, pedofilia, sfruttamento della prostituzione[7] e traffico illegale d'oro[8] – dovrebbe essere visto solo come una semplice operazione di peacekeeping.

Terra bruciata intorno a “Terminator”? Capire dunque chi c'è realmente dietro i due “most wanted”, il colonnello Sultani Makenga ed il generale Bosco Ntaganda potrebbe dare risposte non solo in termini locali.
Innanzitutto sono da chiarire i rapporti tra i due, accusati rispettivamente di crimini contro l'umanità, violazione dell'embargo sulle armi[9] e crimini di guerra[10] come l'uso di bambini soldato. Già da qualche mese i due sembrano aver diviso i propri destini, con la sempre maggior marginalizzazione dei fedelissimi di Ntaganda e la creazione ufficiale di un gruppo a guida (esclusiva?) di Makenga[11] del quale ancora non è chiaro il ruolo: semplice corrente interna al movimento o vera e propria “opposizione” a Ntaganda? E ancora: se gli uomini di “Terminator” vengono posti ai margini – minando così il peso politico del loro leader – quale sarà il vero ruolo di quest'ultimo? Assisteremo ad un nuovo “caso-Nkunda”?

Congo: The Children Who Came Back from the Dead – Aidan Hartley, Unreported World
[clicca sull'immagine per guardare il video, in inglese]

In attesa di dare risposta certe a queste domande (se mai questo sarà possibile) interessante è il modo in cui si sta muovendo il sistema internazionale, a partire dai rapporti tra i tre paesi maggiormente coinvolti: Repubblica Democratica del Congo, Rwanda e – in secondo piano – Uganda, accusato dal governo della RDC di finanziare i ribelli dell'M23 facendo passare il denaro attraverso il confine di Bunagana, vicino Goma.

Il rapporto della discordia. Più che l'Uganda - che accusa il Congo di ospitare fin dal 2008 alcuni esponenti del Lord's Resistence Army di Joseph Kony, diventato il principale obbiettivo statunitense dopo gli assassinii di Bin Laden e Gheddafi[12] - il vero deus ex machina dell'M23 sembra essere il Rwanda. O almeno questa è quanto sostiene un rapporto confidenziale dell'ONU (trapelato attraverso l'agenzia Reuters[13]) secondo il quale a tirare materialmente le fila dell'M23 dall'altra parte del confine ci sarebbe il generale Charles Kayonga, capo dello staff del ministero della Difesa che agirebbe sotto diretta istruzione del ministro della Difesa, il generale James Kabarebe. Entrambi i paesi, secondo il capo delle operazioni Onu di peacekeeping Hervé Ladsous, sarebbero inoltre fornitori diretti del sofisticato equipaggiamento attualmente in mano ai ribelli.

Sia Kagame che il suo omologo ugandese, Yoweri Kaguta Museveni, negano ogni accusa. Il governo di Kampala lavora intanto su due tavoli diplomatici, cercando da un lato di convincere i ribelli a deporre le armi con il consenso del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon e dall'altro sfruttando questa delicatissima quanto fondamentale posizione per far cambiare idea al Palazzo di Vetro: se non verranno ritirate le accuse che vogliono il governo dietro all'M23 l'Uganda si ritirerà dalle missioni di pace Onu nel continente africano, con forti ripercussioni sia sulla situazione nella Repubblica Democratica del Congo che in Somalia, dove Museveni punta a mettere le mani su petrolio e gas, che nelle intenzioni del presidente rappresentano un buon “ringraziamento” per il ruolo svolto contro le milizie di al-Shabaab.[14]

Arrivati a questo punto anche il “network criminale internazionale con snodi tra Africa, Europa Occidentale e Nord America” – come quello che ruota intorno ai già citati “minerali insanguinati[15]- che utilizzerebbe il movimento per i propri traffici denunciato dal rapporto delle Nazioni Unite non sembra un'idea così campata in aria.

Note
[1] Havoc as Congolese flee the 'Terminator' di Thomas Hubert, BBC News Africa, 11 maggio 2012;
[2] World Population Prospects, the 2010 Revision, United Nation, Department of Economic and Social Affairs;
[3] Conflict Diamonds. Did Someone Die for That Diamond? Amnesty International;
[4] Uranio a prezzi di saldo dal Congo – Wikileaks, engicav.altervista.org, 7 febbraio 2011;
[5] Il Congo e la drammatica corsa al Coltan di Marina Rini, Peacelink, 4 maggio 2005;
[6] Global Witness's campaign on the Democratic Republic of Congo globalwitness.org;
[7] Rdc: foto e filmini "pornografici" inchiodano i caschi blu di Joshua Massarenti, vita.it, 24 novembre 2004;
[8] CONGO: scambiavano armi con oro I peacekeeper dell'Onu nella bufera di Stefano Liberti, giovaniemissione.it;
[9] Sanctions Committee concerning Democratic Republic of Congo. Adds one individual to assets freeze, travel ban list, Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite;
[10] DR Congo: M23 Rebels Committing War Crimes, Human Rights Watch, 11 settembre 2012;
[11] Havoc as Congolese flee the 'Terminator' di Thomas Hubert, BBC News Africa, 11 maggio 2012;
[21] In Africa centrale la prossima guerra di Obama di Antonio Mazzeo, PeaceLink, 17 otobre 2011;
[13] Update 2-Exclusive-Rwanda, Uganda arming Congo rebels, providing troops - UN panel, reuters.com, 16 ottobre 2012;
[14] Somalia, conflitti e interessi, lindro.it;
[15] "Minerali insanguinati" e instabilità politica in Repubblica Democratica del Congo Parlamento Europeo, 8 dicembre 2010