Dentro l'M23. Cosa c'è dietro la ribellione nella Repubblica Democratica del Congo (1/3)

Da alcune settimane il movimento denominato “23 Marzo” sta mettendo a ferro e fuoco la Repubblica Democratica del Congo tra stupri, bambini soldato e risorse minerarie che hanno portato solo ad un nuovo capitolo di una guerra iniziata con il genocidio rwandese del 1994 e mai realmente conclusasi. Mentre le Nazioni Unite stanno a guardare.

Il portavoce del movimento M23, Vianney Kazarama, parla alla folla riunitasi allo stadio di Goma lo scorso 21 novembre.
Fonte: news.yahoo.com

Goma (Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo) – La città di Goma è caduta martedì 21[1]. L'esercito continua a subire diserzioni e il contingente MONUSCO (attualmente il più importante intervento di peacekeeping delle Nazioni Unite nel mondo) l'ha gentilmente offerta ai ribelli del movimento “M23” (“Marzo 23” il nome per esteso) senza opporre neanche la minima parvenza di resistenza. 2 morti e 37 feriti – tra cui tre donne incinte ed un bambino al quale è stato amputato un braccio – il risultato numerico della battaglia, come ha raccontato Justin Lussy, medico dell'HEAL Africa Hospital a Pete Jones del Guardian[2].

Le grida di gioia e gli applausi non derivavano dalla felicità della popolazione per l'arrivo degli uomini guidati da Emmanuel Sultani Makenga – attuale leader del gruppo – ma dalla cruenta battaglia tra le parti in causa che non si è verificata e da una necessità impellente: dover sopravvivere. Perché la paura che anche a Goma si verificassero gli stupri, gli omicidi e le sparizioni che stanno caratterizzando l'avanzata militare del movimento era forte, così come quella di vedere uomini e bambini diventare “ribelli” nelle cronache occidentali. Indipendentemente dalla loro volontà.
Quattro anni fa la scena fu simile, con le milizie del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (da ora CNDP) fermatesi simbolicamente alle porte della città, costringendo il presidente della Repubblica Democratica Joseph Kabila Kabange a chiamare il leader rwandese Paul Kagame per sancire la resa ed il successivo “accordo di pace”. Stavolta però Kabila sembra aver intrapreso la strada opposta, ottenendo l'appoggio degli altri leader dell'area dei Grandi Laghi e facendo la voce grossa con i ribelli[3]. In quell'occasione dietro al movimento dei cosiddetti ribelli c'era proprio Kagame, il quale nega ogni addebito per la situazione attuale, nonostante molti indizi indichino che egli sia non solo dietro al movimento ribelle ma anche al lato, come sarebbe avvenuto proprio durante la presa di Goma secondo le parole di Lambert Mende Omalanga, ministro delle Comunicazioni e portavoce del governo congolese.

Il nuovo scontro a distanza (diventato ormai una proxy-war[4]) è però solo l'ultimo atto di una guerra che negli anni ha solo cambiato attori e nome alle milizie ma che continua, imperterrita, da almeno vent'anni ed in cui sono forti le colpe e gli interessi dell'Occidente, che con l'industria hi-tech ha trasformato l'area del Nord-Kivu – considerato l'ex granaio del Paese – in un'area in cui ad essere coltivata è rimasta solo la violenza. Ruolo fondamentale in questa trasformazione spetta al coltan, dalla cui vendita i gruppi ribelli del Rassemblement Congolais pour la Democratie - anno 2005 – guadagnavano oltre un milione di dollari al mese (“solo” duecentomila dal traffico di diamanti) come riporta un articolo dell'epoca di Marina Rini su Diario (e qui ripreso da Peacelink[5]) secondo il quale nel commercio della polvere nera ci sarebbe anche Salim Saleh Museveni, fratello del presidente ugandese. Da qui arrivano, naturalmente, buona parte dei soldi con cui le milizie, qualunque nome si scelgano di volta in volta, comprano le armi.

C'eravamo tanto odiati. 1994. L'anno del genocidio. L'anno in cui inizia la “Prima Guerra Mondiale Africana”, in realtà solo l'ennesima fase di una guerra iniziata più di un secolo prima, durante l'epoca coloniale di Leopoldo II. È da questi due fatti storici che bisogna partire per capire come si è arrivati alla presa di Goma, anno 2012.

Dalla Repubblica Democratica ci spostiamo dall'altro lato del fragile confine, nella “Svizzera d'Africa”, quel Rwanda delle mille colline che tra il 6 aprile ed il 19 luglio 1994 vide la media di un omicidio ogni 10 secondi per un genocidio perpetrato dagli Hutu ai danni dei Tutsi come vera e propria vendetta per i soprusi subiti durante l'epoca coloniale belga[6], quando un rapporto pacifico venne trasformato in uno scontro etnico di cui ancora oggi è impossibile definire oggettivamente il numero di vittime (le cifre variano dalle 800.000 vittime ad 1.174.000, dato ufficiale del governo rwandese).
A giugno, intanto, Paul Kagame – a capo di un gruppo ribelle Tutsi – prese il potere nel Paese, costringendo gli Hutu a fuggire nella RDC, all'epoca ancora Zaire. Iniziano a questo punto gli scontri lungo il confine tra i due paesi.

Tre anni dopo, dal lato congolese, Laurent-Désiré Kabila e la sua Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo rovesciano – con l'aiuto statunitense[7] - il trentennale regime del generale Mobutu Sese Seko, a sua volta diventato presidente della Repubblica grazie al colpo di stato contro il governo di Joseph Kasa-Vubu.
Neanche per Kabila, però, le cose si fanno facili. Il Rwanda – che ne aveva favorito l'ascesa - infatti lo accusa di non fare niente contro i rifugiati hutu (tra i quali anche alcuni artefici del genocidio) e per questo tenta di rovesciarlo. Il presidente dell'RDC, chiamando a sua protezione Zimbabwe, Namibia e Angola dà vita ai cinque anni di conflitto passati alla storia come la “Prima Guerra Mondiale Africana”. Cinque milioni di morti per una guerra – conclusasi ufficialmente nel 2003 – in cui tutti i paesi coinvolti vennero accusati di utilizzare il conflitto solo per mettere le mani sulle ricchezze del Congo.

Del cessate il fuoco, però, ci sono solo i proclami. Hutu e Tutsi continuano a scontrarsi nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo, tra momentanei accordi di pace e nuovi gruppi ribelli. Nel 2008, nella provincia del Nord Kivu, tocca al Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo del generale Laurent Nkunda Batware, direttamente collegato con i Tutsi rwandesi ed autore della prima marcia su Goma. Un anno dopo – con l'ennesimo fragile accordo di pace – il CNDP viene integrato nell'esercito regolare congolese. È a questo punto che nascono le cellule di insoddisfatti che oggi, alle dipendenze del generale e signore della guerra Bosco “Terminator” Ntaganda, divenuto leader dopo l'arresto di Nkunda da parte del Rwanda (il “prezzo da pagare” per arrivare alla pace) e di Sultani Makenga formeranno il movimento “M23”, attualmente composto, secondo le stime, da 2.500-3.000 soldati.

Note
[1] Congo: Goma nelle mani dei ribelli. Oggi si votano le sanzioni di Elisa Lepone, InfoOggi.it, 21 novembre 2012;
[2] Congo rebels take Goma with little resistance and to little cheer di Pete Jones a Goma e David Smith a Johannesburg, The Guardian, 20 novembre 2012;
[3] Congo: Kabila pone condizioni a ribelli M23, lasciate Goma www.tio.ch, 25 novembre 2012;
[4] si definisce "proxy-war" una guerra nella quale le parti in causa utilizzano terze parti (ad esempio eserciti ribelli, contractors e simili) per affrontarsi direttamente;
[5] Il Congo e la drammatica corsa al Coltan di Marina Rini, PeaceLink, 4 maggio 2005;
[6] Il genocidio in Rwanda di Julca Franceschini, jgcinema.com;
[7]"In quei giorni si arrivò al punto che la Bechtel Corporation, un colosso multinazionale americano con sede a San Francisco, commissionò alla Nasa la mappatura completa del Congo ai raggi infra-rossi per determinarne il potenziale minerario. Le informazioni, ottenute coi satelliti, valevano una fortuna e furono cedute gratuitamente a Kabila. La stessa Bechtel, da sempre in ottimi rapporti con la Cia, mise a disposizione di Kabila e dei suoi alleati ugandesi e ruandesi le informazioni militari di un satellite-spia, che consentì ai ribelli di sbaragliare con rapidità le truppe di Mobutu" Inferno Congo: la grande rapina del nuovo secolo, Marc Innaro, PeaceLink, 12 giugno 2005;