Operazione "Alba di Scilla 2", arrestati 'ndranghetisti-sindacalisti sulla Salerno-Reggio Calabria

foto: narcomafie.it
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Reggio Calabria – Che le 'ndrine, in partnership con la camorra, abbiano da tempo messo le mani sulla Salerno-Reggio Calabria è ormai un fatto che dalla cronaca è passato direttamente alla storia. Si sa, ad esempio, che «nel tratto Falerna-Pizzo spadroneggiano gli Iannarazzo, mentre da Pizzo a Serre i Mancuso» o che «dall'uscita Serre a Rosarno i Pesce, sche si danno la staffetta fino a Palmi con i Piromalli», come scrive Andrea Amato ne “L'impero della cocaina”[1].
Quello che – forse – ancora non si sapeva, è che le 'ndrine sono riuscite a mettere le mani anche sul sindacato.

È quanto emerge dall'ultima parte dell'inchiesta “Alba di Scilla” della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che a fine maggio aveva portato all'arresto di dodici presunti affiliati alla 'ndrina dei Nasone-Gaietti ed al quale si è aggiunto un nuovo capitolo nei giorni scorsi, con l'arresto di sei persone. Tre di queste, però, avevano un “doppio impiego”: da un lato affiliati alla 'ndrangheta, dall'altra sindacalisti molto attivi sul territorio e che facevano l'interesse delle 'ndrine più che quello dei lavoratori, sfruttando questo doppio ruolo sia nell'ambito delle assunzioni pilotate di parenti e amici sia per il pagamento del pizzo per le ditte che lavorano sulla A3 (il “costo sicurezza”, che sull'autostrada è stato fissato nel 3% dell'importo dei lavori di ciascuna impresa).

I tre arrestati con il doppio impiego sono Francesco Spanò, rappresentante sindacale della Federazione Italiana Costruzioni e Affini della Cisl; Giuseppe Piccolo, responsabile della sicurezza sui cantieri e Francesco Alampi, caposquadra. Estorsione e furto con l'aggravante di aver favorito la 'ndrangheta – nella fattispecie il gruppo riferibile a Francesco Nasone – i reati loro contestati. Tutti e tre erano dipendenti della “Santa Trada”, vincitrice dell'appalto per il tratto tra Monacena e punta Paci poi subappaltato alla “Ediltecnica s.r.l.”. I tre, stando a quanto emerso dalle indagini, estorcevano denaro alla ditta appaltante anche attraverso furti e danneggiamenti perpetrati durante il fine settimana, quando il cantiere era vuoto.
Denunciare il tutto, naturalmente, era fortemente sconsigliato.

Stando a quanto ricostruito dalle indagini – affidate al procuratore aggiunto Michele Prestipino ed ai pubblici ministeri Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane – i tre avrebbero chiesto al capocantiere della Ediltecnica – la cui quota di “messa in sicurezza” era fissata in 600 euro mensili, da aggiungere al canone di locazione per gli appartamenti usati dagli operai – se avesse messo in regola la società al fine di poter continuare i lavori. «Mi giunsero delle strane richieste tramite un operaio neo-assunto. Mi fece sapere che avrei dovuto versare 600 euro di tangente attraverso il pagamento dell'affitto presso la struttura dove alloggiamo», ha raccontato il capocantiere.

Va sottolineato, comunque, che gli arresti – e l'operazione investigativa che ne è alla base – non sarebbero stati effettuati senza la collaborazione degli imprenditori, che hanno permesso di dare il via al tutto. «Ci aspettiamo» - aveva detto Prestipino dopo i dodici arresti di maggio - «che tutti gli imprenditori facciano la loro parte». Grazie alla loro collaborazione, ha evidenziato il procuratore «è possibile infliggere colpi durissimi al fenomeno delle tangenti, che arricchisce i clan e mette in ginocchio l'economia».

Note
[1] L'impero della cocaina, Newton Compton editori