In tre giorni portate a termine tre importanti operazioni contro la criminalità pugliese

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Lecce - “Cinemastore”, “Shopping Mall” e “The Wall”. Tre operazioni concluse dagli uomini dell'antimafia pugliese contro la criminalità locale, di cui le prime due contro la Sacra Corona Unita.

Lunedì 9 è stato infatti arrestato Pasquale Briganti, detto “Maurizio”, 43enne leccese a capo di uno dei nuovi clan della Sacra corona unita insieme ai fratelli Giuseppe e Roberto Nisi.
La sua latitanza durava dallo scorso gennaio, quando tutti e tre riuscirono a sfuggire all'operazione “Cinemastore”, con la quale la Direzione distrettuale antimafia, in collaborazione con la Mobile di Lecce, inferse un duro colpo all'organizzazione pugliese.

Briganti è stato arrestato a Capilungo, una delle marine di Alliste, dove faceva il turista. Lungo è stato il lavoro con il quale le forze dell'ordine sono riuscite ad arrestarlo, forti di un sistema di pedinamenti che aveva interessato tutta la rete di parenti ed amici che ruotava intorno al boss.

Secondo gli investigatori, il gruppo capeggiato da Briganti aveva il controllo – attraverso la gestione delle bische clandestine – del gioco d'azzardo, la riscossione del “punto” (la tassa che gli spacciatori non affiliati devono pagare ai clan) ed il traffico di stupefacenti da e verso la Puglia. A loro, inoltre, spettavano le nuove affiliazioni. Proprio Briganti era diventato di fatto il garante della pace tra i vari clan che formano l'organizzazione pugliese.

«Il fatto che Briganti sia riuscito a spostarsi sul territorio così frequentemente e senza tante difficoltà vuol dire, in primo luogo, che disponeva di ingenti risorse finanziarie e che poteva evidentemente contare sull'appoggio di diverse persone» – ha evidenziato il procuratore capo Cataldo Motta, che si è detto comunque soddisfatto dell'arresto. «Con la cattura di Briganti», ha concluso il procuratore, «abbiamo preso un esponente di grosso spessore della gestione del traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni e bische clandestine. A questo punto posso dire che l'operazione “Cinemastore” è conclusa».

Conclusa, inoltre, anche l'operazione denominata “Shopping Mall”, iniziata il 4 maggio del 2011 con il sequestro di circa 360 chili di marijuana nascosti nella parte superiore del rimorchio-frigo di un autoarticolato proveniente dall'Albania e fermato nel porto di Brindisi. In quell'indagine furono inoltre trovati cellulari ed agendine con informazioni definite molto utili dagli inquirenti per il prosieguo dell'attività investigativa
che ha portato mercoledì a tredici ordinanze di custodia cautelare emesse da Maurizio Saso, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, su richiesta del pubblico ministero Valeria Farina Valaori. L'operazione ha portato, nel complesso, all'arresto di 17 persone (di cui dieci di nazionalità albanese, sei italiane ed un cittadino kosovaro) ed al sequestro di 740 chili di marijuana, due pistole, due caricatori e 34 cartucce.

L'operazione ha preso il nome da una delle tappe del traffico di droga che, dall'Albania, arrivava via mare al porto di Brindisi e da lì trasportata verso un deposito di Fasano, dove i trafficanti si erano dotati di tre piazze di spaccio in prossimità dei centri commerciali della zona (ad insaputa dei gestori, naturalmente): “Conforama” a Fasano, “Le Colonne” a Brindisi ed Auchan a Mesagne.
Un milione di euro il ricavato dello spaccio, secondo gli inquirenti.

Da Mesagne, inoltre, era partita – nel 2010 – l'operazione “The Wall”, iniziata con l'arresto in flagranza di due ragazzi di nazionalità albanese scoperti a spacciare nei pressi di un muretto. Da lì gli inquirenti erano riusciti ad individuare tutti gli appartenenti al gruppo, composto da dieci ragazzi albanesi e cinque italiani e che aveva una base anche a Roma, verso i quali sono state spiccate le ordinanze di custodia cautelare dei giorni scorsi e verso i quali sono stati ipotizzati i reati di associazione per delinquere finalizzata alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti con l'aggravante della disponibilità di armi e porto nonché porto e detenzione abusiva di armi.
Gli inquirenti sostengono che questo gruppo – anch'esso rifornito di droga attraverso il canale albanese – non avesse dei collegamenti diretti con la Sacra Corona Unita ma una sorta di tacito patto di non belligeranza.