Tra "biscotti" e cani randagi, Mahmoud Sarsak rimane illegalmente nelle carceri israeliane

foto: baruda.net
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Striscia di Gaza (Palestina), 16 giugno 2012 – Mentre l'Italia si interroga sul “biscotto croato-spagnolo”, reiterando così quella vecchia abitudine del dare la colpa dei propri fallimenti (sportivi e non) a complotti altrui piuttosto che a demeriti propri e che poco ha a che fare con il concetto di sportività, c'è un giocatore che rischia di morire.

No, niente episodi di violenza calcistica né di tifosi difficilmente etichettabili come tali.
Lui si chiama Mahmoud Sarsak, è un calciatore professionista palestinese (gioca anche in nazionale) di 25 anni, detenuto illegalmente nelle carceri israeliane dal 2009. Da ormai novantadue giorni è in sciopero della fame contro quella che in Israele si chiama “detenzione amministrativa”, un atto che permette agli israeliani di detenere Mahmoud senza che contro di lui – o contro altri palestinesi sottoposti a questo regime carcerario – sia stata mossa alcuna accusa o sia stato portato davanti ad una corte per essere processato.

La storia. Mahmoud viene arrestato il 22 luglio del 2009 a Beit Hanoun, valico nord della Striscia di Gaza mentre si dirigeva – con tanto di autorizzazione concessa dagli israeliani a poter oltrepassare il valico – nella West Bank per firmare un contratto con il Balata Youth Club semplicemente sulla base di un sospetto, a cui gli israeliani hanno dato il nome di “legge dei combattenti illegali” e che permette di detenere gli abitanti della striscia in maniera illegale, senza che se ne conoscano le ragioni e senza una data prevista per la scarcerazione. Il calciatore è infatti accusato di appartenere al Jihad Islam, nonostante Israele non sia in grado di produrre alcuna prova di tali accuse.
Come molti suoi connazionali, Mahmoud ha iniziato una protesta attraverso lo sciopero della fame, che ormai si protrae da 92 giorni, con tutti i rischi che ciò comporta. Secondo fonti mediche, infatti, ha perso 25 chili, sviene spesso ed il battito cardiaco si fa sempre più debole. Questa protesta gli ha portato inoltre gravi danni ad alcuni organi, così da interrompere il suo sogno di indossare la magia del suo paese in una competizione internazionale (che nel caso della Palestina significa anche portare all'attenzione internazionale anche il problema del conflitto israelo-palestinese).
Insieme a lui, le carceri israeliane detengono altre 4.600 persone, di cui circa 300 sottoposti a “detenzione amministrativa” e molti bambini, che vengono arrestati (spesso solo per aver lanciato un sasso), torturati e sottoposti ad elettroshock.
Negli ultimi undici anni, secondo i dati del Defense for Children International, un'organizzazione non governativa che si occupa dei diritti dell'infanzia, sono stati 7.500.

La sua vicenda, che ha avuto un risalto mediatico-attivistico decisamente inferiore alla strage dei cani randagi in Ucraina (cosa che, non me ne vogliano i ferventi animalisti, dovrebbe far riflettere non poco), sta iniziando a circolare non solo per le proteste di questi giorni, ma anche – e forse soprattutto – per l'interessamento di personaggi noti del calcio, come l'ex stella del Manchester United Eric Cantona o molti giocatori baschi e spagnoli, o di intellettuali ed importanti personalità quali Noam Chomsky e Ken Loach che ne chiedono la scarcerazione attraverso una petizione.
«È tempo che cessi l'impunità di Israele e di insistere affinché (lo Stato ebraico) rispetti gli stessi standard di uguaglianza, giustizia e di legalità internazionale che sono richieste agli altri Stati», si legge nella lettera.

L'eco della vicenda è arrivato anche nelle stanze del potere calcistico, dove il presidente della Fifa Joseph Blatter, dettosi preoccupato «riguardo la detenzione apparentemente illegale dei calciatori palestinesi», si è fatto promotore di «un appello urgente alla federazione israeliana di football (Ifa) affinché assicuri l'integrità fisica dei calciatori palestinesi ed il loro diritto a processi equi».
La Palestina, intanto, ha inviato una lettera formale a Michel Platini, presidente dell'Uefa, chiedendogli di non far disputare gli europei Under 21 che si terranno proprio in Israele tra il 5 ed il 18 giugno 2013.

Qui in Italia – ma il discorso si può tranquillamente allargare a tutto l'Occidente – dalle nostre bocche, dalle nostre penne o dalle nostre tastiere escono spesso parole come “democrazia” o “libertà”. È per questo, dunque, che non si può tacere oltre su questa storia. A meno di non voler intendere quelle solo come vuote parole.