Storia di mafia, Stato e Chiesa

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Cinisi (Palermo), 13 maggio 2012 - «Ultrà di sinistra dilaniato dalla sua bomba sul binario», scriveva così il Corriere della Sera il 10 maggio 1978, in merito all'omicidio di Peppino Impastato.
Chissà se don Pietro D'Aleo, parroco della Ecce Homo abbia riletto questo articolo nei giorni scorsi, preparando la giornata commemorativa in ricordo del fondatore di Radio Aut.

«I tempi non sono maturi», ha infatti spiegato il parroco a Giovanni Impastato, che del fratello ha raccolto in qualche modo l'eredità e che si era limitato semplicemente a chiedere una messa per il fratello. La celebrazione è stata sostituita da una veglia di preghiera per la legalità e la giustizia sociale officiata da don Luigi Ciotti, che in contesti antimafia non ha bisogno di presentazioni.

Caterina Palazzolo, responsabile dell'azione cattolica della parrocchia, ha spiegato che la scelta di negare la messa in memoria di Peppino si basa non solo sul fatto che gli esponenti del mondo comunista non avrebbero apprezzato (in un anacronistico revival di “Peppone e don Camillo”), ma anche per scongiurare un possibile incidente diplomatico tra Giovanni Impastato e la sua “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” e Salvo Vitale, amico di Peppino Impastato che oggi guida l'associazione in memoria dell'ex esponente di Democrazia Proletaria maturata due anni fa, quando il sindaco si presentò – insieme ad altri suoi colleghi – dinanzi la casa che aveva ospitato Gaetano “don Tano Seduto” Badalamenti. Una sfilata di colletti bianchi non proprio accettata dall'associazione Impastato.

A questo punto la domanda è d'obbligo, sia alla luce della storia antimafia di una certa parte della Chiesa, sia alla luce di una certa vicinanza di un'altra parte di quella stessa Chiesa al mondo mafioso: i tempi non sono maturi per cosa? Per dire da un pulpito, come diceva Peppino, che «la mafia è una montagna di merda»? Non sia mai che Enrico “Renatino” De Pedis - boss di quella Banda della Magliana che, è ormai storia, sappiamo avesse rapporti molto stretti con Cosa Nostra - si rigiri nella tomba.

Intanto, nel paese che ormai gira al contrario, arriva l'annuncio-shock della ministra dell'Interno Annamaria Cancellieri: «Non dobbiamo aver paura di mettere in vendita i beni confiscati», a dispetto delle tante associazioni antimafia che da anni lottano per il riutilizzo sociale di questi beni. Non contenta, Cancellieri ha risposto a chi le faceva giustamente notare la non certo remota possibilità che questa apertura non significhi altro che rimettere quei beni nelle mani dei boss che, qualora ciò dovesse avvenire, «vorrà dire che saranno nuovamente sequestrati e confiscati e lo Stato ci guadagnerà due volte». Qualcuno spieghi alla ministra che fare questo tipo di indagini non è così semplice come scrivere un disegno di legge.
Per il resto, davvero, lascio al lettore ogni altro tipo di commento.