Palermo, mentre Spatuzza parla del '92 il gotha di oggi è condannato a 150 anni di carcere

foto: palermo.repubblica.it
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Palermo, 20 maggio 2012 – Mentre Santo La Causa parla a Catania[1], a Palermo lo fa un altro collaboratore di giustizia eccellente, Gaspare Spatuzza, auto-accusatosi già da tempo di aver avuto un ruolo centrale nella strage di via D'Amelio procurando la Fiat 126 sulla quale fu piazzato l'esplosivo, parlando davanti ai magistrati di Caltanissetta – titolari delle indagini sul periodo stragista del 1992-1993 – ha rivelato di essere stato anche l'uomo a cui Cosa Nostra affidò il compito di reperire l'esplosivo per la strage di Capaci, arrivato – come ormai ampiamente accertato – dalla Croazia sfruttando il canale aperto a Fiume da Giambattista Licata, esponente del clan dei siciliano dei Fidanzati e della mafia del Brenta, che proprio nella città croata aveva residenza.

«Ricordo che Fifetto Cannella [Cristoforo “Fifetto” Cannella, tra gli esecutori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo ndr] mi chiese, circa un mese prima dell'esplosione in cui morirono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta di trovare una macchina voluminosa», si legge nei verbali, ripubblicati nei giorni scorsi dal Giornale di Sicilia dopo una prima pubblicazione, fatta a fine 2009, dal quotidiano Repubblica[2].
«Ci recammo a Porticello» - ha continuato Spatuzza - «dove trovammo un certo Cosimo di circa 30 anni ed assieme a lui andammo su un peschereccio attraccato al molo da dove recuperammo dei cilindri dalle dimensioni di 50 centimetri per un metro legati con delle funi sulle paratie della barca. Successivamente constatai che al loro interno vi erano delle bombe. Recuperati i fusti li caricammo sulla autovettura per dirigerci verso la mia abitazione. Una volta arrivati a casa di mia madre, ubicata in un cortile, scaricammo i bidoni all'interno di una casa diroccata di mia zia che era a fianco di quella di mia madre e che noi usavamo come magazzino». In seguito, ha continuato nel suo racconto il collaboratore, venne recuperato altro esplosivo nei pressi del porto, legati ad un peschereccio. «Nessuno» - ha terminato Spatuzza - «mi ha mai detto esplicitamente a cosa servisse l'esplosivo».

Rimangono ancora senza risposta le domande relative all'incursione nell'ufficio al ministero della Giustizia del giudice Falcone, nei giorni immediatamente successivi all'attentato, quando il locale era ancora sotto sequestro, così come nulla ancora si sa su ciò che venne fatto con il suo computer il 6 giugno 1992 né sull'uso che venne fatto dell'altro pc portatile, nel quale Falcone custodiva le informazioni più riservate, tra cui l'elenco degli appartenenti alla struttura Gladio. Come per via d'Amelio, inoltre, a pochi giorni dal ventennale ancora nulla si sa del diario personale di Falcone, sparito come l'agenda rossa di Paolo Borsellino cinquantacinque giorni dopo, in via D'Amelio.

Ma forse le risposte a queste domande non devono essere chieste a Palermo.

Intanto, sempre in merito al periodo stragista, il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, Francesco Lauricella – in accoglimento di quanto richiesto dalla Procura – ha archiviato l'indagine per concorso esterno in associazione mafiosa per il “punciuto” generale dei carabinieri Antonio Subranni. Accuse che però non hanno trovato alcun riscontro.

Infine, tornando alla lotta alla Cosa Nostra attuale, nei giorni scorsi si è tenuto il secondo grado del processo “Perseo”[3], che ha confermato le decisioni del giudice per le udienze preliminari, condannando il gotha palermitano a 150 anni di carcere./p>

Note
[1] http://senorbabylon.blogspot.it/2012/05/il-boss-la-causa-racconta-la-mafia.html;
[2] L'esplosivo per le stragi portato dai pescherecci di Alessandra Ziniti, Repubblica, 27 dicembre 2009;
[3] Palermo, processo Perseo: boss condannati a 150 anni liberainformazione.org, 16 maggio 2012;