Processo Iblis, parlano gli ex uomini d'onore

Catania, 7 marzo 2012 – Nuova udienza del filone dell'inchiesta “Iblis” volto a chiarire la posizione del presidente della Regione Raffaele Lombardo e di suo fratello Angelo, deputato del Movimento per le Autonomie.
A parlare ieri, in videoconferenza, sarebbero dovuti essere Maurizio Di Gati, ex capo della Cosa Nostra agrigentina, Francesco Ercole Iacona, ex esponente della famiglia mafiosa di Caltanissetta ed il gelese Maurizio La Rosa, che però si è avvalso della facoltà di non rispondere in quanto «estraneo ad ogni tipo di consorteria mafiosa», come ha sottolineato il suo avvocato, Dino Milazzo.

La domanda che i pubblici ministeri avrebbero voluto rivolgere a quest'ultimo sarebbe suonata più o meno così: «A Gela c'era la stessa situazione di Agrigento e Caltanissetta?».
La risposta che non è arrivata sarebbe andata poi ad aggiungersi a quanto detto proprio da Maurizio Di Gati durante la sua deposizione. «L'ordine» - ha detto l'attuale collaboratore di giustizia - «era quello di votare Movimento per le Autonomie, perché era un partito ben portato a Catania, in provincia e in tutta la Sicilia orientale». Quello che gli inquirenti avrebbero voluto sapere da La Rosa era, dunque, se anche a Gela sia mai arrivato l'ordine di sostenere il partito di Raffaele Lombardo e, soprattutto, cosa abbia avuto – o almeno chiesto – in cambio Cosa Nostra.
La risposta, peraltro, sarebbe andata a costituire la base per la decisione in merito all'eventuale archiviazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa per i due fratelli, posizione stralciata da tempo[1].

«Il Movimento per le Autonomie era un buon partito perché era abbastanza nuovo» - ha proseguito Di Gati - «e, ci dicevano, ben portato da tutti noi uomini d'onore. Sapevamo che, se avessimo avuto bisogno, ci saremmo potuti rivolgere a loro». Tra gli esponenti del partito a cui le famiglie si potevano rivolgere c'era Calogero Lo Giudice, passato dall'Unione di Centro al movimento di Lombardo nel 2001 dopo il coinvolgimento – insieme al padre Vincenzo, ex deputato regionale Udc – nell'operazione “Alta mafia”[2], da cui poi è stato assolto.
Le famiglie agrigentine, ha detto Di Gati, avevano puntato su di lui per favori personali e, soprattutto, per l'ottenimento degli appalti pubblici, su cui lo stesso collaboratore di giustizia si è soffermato, spiegando la pratica della “messa a posto”: le imprese che vogliono lavorare in una determinata zona non solo devono pagare il pizzo alla famiglia che ha il controllo di quel territorio, ma devono anche acquistare i materiali da ditte imposte da Cosa Nostra.

Le indicazioni di voto erano arrivate direttamente dal mandamento di Pagliarelli, a Palermo (uno dei mandamenti più importanti negli equilibri interni all'organizzazione, capeggiato da Giovanni Nicchi, detto “Tiramisù” o “'U picciutteddu”, arrestato il 5 dicembre 2009) attraverso Angelo Di Bella della famiglia di Canicattì, il quale avrebbe direttamente finanziato il partito con un versamento di 40 euro a voto per le famiglie bisognose.

Di Gati si è poi soffermato anche sui suoi rapporti con le famiglie di Catania, facendo esplicito riferimento all'appalto per la residenza universitaria “Tavolieri” (uno dei filoni del processo sugli intrecci tra mafia, imprenditoria e funzionari pubblici per gli appalti in merito alla costruzione del nuovo ospedale Garibaldi di Nesima) che sarebbe stato ottenuto attraverso Valerio Infantino, funzionario della Regione allora commissario all'Istituto Autonomo Case Popolari di Catania che bandì la gara. Nell'ambito di questo appalto è stato fatto il nome di Vincenzo Randazzo «un imprenditore di Agrigento con sede a Roma, si era messo a nostra disposizione per quanto riguarda i lavori di Catania e si era messo in contatto con noi perché aveva avuto difficoltà con la famiglia Santapaola» - ha riferito Di Gati - «Da lì abbiamo iniziato ad andare e venire da Catania. Questo appalto era un finanziamento della Regione, abbiamo vinto il lavoro tramite un dipendente a noi vicino di nome Valerio Infantino, appoggiato dall'allora onorevole di Catania Giuseppe Castiglione e dal suocero, il senatore Firrarello». Nel procedimento “Garibaldi” Castiglione è stato assolto, per quanto riguarda invece Firrarello il procedimento è arrivato in appello, dopo una condanna per turbativa d'asta aggravata dall'aver favorito Cosa Nostra.

A collegare mafia e politica ci ha ulteriormente pensato l'altro teste di ieri, Francesco Ercole Iacona, che ha detto come a Gela fossero Enzo Cirignotta e suo cognato - «tale Pepe o Pepi, non ricordo» - gli uomini giusti con i quali appoggiare il movimento di Lombardo. «Ciccio La Rocca (boss di Caltagirone attualmente detenuto, ndr) lo teneva in mano sua, a Lombardo, lo “giostrava”», ha concluso Iacona.

Ma per Guido Ziccone, legale dell'attuale presidente della Regione Sicilia, la posizione del suo assistito resta «assolutamente serena perché la prova di oggi ha avuto un esito assolutamente favorevole alla difesa», in quanto la testimonianza «raccontava fatti de relato attraverso un altro de relato», cioè attraverso un “mi hanno detto” e simili.

La prossima udienza, prevista per venerdì prossimo, è stata invece spostata a martedì 3 aprile.

Note
[1] http://senorbabylon.blogspot.com/2011/09/lombardo-non-fu-concorso-esterno-per.html;
[2] Lo Giudice, ex deputato Udc, condannato a 16 anni. Il tribunale trasmette alla Procura gli atti: ipotesi di concorso esterno per il deputato regionale Giuseppa Saverino ed il padre Armando, siciliainformazioni.com, 1 marzo 2008