Cosa Nuova. Il patto dell'ortofrutta

fonte:corriereortofrutticolo.it
Roma – Seconda parte dell'approfondimento “siciliano” su Cosa Nuova. Nella prima parte[1] ci siamo soffermati sul chi abbia portato, fin dagli anni Settanta, le famiglie di Cosa Nostra nella capitale e nel Lazio. Oggi, invece, spostandoci al post-Calò, ci soffermeremo sul come, partendo da quello che sembra essere stato un vero e proprio “patto dell'ortofrutta”.

Arance, mandarini, pomodori e kalashnikov. Uno degli interessi nevralgici di Cosa Nostra, nel Lazio, è il Mof, acronimo che sta ad indicare il Mercato Ortofrutticolo di Fondi, in provincia di Latina, considerato uno dei principali snodi – se non il principale – per il passaggio di frutta e verdura tra nord e sud Italia.
Nei mesi scorsi, però, gli inquirenti hanno scoperto un paio di cose interessanti, su quel mercato. Dopo una complessa indagine portata avanti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e dalla Squadra Mobile ed il Centro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia della capitale in collaborazione con i loro omologhi napoletani e trapanesi, infatti, si è scoperto che a quei bancali di frutta e verdura si erano interessati anche i Casalesi di “Sandokan” Schiavone e Cosa Nostra (famiglia Riina-Messina Denaro, principalmente), che hanno rinsaldato la propria alleanza – sancita fin dai tempi di Bardellino e della “mafia pre-corleonese”[2] – tramite il controllo (o quanto meno il tentativo di controllare) il trasporto su gomma dei prodotti del mercato ortofrutticolo da e per la Sicilia, attraverso società quali la “Paganese Trasporti” di San Marcellino, nel casertano, il cui titolare – Costantino Pagano – sarebbe direttamente riconducibile a Francesco Schiavone e a Luigi Schiavone, detto “Cicciariello”, o la “Lazialfrigo” di Giuseppe, Luigi e Melissa D'Alterio (riconducibile anch'essa alla “Paganese Trasporti”). Anche loro riconducibili, secondo gli investigatori - che li hanno accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, violenza, minacce – ai Casalesi a cui sarebbero direttamente affiliati.

Tra un chilo di mandarini e un cesto di insalata, gli autoarticolati che uscivano dal Mof – dove è stato accertato la criminalità controllasse sei società utilizzate per lavare i proventi del narcotraffico – venivano caricati anche Ak-47, kalashnikov, mitragliatori pesanti Breda, lanciarazzi e migliaia di munizioni (materiale sequestrato dalla Mobile di Caserta nel 2006) il cui acquisto era fatto da Pagano per nome e conto dei Casalesi (ala-Del Vecchio) importate dalla Bosnia sfruttando la complicità di militari che prestavano servizio nel paese durante le nostre “missioni di pace”.

Frutta, verdura, armi e – per completare l'opera – cocaina. Questa era la merce che si poteva trovare al mercato ortofrutticolo di Fondi prima delle operazioni delle forze dell'ordine.

Il Mercato Ortofrutticolo di Fondi fu costruito oltre 20 anni fa, mediante l'uso di fondi pubblici, a poca distanza dalla linea ferroviaria Roma-Napoli sia per sfruttarne i vantaggi che per minimizzare il problema dell'inquinamento ambientale derivante dal trasporto su gomma.
Le inchieste giudiziarie però – come quella denominata “Sud Pontino”[3] - ci hanno raccontato una storia un po' diversa, ed il fatto che oggi quei binari siano chiusi da una rete metallica senza che chi di competenza faccia nulla (nella fattispecie la Regione e Trenitalia) non lascia certo sperare in una veloce “ripulitura” del Mercato. La rete, infatti, impedendo l'ingresso dei convogli ferroviari (e, di fatto, l'uso delle ferrovie per il trasporto della merce del Mof) permette di poter usare esclusivamente il trasporto su gomma, impedendo così una seppur minima forma di “opposizione” al potere mafioso.

Recenti indagini, peraltro, hanno permesso di individuare un vero e proprio network inter-mafioso che agiva al suo interno, composto dai già citati Casalesi, dalla famiglia catanese dei Santapaola-Ercolano e dal clan giuglianese Mallardo-Licciardi. Non poteva mancare poi la 'ndrangheta calabrese, presente – come hanno accertato le operazioni denominate “Damasco” I e II – con la 'ndrina dei Tripodo, residenti da oltre venti anni nel comune di Fondi con Carmelo (o Carmelo Giovanni) e Venanzio (o Antonio Venanzio), figli di Mico Tripodo, uno dei più importanti boss della prima fase della 'ndrangheta, ucciso dai cutoliani nel carcere di Poggioreale per conto dei De Stefano.

Il Mercato ortofrutticolo, peraltro, non è l'unico interesse della criminalità organizzata nel comune di Fondi.
Forte, infatti, è anche la penetrazione criminale negli apparati politici, culminati nel luglio 2009 con diciassette ordinanze di custodia cautelare tra le quali – oltre a quelle per i fratelli Tripodo – spicca quella per l'allora assessore comunale Riccardo Izzi (Popolo delle Libertà, stesso partito della giunta), il cui nome era già comparso nell'inchiesta “Damasco”, primo eletto in una tornata nella quale – dicono gli inquirenti – una parte del denaro da lui utilizzato proveniva proprio dai Tripodo.

Nonostante un così ampio dossier, il governo politico di Silvio Berlusconi non ha mai sciolto il Comune per infiltrazione mafiosa – non tenendo peraltro conto del parere favorevole allo scioglimento dell'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni – tantomeno, per ora, lo ha fatto il governo tecnico.

«I fatti, meglio sarebbe dire i cadaveri che insanguinano la Capitale, danno ragione a chi sostiene l'esistenza in Roma di una criminalità organizzata operante secondo gli stilemi delle associazioni mafiose». A scriverlo, nella sua relazione, è la Commissione parlamentare antimafia. Ma quella guidata da Gerardo Chiaromonte del Partito Comunista, anno 1991. Dopo ventuno anni, a questa frase non è stata spostata neanche una virgola.

Note
[1] http://senorbabylon.blogspot.com/2012/02/cosa-nuova-il-nodo-calo.html;
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Clan_dei_casalesi#Rapporti_con_Cosa_nostra;
[3] Operazioni di rilievo 2010, Direzione Investigativa Antimafia;