Roberto Saviano e quella "moda" dei premi per la legalità

Napoli - I “personaggi”, si sa, sono destinati a far discutere. Roberto Saviano rientra, sicuramente, in questa situazione. Negli ultimi giorni è stato al centro di due notizie, in qualche modo antitetiche tra loro, come un'onorificenza ed un'accusa di parlare di cose che non conosce, che portano a chiedersi dove stia, effettivamente, la verità sul “signor-Gomorra”.

L'onorificenza. Partiamo dal “premio”. Dieci giorni fa[1] il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ufficializzava sul suo canale Twitter la decisione di insignire lo scrittore della cittadinanza onoraria. L'idea circola da un paio d'anni, da quando cioè a Saviano fu negato l'Ambrogino d'oro nel 2009 e, l'anno successivo, la stessa cittadinanza onoraria in quanto Saviano aveva raccontato delle infiltrazioni mafiose nel Nord Italia, suscitando le ire della Lega Nord.
Stessa richiesta è stata fatta da Dario Nanni, consigliere romano del Partito Democratico, «per dimostrare che la nostra città è solidale e sostiene chi rischia in prima persona per la legalità», le sue parole.

L'accusa. Ci aveva già pensato il sociologo Alessandro Dal Lago con il suo “Eroi di carta” qualche mese fa, a smontare il Saviano-personaggio[2].
Un'altra – e forse più dura – accusa arrivava lo scorso maggio dalle pagine de “Il Giornale”[3]. Ad esternarla non un sociologo, uno che scrive libri. Ma un prete. Anticamorra, per giunta. Quel don Aniello Manganiello (nella foto) che per sedici anni la camorra l'ha combattuta guardandola dritta negli occhi a Scampia, dove Saviano «non ha abitato nemmeno per un giorno nel quartiere né vi ha sostato a lungo» pur parlandone da “esperto”. «Quando assassini e spacciatori gli hanno chiesto un futuro diverso per i loro figli» - scriveva nell'articolo Gian Marco Chiocci - «io non ho mai mandato quei ragazzi ai cortei anticamorra, con una bandiera in mano, un paio di slogano e tanta voglia di urlare. Perché io devo trovare soluzioni, i soldi per farli mangiare, per impedire che le ragazze si sentano obbligate ad abortire, per comprare i pannolini e pagare le bollette», raccontava don Aniello.
Il “premio” per il suo lavoro è stato l'allontanamento da Scampia ed un trasferimento a Roma nel 2010.
Così come, sempre nel 2010, il “premio” vinto da chi tentava di togliere i ragazzi e le ragazze che abbandonavano – e continuano ad abbandonare – la scuola per abbracciare il modello sociale della criminalità organizzata, i “maestri di strada”, come vennero chiamati, è stato quello di vedersi tagliare i fondi per il loro progetto “Chance”[4].

A questo punto, prima di concludere, permettetemi una piccola provocazione sul tema. Io non so quanto valga effettivamente una “cittadinanza onoraria”, nel senso che – credo – abbia un valore esclusivamente formale (un po' come le lauree “honoris causa”, buone per lo più solo per dare un po' di prestigio mediatico agli atenei che le concedono, in un paese dove le lauree “effettive” sono – e valgono – sempre meno).
Credo, comunque, che Saviano – che per usare la definizione di Carlo Lucarelli in un'intervista a Serena Dandini, è un "narratore" e non un "giornalista" – tra televisioni che lo ospitano e quotidiano che ne pubblicano ogni virgola, stia ormai raccogliendo i frutti del suo libro.
Ma se davvero si vuole essere “solidali con chi rischia in prima persona per la legalità” i nomi da fare sono altri. Come quelli delle tante e dei tanti giornalisti che dai piccoli giornali calabresi, siciliani, campani e via discorrendo scrivono quotidianamente di criminalità organizzata e si ritrovano cinque colpi di pistola contro l'auto, come successo nel 2008 ad Angela Corica[5], o come Giovanni Tizian, che ha raccontato le infiltrazioni criminali in Emilia Romagna ed il cui nome è venuto fuori solo da pochi giorni, da quando cioè gli hanno assegnato la scorta perché in un'intercettazione alcuni mafiosi parlavano di ucciderlo[6]. O come Pino Maniaci, forse il più noto tra i giornalisti minacciati, che da TeleJato ci racconta quotidianamente di Cosa Nostra e che nel momento in cui chiuderanno la sua televisione comunitaria (grazie alla finanziaria 2011 assegnando quelle frequenze ai grandi colossi Rai, Mediaset, La7 – cioè Telecom – e Sky)[7] rimarrà praticamente senza protezione.
Per loro, l'unica “onorificenza” è quella di Ossigeno, l'osservatorio che tiene il conto dei cronisti minacciati nel nostro paese.

In conclusione, dunque, la domanda è lecita: all'Italia interessa davvero la lotta alla criminalità organizzata, o le interessa solo quella parte che può guardare comodamente seduta davanti alla televisione?

Note
[1] Milano, Roberto Saviano cittadino onorario di Rosy Merola, InfoOggi.it, 5 gennaio 2012;
[2] Eroe di carta. Intervista ad Alessandro Dal Lago di Antonio Musella, GlobalProject.info, 12 luglio 2010
[3] Quel prete anticamorra che smaschera Saviano: "Non sa di cosa parla" di Gian Marco Chiocci, Il Giornale, 9 maggio 2011;
[4] http://senorbabylon.blogspot.com/2011/10/scuole-al-margine.html;
[5] Cinque colpi di pistola
contro l'auto della giornalista
, Corriere della Sera, 30 dicembre 2008;
[6] Giovanni Tizian. Un lavoro coraggioso di Giovanni Tizian, TerreLibere.org, 14 gennaio 2012;
[7] http://www.ritaatria.it/LeStorie/InformazionecheResiste/ComitatoSiamotuttiTelejato.aspx