Metropolitana di Palermo, silurato il direttore del passante Brancaccio-Carini

Palermo - «Zio, la informo che siccome in breve dovrebbe iniziare la metropolitana volevo chiedere se le interessa qualche calcestruzzi da fare lavorare». Inizia così il pizzino inviato da Salvatore Lo Piccolo, il “barone”, a “zu Binnu” Provenzano e ritrovato al momento dell'arresto di quest'ultimo l'11 aprile 2006 e con il quale gli inquirenti – ed i cittadini – venivano a conoscenza del fatto che Cosa nostra aveva messo le mani anche sulla metropolitana di Palermo, attualmente il più grosso appalto nel palermitano su cui Cosa nostra potesse mettere le mani. Che dallo scorso 29 dicembre può contare su un nuovo direttore tecnico.

Teste che cadono. È di questa mattina, dunque, la notizia del licenziamento – avvenuto lo scorso 29 dicembre - dell'ingegner Giuseppe Galluzzo, direttore tecnico del raggruppamento di imprese che stanno realizzando il raddoppio del passante ferroviario Brancaccio-Carini, un'opera da 623 milioni di euro iniziata nel 2008, quando Rete ferroviaria italiana spa assegnò i lavori ad un'associazione temporanea d'imprese (Ati) che comprendeva le torinesi Ing General Contractor spa e Sipal spa(per il 40 per cento), nonché la spagnola Sacyr S.A. del gruppo Sacyr Vallehermoso di Madrid(60 per cento) .
A Torino, invece, è stato inviato il geometra Roberto Russo, uomo macchina di Galluzzo. A sostituire i due sono stati chiamati gli ingegneri Pierpaolo D'Aco e Andrea Reitano.

Le mani sull'appalto. La sostituzione segue di qualche mese l'arresto di Andrea Impastato, 63 anni, a cui lo stesso Lo Piccolo aveva affidato la gestione dell'affare, come facilmente riscontrabile dalla lettura del pizzino[1]. L'accusa, naturalmente, è quello di aver fornito “calcestruzzo mafioso” attraverso due ditte a lui riconducibili – la Prime Iniziative e la Medi Tour - affidando i lavori di trivellazione ad una ditta legata al boss Tommaso Cannella.

Nonostante l'arresto, Impastato aveva continuato a tenere le fila dell'appalto attraverso il costante aggiornamento che gli arrivava durante gli incontri con i familiari nel carcere dell'Ucciardone. E nonostante l'interesse degli inquirenti e dell'antimafia sui movimenti intorno all'appalto, l'unica cosa ad essere cambiata erano i nomi delle società ed i prestanome.

«Le aziende» - aveva raccontato il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia al settimanale L'Espresso lo scorso giugno, quando l'inchiesta uscì sui giornali[2]- «hanno ceduto alla pressione mafiosa di Impastato concedendo questa sorta di monopolio sulla fornitura di materie prime. Mi sembra che sia un dato molto indicativo della permeabilità del sistema degli appalti e dei controlli della pubblica amministrazione. Ma anche sulla tenuta del sistema economico privato davanti alle organizzazioni criminali».

Note
[1] http://palermo.repubblica.it/cronaca/2011/05/30/foto/il_cemento_di_cosa_nostra_nella_metro_in_un_pizzino_scoperti_i_segreti_dei_boss-16881745/1/;
[2] Palermo, la mafia nel metrò di Umberto Lucentini, L'Espresso, 6 giugno 2011