Italia, il paese dove chi vuole partorire non può e chi non vuole è costretta

Lipari (Messina) – Se ne era già parlato agli inizi di ottobre[1], quando ancora non c'era niente di ufficiale e la “rivolta dei pancioni” era nel suo pieno svolgimento. Ma non è servita a nulla. Nel frattempo, però, molta cura viene data ai feti, che da oggi avranno anche un luogo in cui essere seppelliti.

L'Assemblea Regionale Siciliana, ad ottobre, aveva deciso – attraverso un decreto proposto dall'assessore alla Sanità Massimo Russo – di sopprimere ben 23 “punti nascita” nelle isole Eolie, accorpandoli tutti in una “guardia ostetrica” operativa, operativa 24 ore su 24 – seppur composta da sole due ostetriche – per attenersi al dettame dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che aveva fissato in 500 nascite all'anno la “soglia minima” per tenere aperto un punto nascita. E nelle Eolie a mala pena si arriva al centinaio.
Da qui la rivolta delle partorienti – la “rivolta dei pancioni”, appunto – che, a seguito di questa politica di redistribuzione di ostetriche sul territorio saranno obbligate a dover andare in un ospedale della terraferma, in quanto quello che l'assemblea regionale sta per chiudere è l'unico reparto di ostetricia presente nelle isole, in quanto a quello di Lipari fanno capo anche le altre isole.

La situazione che si sta per delineare – l'atto è diventato effettivo e la chiusura è prevista al massimo entro qualche giorno – è che per partorire dalle isole bisognerà spostarsi verso i presidi di ostetricia più vicini (Milazzo, Patti o Messina), via aliscafo, in circa 45 minuti, o via elicottero. Condizioni del mare e del meteo permettendo, naturalmente. Senza contare, oltre ai rischi per la salute del nascituro e della partoriente, l'eventualità di un trasferimento “programmato” che potrebbe avere, per le famiglie, dei costi non sempre accessibili.
Da qui la cittadinanza si è rivolta direttamente al presidente della Repubblica.

A questo punto potrei anche firmare questo articolo e chiuderla qui. Permettetemi, però, di legare a questa una notizia che è, in qualche modo, il “rovescio della medaglia” delle difficoltà che incontreranno le future mamme liparesi nel partorire.
Da Lipari ci spostiamo a Roma, dove ieri è stato inaugurato il “giardino degli angeli”, un'area di 600 metri quadri all'interno del cimitero del Laurentino, destinato alla sepoltura dei feti abortiti. «Questo progetto» - dichiara Sveva Belviso, vicesindaco della capitale con delega alle Politiche sociali - «risponde alle richieste di chi vuole assicurare al proprio bambino non nato un luogo di sepoltura e non essere più trattato come un rifiuto ospedaliero. L'iniziativa», ha sottolineato la Belviso, «non vuole intaccare i principi sanciti dalla legge 194 ma vuole dare una risposta alle richieste di coloro che intendono il loro figlio mai nato».

Le lapidi, in marmo bianco, tutte uguali tra loro, saranno impersonali – sarà infatti possibile utilizzare un nome di fantasia – e le donne saranno riconoscibili solo attraverso un codice, che permette così di spersonalizzare una battaglia puramente politica, quello di definire feti di poche settimane “bambini”, che invece si basa sul suo opposto, cioè l'estrema personalizzazione (o “umanizzazione”) di qualcosa che “persona” ancora non è.
Fa parte di una più ampia battaglia – giocata attraverso la politica ma che in realtà è per lo più culturale – che ormai da tempo mira ad eliminare la possibilità di scelta per le donne che vogliono abortire (composta anche dalla battaglia sui consultori e dalla ormai quasi totale impossibilità di trovare degli “abortisti” nelle strutture ospedaliere, dove l'obiezione di coscienza è diventata più una scelta carrieristica che non morale).

«Il giardino degli angeli è il luogo del ricordo di chi avrebbe dovuto accompagnare il cammino e rendere luminosa la vita di quei genitori il cui sogno è stato fermato dai molti e disparati problemi che possono mettere a rischio una gravidanza fino ad interromperla» ha commentato il consigliere Fabrizio Santori, che ha anche definito il cimitero “un inno alla vita”, A questo punto, però, credo sia lecito porsi una domanda: piuttosto che lavorare sul “post”, non sarebbe il caso – per questo “Movimento per la Vita” - di lavorare sul “prima”, magari facendo in modo che chi invece non vuole abortire possa partorire senza farsi “viaggi della speranza” in aliscafo od elicottero?

«C’è poco da aggiungere» - scriveva ieri Caterina Perniconi su "Il Fatto Quotidiano"[2] - «se non che l’area è di fronte a quella dei bambini nati. Per ricordare la differenza che passa tra donna e donna».SB

Note
[1] Lipari, la "rivolta dei pancioni", InfoOggi.it, 10 ottobre 2011;
[2] Perché un cimitero dei feti abortiti?, Caterina Perniconi, Il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2012;