Il Titano e la piccola Piovra/1. L'estorsione dell'estortore

San Marino – C'è un uomo, affacciato alla finestra del quarto piano del centro servizi. O, per essere più precisi, è un uomo costretto ad affacciarsi dopo essersi preso una scarica di calci e pugni da uno degli altri due uomini presenti in quel momento nella stanza. Se fosse caduto di sotto, è questa la minaccia, nessuno se ne sarebbe accorto, perché nel resto della Repubblica stanno tutti festeggiando la fine dell'anno 2009.
Tutto sommato, comunque, non è neanche la peggiore delle situazioni in cui potrebbe trovarsi. L'altro uomo presente nella stanza, infatti, gli dice che per qualunque problema dovrà rivolgersi alla “famiglia”. Quel tipo di “famiglia” alla quale certi sgarri proprio non si possono fare. Camorra, insomma.

I tre, comunque, si conoscevano. Si erano già incontrati più di una volta, come quel 20 maggio 2009, quando Claudio Vitalucci – questo il nome dell'uomo affacciato alla finestra – è costretto a sottoscrivere un falso contratto di vendita di una Aston Martin per la sua azienda, la “Immobiliare Ponte Sasso s.r.l.” (di cui, dicono gli inquirenti, è amministratore di fatto[1]) dalla MB Class Motors srl, società sammarinese di cui legale rappresentante è l'uomo della “famiglia”, che si chiama Bruno Platone, in cambio di 50 mila euro di caparra con assegni circolari.
Qualche giorno prima i due avevano già fatto un'operazione di questo tipo. Platone, già conosciuto agli inquirenti per essere finito nell'inchiesta “Vulcano” sulle diramazioni della camorra in Riviera e Riccardo Ricciardi – questo il nome del terzo uomo presente nella stanza – si sarebbero infatti procurati un ingiusto profitto, per un importo di 320mila euro, costringendo Vitalucci a sottoscrivere una falsa quietanza di avvenuto pagamento.

Estorsione all'estortore. Operazione, questa, che in italiano passa sotto il nome di estorsione, i cui proventi sarebbero stati spartiti tra il duo Ricciardi-Platone e la già citata “famiglia”, che è poi quella dei Gallo-Cavalieri, uno dei più potenti clan dell'area vesuviana del napoletano, dedita al traffico internazionale di stupefacenti e – guarda caso - alle estorsioni, operante per lo più nel territorio di Torre Annunziata.

Detta così sembra quasi la “classica” storia di pizzo, nella quale l'imprenditore taglieggiato la prima volta dice no e la seconda anche. Alla terza però trovano il modo di fargli dire di sì. Eppure, a ben guardare, le cose non sono così nitide. Anzi.

«Dopo io una mattina, dopo te vengo a casa a trovatte, dopo me dispiace, e maio vengo, io non è che, sai che io sono strano, perché io mi sono rotto il cazzo di essermi fatto prendere per il culo, vengo da te a incazzarmi come una bestia perché stai aiutando a fare le truffe a loro e compiere tutti questi atti a mafiosi, però non passerà un altro anno perché dopo Danié, guarda io ti vengo là a casa tua ti vengo a prendere poi andiamo su da Bianchini io e te insieme hai capito? Perché io, vengo io a piatte, hai capito? E poi andiamo su io e te a casa a bussare».

A parlare – registrato da un'intercettazione del 5 maggio 2010 – è proprio Vitalucci. Dall'altro capo del telefono c'è “Danié”, alias Daniele Tosi, ex direttore generale della società finanziaria Fingestus s.a. di Marco Bianchini, il “re del nero” - come lo definì un servizio del 2009 di Report – leader in Italia, attraverso il gruppo “Bi-Holding-Karnak”, della fornitura di materiale da ufficio.

È qui, dicono gli inquirenti, il cuore dell'operazione “Criminal Minds”.
25 misure cautelari, sequestro di beni immobili e quote societarie per un valore di circa 10 milioni di euro per ipotesi di reato che vanno dalla corruzione al trasferimento di valori attraverso intestazioni fittizie di quote societarie passando per lo sfruttamento della prostituzione, il traffico di droga e di sostanze dopanti e, come abbiamo in parte già visto, i legami con la criminalità organizzata e l'utilizzo di metodi mafiosi.

La faida. L'uomo al centro dell'inchiesta è proprio Bianchini, in carcere da lunedì e per il quale la procura ha chiesto l'estradizione da San Marino.
E torniamo così all'imprenditore anconetano Vitalucci, che si rivolge alla società finanziaria di Bianchini per comprare i beni della sua società posta in amministrazione straordinaria a seguito della dichiarazione di bancarotta. Per fare questo veniva costituita una società che acquistava dalla curatela la villa dell'imprenditore facendo apparire un pagamento di 867mila euro attraverso la finanziaria, ma finanziando tale acquisto con denaro distratto (cioè sottratto) dal fallimento.
La finanziaria per un po' svolge questo compito, poi qualcosa va storto. Forse i due non si accordano sui prezzi. Sta di fatto che Vitalucci allora si presenta a San Marino per chiedere a Bianchini la restituzione di 3 milioni di euro in compagnia di due guardaspalle, uno dei quali - tale Ardian Kazazi, di nazionalità albanese – oltre ad essere gestore occulto dell'associazione JSD, avente come oggetto sociale la gestione di locali notturni a Misano Adriatico (quali il Disco Club Balcanica) sarebbe anche sottoposto al regime del 41 bis.
Ma quei soldi, Bianchini – che nel frattempo ha denunciato tutto ai carabinieri - non ce li ha. Quei soldi, infatti, sono a Torre Annunziata, nelle disponibilità della camorra.
«Una parte dei soldi vanno a me, una a Ricciardi, l'altra alla “famiglia”» dice Platone, ripreso in un'intercettazione.

Le due estorsioni, scrive la giudice per le indagini preliminari Fiorella Casadei, sono espressione di un più generalizzato modo di gestione degli affari «improntato a schemi posti al di fuori delle regole ordinamentali, con sistematico ricorso a metodologie illecite, non disdegnando di ricevere e rimettere nel circuito economico utilità provento di delitti, e di risolvere contrasti e controversie derivanti dagli affari, attraverso sistemi evocativi di una mentalità, uniformata, seppure ancora in modo del tutto generico, “a metodi di tipo mafioso o camorristico” (così che, allo stato e condivisibilmente, l'organo di accusa non ha ritenuto di contestare l'aggravante di cui all'articolo 7 della legge 203/91[2]) ma che una cultura attenta anche alle strategie di prevenzione, non può ignorare e non può doverosamente far riflettere gli organi istituzionali preposti alla preventiva tutela dal rischio di infiltrazioni camorristiche e della ricerca delle collusioni con il tessuto economico locale».
Insomma: questa non è camorra vera e propria, tanto che – scrive la giudice – non può essere contestata l'aggravante del metodo mafioso (l'articolo 7 della legge 203 del 1991). È una “camorricchia”, una camorra di serie B.
Una “camorricchia” che però vuole risolvere la faida come si fa nella camorra vera: con il sangue. Questo, però, viene impedito proprio dalla discesa in campo dei boss, i quali decidono che la cosa migliore da fare è sedersi ad un tavolo per arrivare ad un accordo.
Prima che scattasse la notte degli arresti, naturalmente.

(1 - Continua)

Note
[1] http://www.diritto-penale.it/amministratore-di-fatto.htm;
[2] http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/14/0426_DECRETO_LEGGE_13_maggio_1991_n._152.pdf