Il processo Rostagno e quel testimone irreperibile

Trapani – È ripartito mercoledì 11 gennaio il processo per il delitto del giornalista Mauro Rostagno. E inizia con un “incidente di percorso” frutto, probabilmente, della distrazione di qualcuno. Sul banco dei testimoni, infatti, doveva salire Rosario Spatola (nella foto). Ma Spatola è morto. Dal 2008.

A riferirlo in aula poco prima della riapertura del processo è stato Francesco Del Bene, pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia palermitana. «Tutto è stato assurdo, tutto scandaloso nella storia di Mauro», ha riferito – a Panorama.it – Maddalena Rostagno, figlia del giornalista. «Abbiamo aspettato 23 anni per avere un processo. E oggi pretendo che in aula, oltre a chiamare i testi defunti, si arrivi alla verità. Una verità che tutti conoscono».

Eppure Spatola non era esattamente uno “scassapagliara”, per dirla con Giuseppe Fava. Nonostante la morte in solitudine e l'abbandono a causa della fase dei “grandi pentiti” che lo mise tra i “pentiti di serie B” per anni le parole dell'ex collaboratore di giustizia – era stato infatti allontanato dal programma di protezione nel 1990 per “violazioni comportamentali” - sono state considerate ben più importanti.

Omonimo di quel Rosario Spatola su cui indagò Giovanni Falcone nell'ambito del procedimento “Pizza Connection”, l'uomo che avrebbe dovuto presentarsi davanti al giudice mercoledì era nato a Campobello di Mazara, nella Valle del Belìce, negli anni '90 fu infatti tra i primi pentiti della mafia trapanese, le prime rivelazioni le fece sulla rete del traffico di droga, dalle rotte fino alle piazze di spaccio passando dai luoghi in cui la cocaina – di cui faceva uso – veniva raffinata. Ad ascoltarlo, allora, c'era il procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, che nel 1989 però lo definì un “non-mafioso”, perché figlio di poliziotto (sarebbe stata, questa un'affiliazione in netta violazione del “codice mafioso”) e perché della fantomatica cosca svizzera che l'avrebbe affiliato non è mai stata trovata traccia. Fu dopo il 19 luglio 1992 che Spatola iniziò a fare nomi e cognomi, come quello dell'ex numero due del Sisde Bruno Contrada o quello di Pino Giammarinaro, allora deputato regionale della Democrazia Cristiana ed oggi tra i “nomi scomodi” della giunta Sgarbi di Salemi[1].
Nessuno – né la Procura palermitana, tantomeno il suo difensore di fiducia – però, era stato messo al corrente della sua morte.

Onde evitare che la prossima sessione si svolga attraverso l'uso di sedute spiritiche, è stato chiamato a deporre l'altro teste di giornata, Vincenzo Calcara.
Anch'egli ex pentito apparso - come evidenziato da Pino Maniaci in una delle recenti edizioni del tg di Telejato - più interessato a difendere la propria credibilità, più volte attaccata durante il processo, che non a riferire quello che effettivamente sapeva. A favore di Calcara, comunque, ci sono alcune rivelazioni poi rivelatesi vere, come quelle riguardanti ben due progetti per l'omicidio di Paolo Borsellino.
Sull'omicidio Rostagno, Calcara da anni parla di un “livello superiore”:«Io ho capito subito che Rostagno doveva morire perché stava facendo molti danni», ha esordito. «Il primo danno consisteva nel fatto che lui ogni giorno era in tv a parlare contro uomini di Cosa Nostra, era un detective, scopriva delle cose che facevano molto male, accusava persone, indicava le ingiustizie. Apertamente era contro Cosa Nostra e la cosa era imperdonabile».
Calcara fa il nome di Tonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano – nome in codice Svetonio, l'alias che gli assegnò il Sisde del generale Mario Mori per mettersi in contatto con Matteo Messina Denaro - «lui mi disse che erano stati i fratuzzi, uomini che appartenevano alla mafia quanto alla massoneria». Calcara ha poi evidenziato – dietro domanda dell'avvocato di parte civile – che anche uomini delle istituzioni deviate e massoni di Trapani e Mazara erano infastiditi dal lavoro del giornalista. Di nomi, però, neanche l'ombra.

Anche Calcara, comunque, ci ha tenuto ad introdurre nella sua testimonianza un vero e proprio “giallo”. Quando il giudice Pellino – presidente della Corte di Assise – gli ha infatti chiesto di ricordare l'unico omicidio che aveva confessato di aver commesso e per il quale ha detto di essere stato condannato, l'ex pentito ha risposto che lui, in realtà, di omicidio ne aveva commesso un altro. Alla domanda su quale fosse, però, Calcara ha preferito non rispondere.

Note
[1] Pressioni mafiose sul comune di Sgarbi. Indagato l'ex deputato dc Giammarinaro, Corriere del Mezzogiorno, 17 maggio 2011