Messico, il paese dove muoiono i ministri dell'Interno



Cuernavaca (Messico), 12 novembre 2011 – Francisco Blake Mora, ministro dell'Interno, è deceduto insieme ad altre sette persone in un incidente aereo. Alejandra Sota, portavoce del governo federale, ha spiegato che il velivolo viaggiava su una rotta diversa da quella prevista e che nella zona c'era una fitta nebbia. 45 anni, insieme al ministro della Difesa Blake era uno degli uomini chiave della lotta del governo Calderón al narcotraffico (dei cui risultati abbiamo più volte parlato nelle scorse settimane). La mente dei messicani, e dello stesso Blake, che nelle ore precedenti ne aveva parlato sul suo account twitter[1], è subito andata al novembre di tre anni fa, quando il Gulfstream di Juan Camilo Mourino – anch'egli ministro dell'Interno – precipitò su un'affollata strada della capitale. Insieme a lui nell'incidente morì anche uno dei più importanti investigatori anti-narcos messicani, José Luis Vasconcelos. Si parlò, anche in quel caso, di una turbolenza improvvisa, ma la versione non ha mai convinto del tutto. Sempre un incidente aereo causò la morte – nel settembre 2005 – di Ramón Martín Huerta, segretario di Pubblica Sicurezza del governo Fox.

Difendere la libertà di informazione. Nei giorni scorsi – come scrive Carina García sul quotidiano El Universal[2] – la Camera dei Deputati messicana ha approvato la riforma dell'articolo 73 della Costituzione con la quale si permette al governo federale di «essere informati anche sui delitti commessi in altri stati della federazione se questi avranno connessioni con reati verso giornalisti, persone o strutture che fanno informazione quando questi limitino il diritto alla informazione o alla libertà di espressione e stampa», come recita il testo riformato che – dopo i 362 voti ottenuti alla Camera – dovrà ora passare al Senato della Repubblica per diventare legge. Dopo questo passaggio – per il quale sarà necessario che la proposta di legge ottenga voto favorevole nella maggioranza dei congressi federali – questi ultimi avranno sei mesi per ratificare e trasformare in legge la tutela dei giornalisti.

Inizialmente la proposta prevedeva la tutela dei soli giornalisti, ma gli esponenti del Partido Acción Nacional (centro-destra, è il partito del presidente Calderón), del Partido Revolucionario Institucional (centro), del Partido de la Revolución Democrática (centro-sinistra) e del Partido del Trabajo (estrema sinistra) hanno proposto invece che la legge fosse estesa anche a chi giornalista “di professione” non è.
Questo perché – come ha affermato il deputato del PRD Nazario Norberto Sánchez – quando si attacca un giornalista «si priva tutta la società del suo diritto ad essere informata e si scoraggia la denuncia, provocando forme di impunità». Per questo, continua il deputato, «l'assassinio e il rapimento di giornalisti e di tutti quei soggetti che fanno informazione è la forma più violenta di attaccare il diritto alla libertà di espressione. La carenza di indagini adeguate e l'impunità che da ciò deriva possono propiziare l'assassinio o il rapimento di altri giornalisti, aumentando il livello di autocensura che restringe la libertà di espressione».
Le misure prese fino ad ora a tutela dell'informazione, come la creazione di una apposita “Procura per i delitti contro la libertà di espressione” si sono rivelate inefficaci, come ha evidenziato il legislatore del PRD, Agustín Guerrero Castillo. «Da quando è stata creata» - ha sostenuto Guerrero Castillo - «non è riuscita a sanzionare penalmente neanche un reato ed è sempre più evidente la sua tendenza a declinare il proprio compito alle autorità locali».

La differenza tra militari e narcos. Lo abbiamo detto più volte: in Messico non sono solo i cartelli a far paura. Un report dell'organizzazione Human Right Watch[3] ha infatti rilevato come da anni ormai l'impunità regni sovrana anche all'interno delle forze dell'ordine, i cui esponenti vengono sempre più spesso accusati di essere conniventi con i narcos. Da quando Calderón si è insediato al potere – nel dicembre 2006 – sostiene il rapporto, ci sono stati più di 170 casi di torture, 39 sparizioni e 24 uccisioni “extragiudiziali” perpetrati dai militari al fine di ottenere informazioni sui cartelli. Nei cinque stati su cui si focalizzano le 212 pagine del rapporto (Baja California, Chihuahua, Guerrero, Nuevo León e Tabasco) tra il 2007 e lo scorso aprile sono state aperte più di 1600 inchieste, ma nessun militare è mai stato condannato.
Molto spesso, evidenzia il rapporto, le torture vengono utilizzate per ottenere informazioni o confessioni (non sempre veritiere) su persone che nella maggior parte dei casi non hanno alcun contatto con i cartelli.
«Invece che ridurre la violenza, la guerra contro il narcotraffico ha provocato un incremento drammatico nella quantità di omicidi, torture e altri terribili abusi da parte delle forze dell'ordine, che contribuiscono solo ad aggravare il clima di perdita di controllo e timore che predomina in molte parti del paese», conclude il documento.

Narcogeografie. Intanto la Procura specializzata sul crimine organizzato (SIEDO, in spagnolo), ha definito l'attuale geografia dei cartelli, definendo in Veracruz il nuovo principale teatro degli scontri. A contendersi la piazza veracruziana il Cártel de Sinaloa di “El Chapo” Guzman e la famiglia Lazcano Lazcano, leader dell'onnipresente gruppo dei Los Zetas[4], con il Cártel de Jalisco Nueva Generación a fare da terzo incomodo. Los Zetas e Sinaloa sono attualmente i cartelli con la maggior espansione territoriale, presenti rispettivamente nella zona del Golfo del Messico (stati di Tamaulipas, Durango, Nevo León, Coahuila, San Luis Potosí, Aguascalientes, Veracruz, Colima, Oaxaca, Tabasco e Quintana Roo) e in quella del Pacifico messicano (Chihuahua, Sonora, Sinaloa, Jalisco, Oaxaca, Chiapas e Quintana Roo). Oltre alla zona di Veracruz – dicono fonti governative – i due cartelli si contendono anche le zone di Durango e Coahuila. Tamaulipas e Nuevo León sono invece gli stati che vedono scontrarsi i Los Zetas con il Cártel del Golfo.

Oltre ai già citati, il governo ha “ufficialmente riconosciuto” il cartello di Juárez, La Familia Michoacana insieme ai Cavalieri Templari, il Cártel di Beltrán Leyva, quello di Tijuana (detto anche Cártel Arellano Félix).

In merito ai patti d'alleanza, come riportano il governo e l'agenzia Strategic Foreasting (Stratfor), attualmente ci sarebbe una sorta di bipolarismo, con i cartelli di Sinaloa, Golfo e Tijuana contrapposti ai Los Zetas, al cartello del Pacifico Sur, La Resistencia e il cartello di Juárez. Al di fuori di queste due forze agirebbero, da indipendenti, La Familia Michoacana, i Cavalieri Templari e il cartello di Jalisco Nueva Generación.

Note
[1] https://twitter.com/?list_id=secretarios-y-gabinete#!/FBlakeM;
[2] Aprueban federalizar delitos contra periodistas di Carina García, El Universal, 11 novembre 2011;
[3] Neither Rights Nor Security. Killings, Torture, and Disappearances in Mexico’s “War on Drugs”;
[4] http://senorbabylon.blogspot.com/2011/10/messico-insabbiare-il-narcotraffico.html