Edilizia e agricoltura, il boom dei caporali


Roma, 17 novembre 2011 – 550mila è il numero dei lavoratori che – in particolare nel settore agricolo e dell'edilizia – vivono situazioni di caporalato.
Nel settore agricolo, che “occupa” circa 400mila lavoratori, la pratica del lavoro nero incide per il 90 per cento al Sud Italia, per il 50 per cento al Centro e per il 30 per cento al Nord.

Nel settore agricolo “pulito”, secondo i dati Inps i lavoratori occupati sono circa un milione, di cui il 40 per cento è composto da donne ed il 10 per cento da lavoratori non comunitari. A livello contrattuale però, sono proprio questi ultimi a subire i maggiori danni, dato che oltre il 70 per cento di loro non raggiunge le cinquantuno giornate lavorative necessarie ai fini previdenziali.

Quasi due milioni invece sono gli occupati del settore agricolo, di cui poco più della metà – 1,2 milioni – soggetti a lavoro dipendente. È però questo il settore in cui maggiori sono i metodi di ricatti, che vanno da contratti part-time solo sulla carta, al sottoinquadramento al “caporalato a squillo”[1] fino al classico pagamento fuoribusta ed agli infortuni passati – nei casi meno gravi – come permessi.

«A causa della crisi dell'assistenza di investimenti, della frammentazione e del sistema di gare al massimo ribasso» - dicono dai sindacati - «le organizzazioni criminali hanno potuto investire indisturbate denaro da ripulire e proprie imprese. L'ultimo grande business è quello della gestione della manodopera».

Sanzioni per i datori di lavoro che utilizzano il caporalato, in primis l'esclusione dagli appalti pubblici per quanto riguarda il settore edile e tutele per i lavoratori che denunciano tali situazioni sono le due richieste presentate dalla Cgil al nuovo governo Monti, richieste che fanno seguito all'introduzione, lo scorso agosto, del reato di caporalato.

All'incontro organizzato dalla Cgil era presente anche Ivan Saignet, lo studente di Ingegneria a Torino che la scorsa estate ha guidato la rivolta dei braccianti stagionali nel salento. «Siamo arrivati alla legge contro il caporalato perché abbiamo scioperato, noi bloccheremo le loro distribuzioni, la battaglia si vincerà sul campo. Non solo l'opinione pubblica deve essere sensibilizzata, anche i lavoratori non sanno quali sono i loro diritti». «Sono andato la prima volta a Nardò a raccogliere angurie e pomodori per pagare le tasse universitarie» - continua - «Il primo giorno ho dovuto dormire per terra perché le tende erano già occupate dai miei compagni. C'erano ghanesi, tunisini, marocchini, burkinabè, maliani. Mi hanno spiegato come funziona l'ingaggio per lavorare e ho incontrato il caporale dopo due giorni, mi ha chiesto i documenti originali per andare a fare il contratto, l'ho trovato strano, perché a Torino quando lavoro bastano le fotocopie. Lo ha chiesto ad altre settanta persone e dopo dieci giorni è ritornato». Tempo necessario – come riporta l'agenzia Redattore Sociale[2] – per dare i documenti sequestrati agli irregolari che già lavorano nei campi, permettendogli così di passare indenni gli eventuali controlli.

«Se vogliamo tirarci fuori dal baratro non possiamo riproporre le ricette fallimentari degli ultimi tre anni» - dice Walter Schiavella, segretario generale Fillea Cgil - «Per l'edilizia questo ha voluto dire: zero investimenti e deregolazione selvaggia, riduzione del volume degli investimenti del 36 per cento e con l'accentuazione della frammentazione produttiva».

Note
[1] http://senorbabylon.blogspot.com/2011/10/mafie-del-nord-in-arrivo-il-caporal-sms.html;
[2] "I caporali sanno che il permesso di soggiorno è l’arma di ricatto”: la testimonianza, Redattore Sociale, 16/11/2011