Palermo, il porto e quelle navi-lager


Palermo, 26 settembre 2011 – Nuovo capitolo della lotta all'immigrazione clandestina combattuta dalla politica italiana. Dopo aver creato i Centri di permanenza temporanea (Cpt) con la legge Turco-Napolitano del 1998 trasformati in Centri di identificazione ed espulsione (Cie) con la Bossi-Fini, da qualche giorno sono stati creati anche i centri di raccolta galleggianti.

Per evitare nuove proteste da parte dei migranti rinchiusi a Lampedusa e della cittadinanza, il governo italiano ha pensato bene di smistare i detenuti coinvolti nell'incendio del Centro di identificazione ed espulsione dei giorni scorsi su tre traghetti bloccati nel porto di Palermo finché non sarà possibile rimpatriarli. Per questo il Viminale ha deciso di requisire il molo di Santa Lucia per due settimane, ed è lì che sono state fatte attraccare la Moby Fantasy, l'Audacia e la Moby Vincent. Queste ultime due si troverebbero ancora nell'area dei cantieri navali del porto, mentre la Moby Fantasy, partita poco prima della mezzanotte di sabato 24 settembre è giunta questa mattina al porto di Cagliari, dove si trova il centro di prima accoglienza Elmas, che quindi viene trasformato in un altro Centro di identificazione.

Sono 700 i tunisini sorvegliati a vista dagli agenti delle forze dell'ordine – tutti in assetto anti-sommossa – ai quali sono stati sequestrati i cellulari ed è impedito anche solo di mettere piede sul ponte. «Viste da fuori sembrano navi vuote», ha dichiarato Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione che segue gli immigrati. Ogni giorno in cento vengono presi e portati all'aeroporto per essere rimpatriati. «Ma i rimpatri di massa sono vietati dall'articolo 4 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo», ha spiegato l'avvocato.

Il Viminale non permette alle organizzazioni non governative o agli avvocati né di salire a bordo né di parlare con gli immigrati, che a quanto riporta il sito Terrelibere.org, sono stivati nei saloni delle navi, e potrebbero usufruire solo di due bagni ogni 50 persone, e le docce non funzionano.

«Rinchiudere i migranti tunisini in una nave che è un “non luogo” fuori da qualsiasi classificazione di legge e da ogni controllo giurisdizionale» - ha dichiarato Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell'Arci - «significa tenerli prigionieri senza che un giudice ne abbia confermato la detenzione».

Oltre ai cellulari sequestrati, alle persone detenute – non soltanto di nazionalità tunisina – non viene fornito alcuno strumento (lamette, forchette metalliche) che possa essere utilizzato per pratiche autolesionistiche.

Secondo le denunce delle associazioni che si battono per la chiusura di questi lager del terzo millennio, le navi configurerebbero la violazione dell'articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, l'articolo 13 della Costituzione italiana, gli articoli 2, 13 e 14 del Testo Unico sull'immigrazione ed il regolamento delle Frontiere Schengen, il quale impone che gli atti di respingimento siano individuali dando la possibilità di farsi assistere da un difensore.