"La primavera di Rosarno non può finire". Così sfratta il boss


Rosarno (Reggio Calabria), 20 settembre 2011 – Agli inizi di Gennaio 2010 la rivolta dei migranti portò agli onori della cronaca nazionale il problema del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori extracomunitari nell'agricoltura in odor di 'ndrangheta. A Dicembre l'elezione a sindaco di Elisabetta Tripodi (Partito Democratico) ha dato il via alla “primavera di Rosarno”.

Un cambiamento, quello rosarnese, che però sembra non essere gradito a Rocco Pesce, 54 anni, detto “Pirata” per una benda che gli copre l'occhio destro appartenente ad una delle più rilevanti “dinastie” mafiose, che fin da subito ha iniziato a delegittimare la nuova giunta, sostenendo non solo che questa fosse più sensibile ai problemi dei migranti che a quelli della cittadinanza, ma anche che la famiglia del sindaco avesse delle non meglio specificate frequentazioni con i consanguinei del “Pirata”. Lo ha fatto con una lettera, inviata dal carcere di Opera, nel milanese, dove il boss sta scontando un ergastolo con il regime del 41bis.
Quello che più dovrebbe inquietare della missiva – che sembra essere stata scritta a più mani – è che la carta sulla quale è stata dattiloscritta rechi l'intestazione del Comune reggino, ad uso solo dei funzionari del municipio.

Il controllo della 'ndrangheta ha portato il territorio di Rosarno – un territorio relativamente ricco grazie all'agricoltura – a diventare un centro in cui le cosche controllavano tutto, dalle pompe di benzina alla squadra calcio. L'operazione “All Clean”[1] ha portato alla luce, tra le tante, il modo in cui i Pesce controllavano la filiera delle arance, strutturata lungo tutto il percorso raccolta-vendita attraverso una serie di cooperative per la raccolta e la commercializzazione che arrivavano fino ad una catena di supermercati (uno dei “nuovi” business della criminalità organizzata) attraverso la quale vendere al dettaglio.

Ma a far infuriare il boss è stato un altro atto “anti-mafia”, un atto di normale amministrazione come quello di far eseguire uno sfratto, avvenuto lo scorso giugno. Mentre “Pirata” è in carcere, infatti, madre, fratello e sorella del boss continuavano a vivere in una villetta dichiarata abusiva – il terreno, oltre che non appartenere ai Pesce era anche soggetto a vincolo archeologico – già nel 2003, quando questa era entrata a far parte del patrimonio comunale. «Abbiamo semplicemente concluso una procedura che nessun altro aveva toccato negli anni. È solo un atto amministrativo dovuto», sono state le parole del sindaco.

Da quel momento, però, la sua vita cambia. Non può più guidare la sua macchina e deve avvisare la scorta che le è stata assegnata per ogni spostamento.
Nonostante gli impedimenti e le minacce, comunque, Elisabetta Tripodi va avanti, senza paura. Perché – per una volta – le istituzioni sono state pronte a schierarsi dalla parte della legalità e a non far finta di niente come succede troppo spesso negli ultimi tempi. Perché «La “primavera di Rosarno” non può morire, né possiamo permetterci di spegnere la speranza». E nel tempo in cui la criminalità organizzata azzanna con sempre maggior forza i gangli più importanti dell'architettura socio-economica italiana e dove la classe politica è sempre più separata dalla società, sperare nella “piccola rivoluzione” rosarnese diventa più che un atto di solidarietà.

Note
[1] http://www.mediterraneonline.it/2011/04/21/operazione-all-clean-scacco-matto-alla-cosca-pesce-di-rosarno-190-milioni-di-beni-sequestrati/