Il boss e il telefono del ministro Romano


Agigento, 26 settembre 2011 – Sarebbe stata trovata nel portafogli di Alberto Provenzano, elemento di spicco della famiglia mafiosa di Burgio (Agrigento) arrestato nell'agosto 2002 per estorsione la prova definitiva che inchioderebbe l'attuale Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Francesco Saverio Romano al suo ruolo di “contiguità al sistema mafioso” (per la precisione a quello di Villabate, nel palermitano).

La prova – pubblicata dal quotidiano “La Repubblica” ed immediatamente ripresa dalla rete – sarebbe un bigliettino di “Pronto pizza – servizio a domicilio”, sul retro del quale (come è possibile vedere nella foto) sarebbero stati annotati nome e numeri di telefono del ministro. Al tempo dell'arresto del boss l'attuale ministro si trovava già alla Camera dei deputati, dove è entrato l'anno prima andando a comporre la “corrente cuffariana” dell'Unione di Centro.

La domanda che ci si pone è come mai – se nulli sono i rapporti tra il ministro e uomini di Cosa Nostra – un capomafia (fino al 2002 insospettabile) teneva nel portafogli i numeri del cellulare e dello studio di quello che allora era solo un avvocato penalista e deputato? Giuliano Castiglia, giudice per le indagini preliminari lo scorso luglio ha riaperto l'inchiesta proprio su questa domanda, alla quale aggiunge altri sei elementi “idonei a sostenere l'accusa in giudizio” basati per lo più sulle dichiarazioni di quattro pentiti di prim'ordine come Antonino “Nino” Giuffrè, numero due della Cosa Nostra dei corleonesi, Angelo Siino, noto per essere stato il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina, Salvatore Lanzalaco, tra i massimi esperti nel campo degli appalti per i corleonesi e grande accusatore anche dell'attuale presidente del Senato Renato Schifani e Francesco Campanella, ex braccio destro di Nino Mandalà, boss di Villabate, cioè la famiglia a cui farebbe riferimento proprio il ministro Romano.
Nei giorni scorsi si sono poi aggiunte le dichiarazioni di un quinto pentito – Stefano Lo Verso, a capo della famiglia di Ficarizzi e confidente di Bernardo Provenzano – che nelle dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi riportava le parole del già citato Mandalà che gli assicurava di avere il ministro Romano nelle sue mani.

Può davvero un bigliettino con annotati i numeri di telefono del ministro essere la prova schiacciante? Stando agli inquirenti, Saverio Romano sarebbe stato per anni contiguo alle cosche, e tra i sei elementi che sosterrebbero l'accusa – che compongono i 35 faldoni che il 25 ottobre dovranno essere esaminati per l'eventuale richiesta di rinvio a giudizio – c'è anche la fotografia del matrimonio di Francesco Campanella, al quale parteciparono anche Totò Cuffaro e Clemente Mastella.
Ancor più interessante è quel che emerge in merito ad un pranzo che vede coinvolti tra gli altri il ministro, Totò Cuffaro e Francesco Campanella e che, stando alle dichiarazioni di quest'ultimo, sarebbe servito al ministro come forma di auto-candidatura per le istanze di Cosa Nostra a Bagheria, dando per scontato il voto di Campanella perché i due appartenevano alla stessa famiglia. «Dal momento in cui ho allontanato il signor Campanella dal mio partito, da oltre quattro anni, ho sempre temuto una sua reazione. Registro con sollievo che si tratta di quella meno dannosa, almeno fisicamente», ha commentato il ministro.

Alla magistratura, dunque, il compito di definire quale sia la vera natura dei rapporti tra il ministro Romano e Cosa Nostra. Nei prossimi mesi, forse, ne sapremo di più.