La passione della 'ndrina per il pallone



Ci hanno bucato il pallone. Di nuovo.
Deve essere una regola non scritta della Federcalcio o forse della Fifa (dato che, come vedremo, certe cose non riguardano solo casa nostra...): ciclicamente deve esserci uno scandalo legato al mondo del calcio. Casi come Calciopoli o come il tentativo del clan dei Casalesi di entrare nel mondo della serie A sfruttando l'immagine di Giorgio Chinaglia, sulle quali i media hanno raccontato anche i più piccoli dettagli. Così come è storia nota il provino al Milan di Gaetano D'Agostino, oggi alla Fiorentina al quale – dicono gli esperti – non certo necessitavano aiuti per sfondare.

C'è una vecchia canzone dei 99 Posse -”Guai a chi ci tocca” il titolo – che ad un certo punto chiede «chi è legale e chi illegale?». Una questione che, come vedremo, calza a pennello quando si parla di calcio.
Per rispondere, però, dobbiamo spostarci dai grandi palcoscenici, dagli stadi da centinaia di migliaia di posti alla provincia, quanto meno in quella calcistica.

«Se si verificasse l'ipotesi di infiltrazione nelle società di calcio non sarebbe di certo ai fini di lucro» - dice il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso intervistato per l'Espresso da Lirio Abbate - «Le motivazioni potrebbero essere legate al riciclaggio, anche se ci sono modi più convenienti per farlo. Ma è soprattutto la ricerca del consenso sociale che li spinge verso il calcio, perché fornisce potere, che durante le elezioni viene utilizzato per voto di scambio».

Calcio, elezioni, criminalità organizzata. Ci sono tutti gli ingredienti per un buon film di denuncia. O per una storia (vera) di mafia e affari più o meno leciti. Ma procediamo per gradi.

PotenzaLab
«Ha pensato di poter controllare la criminalità organizzata ma, al contrario, ne è diventato succube strumento»: una definizione perfetta – la dà Daniele Poto, giornalista sportivo autore di “Le mafie nel pallone” per le edizioni GruppoAbele – per Giuseppe Postiglione, titolare della Nipa, azienda di comunicazione, la cui famiglia ha fatto fortuna vendendo ripetitori televisivi. Nel 2006 rileva il Potenza dalle mani di Piervito Bardi, presidente della Camera Penale della Basilicata che ha più volte preso le difese di personaggi legati alla criminalità organizzata e che due anni prima viene arrestato per associazione a delinquere di tipo mafioso. Viene accusato, infatti, di favoreggiamento alla famiglia Quarantino-Martorano, reggenza nel capoluogo e collegamenti con la Calabria mantenuti grazie ai Pesce di Rosarno.

E con la presidenza Postiglione la dirigenza continuerà ad avere frequentazioni pericolose.
Al suo arrivo Postiglione fa quel che fanno tutti i presidenti delle squadre di calcio (e non solo): fa sognare i tifosi dichiarando di voler portare la squadra in serie B. Ma l'amore per la squadra sarà sempre inferiore all'amore per le connivenze illecite ed il calcio-scommesse che, insieme al riciclaggio di denaro derivante dai traffici di Antonio Cossidente, appartenente al gruppo dei “Basilischi” diretta emanazione delle 'ndrine calabresi saranno le fondamenta su cui si reggerà la sua presidenza: «da una parte il Postiglione metteva a disposizione le proprie risorse economiche e soprattutto la struttura societaria per il raggiungimento degli scopi economici illeciti; dall'altra il Cossidente offriva la propria assistenza criminale e, ancor di più, i servizi dei suoi violenti collaboratori per tutelare, garantire ed assicurare l'obiettivo prefissato».

Riciclaggio di proventi illeciti e scommesse, dicevamo. Per quanto riguarda queste ultime il punto più “alto” di una carriera da esperto “combinatore” arriva in Potenza-Salernitana, stagione 2007-2008: la vittoria della squadra campana – in lotta per la promozione – farà guadagnare a Postiglione circa 150.000 euro, probabilmente da spartire con Cossidente. In questo caso, più che la combine in sé, è interessante notare come viene programmata la vittoria della Salernitana: al tecnico Pasquale Arleo viene imposto di non convocare Luigi Cuomo (difensore), Ciro De Cesare (attaccante con un passato nel “Chievo dei miracoli”) e Andrea Cammarota (ala) perché – sosterrà il presidente – essendo campani c'era il forte rischio che potessero essere stati avvicinati da qualcuno per truccare la partita. Stessa sorte, però, non toccherà ad altri giocatori campani presenti in rosa. La combine, comunque, non viene accertata in sede disciplinare, relegando il tutto al reato di slealtà sportiva per non aver schierato la migliore delle formazioni possibili. 63.000 euro ai tre giocatori e prepararsi per la prossima partita.

Altro punto di contatto – un classico, peraltro, della criminalità organizzata – è il cemento, che a Potenza si declina nella “cittadella dello sport” e, soprattutto, nella costruzione del nuovo stadio. Qui nasce un nuovo sodalizio: quello con Luigi Scaglione, ex Udeur (oggi “Popolari Uniti”, partito nato dalla scissione proprio del partito di Mastella) con il quale si sarebbe dovuto creare uno stadio da 100 milioni di euro senza cacciare il becco di un quattrino. Bastano i fondi europei, d'altronde. La località su cui dovrà sorgere il nuovo impianto – un'area di 25.000 metri quadrati completamente edificabile a Lavagnone – vedrà la parallela nascita di un centro commerciale nei pressi dello stadio, tanto perché le vecchie abitudini (speculative) sono dure a morire. A Scaglione il compito di trovare altre connivenze politico-elettorali. Ma qualcosa, evidentemente, va storto. Scaglione infatti non svolge al meglio il compito che gli è stato assegnato e per questo viene messo da parte, anche dall'inchiesta giudiziaria sul caso, che infatti lo vedrà uscire completamente pulito. Sosterranno i maligni che l'operazione sia scattata prematuramente per evitare che nella rete potessero rimanere incastrati altri politici localii, altri pesci più grossi potenzialmente conniventi.
Al di là delle supposizioni e delle malignità, comunque, quel che è certo è che il clan Cossidente non sta certo a guardare. Mentre da un lato si lavora sotto la copertura della squadra di calcio, dall'altro è forte la manovra con cui il clan impone il proprio controllo sul territorio attraverso i video-poker, fornitura camorristica garantita.

Dalla Campania, oltre ai video-poker, arriva anche la fine dell'epopea di Postiglione. La sconfitta con il Real Marcianise ultimo in classifica giunge ancor prima che le squadre scendano in campo: «Domenica a Marcianise perdi. Perdi e basta. Gli amici devono guadagnare un po' di soldi, altrimenti li rimetti tu (…) sappiamo dove abiti, come ti muovi e cosa fai costantemente. Se ti permetti di andare dagli sbirri sei un uomo morto!» è il testo di una lettera anonima che arriva al presidente nelle ore immediatamente precedenti al match. Postiglione inizia a descriversi come una duplice vittima – della 'ndrangheta e della camorra – sostenendo di essersi ritrovato invischiato in un gioco molto più grande di lui. Si credeva puparo, si scopre pupo.

Pizzo&Poker
Secondo Sos Impresa il mercato delle scommesse – solo per quanto riguarda la sua parte illegale – vale circa 2 miliardi e mezzo all'anno. Video-poker illegali, otto clandestino e raccolta abusiva delle scommesse le voci di guadagno principali. Il circuito delle scommesse legali è visto poi come uno dei modi migliori con cui lavare il denaro sporco, magari quello derivante dai video-poker. Basti considerare il giro d'affari di cui questo mercato è composto (nella sola Campania si arriva a 54,2 milioni di euro giocati) per capire quanto ghiotta sia l'opportunità per la criminalità organizzata. Gli uomini della cosca di Villabate, ad esempio, erano diventati esperti nell'acquisizione di licenze per punti Snai nei quali non tutte le giocate erano lecite.
Dalla scommessa truccata alla partita combinata il passo è breve.

Il tariffario
Oltre alle partite esiste un altro modo – molto più ingegnoso e molto più difficile da contestare – per utilizzare una squadra di calcio come “lavanderia”. Avete mai pensato a come funziona il calciomercato? Non esiste un “listino prezzi” al quale fare riferimento, e dunque definire il prezzo di un calciatore – o di un allenatore – è un'operazione a quasi completa discrezionalità delle parti: squadra che compra, squadra che vende e calciatore per quanto riguarda l'ingaggio. L'operazione sarà molto più semplice laddove minore sarà la possibilità di controllare quanto legale essa sia, ed è forse in quest'ottica che le società preferiscono ingaggiare giocatori stranieri dalle non sempre eccelse qualità (basti guardare ai tanti “bidoni” che ogni anno arrivano nelle serie maggiori) piuttosto che cercare giovani calciatori nostrani o – addirittura - “crescersi in casa” qualche piccolo campione. Naturalmente laddove le scuole-calcio e le squadre giovanili non siano nelle mani del boss di turno.
«I giovani sono un investimento attorno al quale ci sono molti interessi» - continua Piero Grasso nell'intervista concessa a L'Espresso - «Anche nello scegliere gli undici titolari o nel formare il settore giovanile di una squadra in certe realtà del Sud si crea consenso e potere. E poi ci sono anche soddisfazioni collaterali: uno del clan Pesce di Rosarno è stato tesserato con la squadra del Cittanova. E chi aveva il coraggio di mandarlo in panchina? Anzi, era diventato il capitano e il proprietario. La società alcuni mesi fa è stata sequestrata per 'ndrangheta».
Il ragionamento che c'è dietro è di una semplicità quasi elementare: se un giovane viene aiutato a sfondare da un clan sarà “riconoscente” (in maniera più o meno volontaria) e dunque non potrà tirarsi indietro quando il clan che gli ha dato questa possibilità andrà a chiedergli di sdebitarsi; che è poi la logica del voto di scambio in politica. Se poi il ragazzo diventa anche un giocatore famoso lo si può sempre inserire – come cliente e non solo – in traffici illegali quali quello della droga e della prostituzione. Così come logica identica c'è dietro le foto con i calciatori famosi, Maradona e Balotelli insegnano.

«Il motivo è il consenso» - sostiene Sergio Lari, Procuratore a Caltanissetta al quale si deve la riapertura dei faldoni sui “fatti del 1992”. Lo scrive ancor più nitidamente l'ex pm Raffaele Cantone ne “I Gattopardi” (scritto in collaborazione con il giornalista Gianluca Di Feo): «Il calcio è un pezzo della società. Quello che per molti è divertimento, per altri è un arricchimento personale e sociale. Le mafie si sono accorte delle potenzialità del calcio. E le sfruttano». Così come vengono sfruttati gli spazi fisici degli stadi, che sempre più – come denuncia Francesco Forgione, giornalista nonché ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia – diventano terra di dominio per i clan tramite il tentativo di avvicinare gli esponenti più facinorosi delle tifoserie sia, soprattutto, trasformando le curve nei principali mercati domenicali per lo spaccio della droga. Basti considerare – dando per vere le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Misso jr – che per quanto riguarda la curva A del “San Paolo” di Napoli ci sarebbe stata una vera e propria pax camorristica che impose ad uno dei gruppi storici del tifo napoletano, la “Masseria Cardone” di spostarsi nel settore dei distinti (e poi in curva B) a seguito di problemi tra il clan dei Misso e quello dei Licciardi di cui la “Masseria” è diretta espressione. È chiaro, in tal senso, come l'enfasi registrata qualche mese fa dalla classe politica per l'introduzione della “tessera del tifoso” fosse in realtà ad uso e consumo della stampa. L'idea di modificare realmente la situazione non venne neanche presa in considerazione. D'altronde lo abbiamo detto: la criminalità organizzata diventa sempre più “grande elettrice” dei partiti, basti leggere quanto scrive l'ottimo Gianluigi Nuzzi in “Metastasi”. Ma questa è un'altra storia...

Combine mondiale?
Non bisogna, però, considerare solo questo tipo di mafia. Perchè laddove circolano quantità enormi di denaro, gli avvoltoi possono provenire anche da altre parti, non solo dalla criminalità organizzata propriamente detta. È quello che sostiene Lord David Triesman, ex presidente della federazione calcistica inglese (la Football Association) che in una conversazione con una sua collaboratrice riportata dal “Mail on Sunday” alla vigilia della scorsa edizione dei mondiali accusava la Spagna di voler comprare gli arbitri attraverso l'aiuto della Russia. È interessante notare, oltre al fatto che lo stesso Triesman è stato anche nel comitato che ha promosso la candidatura dell'Inghilterra per l'organizzazione dei mondiali di calcio del 2018, che la Spagna andò – oome tutti sanno - a vincere brillantemente quei mondiali, così come la Russia si è accaparrata l'organizzazione del campionato del mondo di calcio. Che tali accuse vengano mosse solo come “ripicca”, francamente, è poco credibile. Così come poco credibile è il fatto che, qualora si indagasse sulla questione, si possa arrivare ad una soluzione che si avvicini il più possibile alla realtà, smontando quell'idea romantica di chi definisce ancora il calcio come uno “sport” e non per quel che è: un business nel quale nessuno vuole rischiare di perdere più di tanto.

Quel che è certo è che di personaggi alla Moggi o alla Postiglione il calcio è pieno, lo è sempre stato e, probabilmente, sempre lo sarà. Perché il problema non è il Moggi di turno. Il problema – riprendendo il noto anarchico Gaetano Bresci, uccisore di re Umberto I non in quanto re ma nell'idea che egli rappresentava - è che ancora nessuno ha deciso di uccidere l'idea che i personaggi come Moggi, Postiglione e tanti rappresentano. Anche questa, però, è un'altra storia...