Cani d'onore

«All'inizio procuravo randagi ai circhi: servivano per nutrire le tigri. Poi ho cominciato a rubare dobermann: li prendevo a Palermo e li portavo a Catania. Questi cani servono ai contadini delle masserie per ammazzare in modo rapido i maiali: un morso al collo e via. Sa, questa è un'antica tradizione delle campagne siciliane. [...]chiudo il cane in una stanza buia. Lo lascio per tre giorni senza cibo. Poi lo alimento solo con carne cruda. Lo tengo costantemente bendato. Dopo due settimane, lo tolgo di prigionia e lo porto con me, al guinzaglio, al parco Bellini. Libero il cane davanti alle papere che popolano il laghetto: se il cane ne azzanna una e l'uccide, è pronto per il combattimento. Allora incomincio a nutrirlo di galline vive. Solo a questo punto passo alla seconda fase dell'addestramento e abituo l'animale alla lotta sul ring. Di nuovo non gli do cibo e lo lascio legato quasi completamente al buio dentro una stanza. Sulla sua testa metto una lampada fortissima, da sala da biliardo. Poi gli tiro addosso un gatto vivo, fissato per una zampa con una corda al soffitto. Una volta sul ring, il cane troverà la stessa lampada alogena, intorno il buio e davanti un cane ringhioso. E secondo il noto riflesso di Pavlov, la sua aggressività scatterà automaticamente».

A parlare così, nel 1993, è un addestratore di cani da combattimento intervistato dal settimanale “L'Europeo”. Per qualcuno – gli animalisti – è la descrizione di un incubo. Per altri di un business. E pure proficuo.
Tre miliardi è il guadagno che ogni anno arriva alla criminalità organizzata (e non solo) dalla zoomafia, cioè lo «sfruttamento degli animali per ragioni economiche, di controllo sociale, di dominio territoriale, da parte di persone singole o associate o appartenenti a cosche mafiose o clan camorristici» per citare la definizione che circa un decennio fa ne ha dato la LAV (Lega Anti-Vivisezione).
Un terzo degli introiti deriva dall'ippica, in particolare dalle corse clandestine di cavalli di cui alle volte possiamo leggere sui giornali o vedere al tg. Sono poi affari come il traffico internazionale di cuccioli (gatti e cani per lo più) o della fauna selvatica a costituire alcune importanti fonti di guadagno.
Tra queste ruolo importante, seppur con uno tra i fatturati più bassi (“solo” trecento milioni l'anno) c'è il fenomeno dei combattimenti tra animali.

Come evidenzia il Rapporto Zoomafia 2010 della LAV il giro d'affari è così costituito da:
Truffe nell'ippica e corse clandestine di cavalli1miliardo
Business canili e traffico cuccioli500 milioni
Traffico fauna selvatica o esotica, bracconaggio            500 milioni
“Cupola del bestiame”400 milioni
“Malandrinaggio” di mare300 milioni
Combattimenti fra animali 300 milioni

A queste sono poi da aggiungere alcune attività “secondarie”, quali il mercato delle videocassette dei combattimenti e – in particolare – quello delle scommesse, sia illegali (6.500 milioni annui) che legali (2.200 milioni all'anno, dati Eurispes).

Dopo i cavalli, gli animali maggiormente “trattati” dalla criminalità organizzata sono i cani. Traffico internazionale e combattimenti le attività che li interessano.

Per quanto riguarda il traffico internazionale la tratta principale è quella con l'Ungheria, la Croazia e la Slovenia, dove i trafficanti acquistano i cuccioli per pochi euro (in media 60 euro a cucciolo) e privi di pedigree per poi rivenderli ad un prezzo che oscilla tra i 500 ed i 1500 euro come “italiani” grazie ad una rete di venditori e – in alcuni casi – veterinari conniventi quando non direttamente venduti in nero. Se invece si cerca qualcosa di diverso, il figlio di un campione ad esempio, i luoghi ideali sono Stati Uniti e Brasile.
Come spesso accade – per la zoomafia e non solo – ben diverso sarebbe il discorso se la criminalità organizzata non potesse contare su un humus culturale mafioso composto da veterinari o medici conniventi, da prestanome o semplicemente da chi rende possibili determinate pratiche criminali. Cosa sarebbe, ad esempio, il business dei combattimenti tra cani senza gli spettatori?
*ATTENZIONE, CONTIENE IMMAGINI FORTI*

Il 30 agosto 2007 Mandy McAuley della BBC si è occupata – per il programma “Panorama”- del fenomeno nell'ambito britannico.
In Italia il boom si è registrato sul finire degli anni Ottanta, per poi ritornare in piena attività a partire dal 1998 dopo un periodo di stanca. A partire da quella data – e fino al 2008, come riportato dal Rapporto Zoomafie 2009 – sono state 431 le persone denunciate e 1.041 i cani sequestrati tra Napoli, Palermo, Caserta, Bari, Foggia e Ragusa.
Del 1992 la scoperta del fenomeno da parte dei media. Una delle notizie più fresche è dello scorso 5 maggio, quando i carabinieri hanno sequestrato nove dogo argentini a Spinea (Venezia), a riprova del fatto che, seppur nato nell'ambito della criminalità organizzata meridionale, quello dei combattimenti tra cani è oggi un affare che riguarda indistintamente tutto il territorio nazionale.

Sono circa quindicimila secondo l'Ente Nazionale Protezione Animali (Enpa), i cani che ogni anno entrano a far parte dei “combattenti”. Di questi ben un terzo non esce vivo dal combattimento, gli altri spesso muoiono nel giro di poco tempo per le ferite riportate. Le razze più utilizzate sono Pittbull, Bulldog, Boxer, Rottweiler, Bull Terrier, San Bernardo, Dogo Argentino, Mastino dei Pirenei e American Bulldog (razza dalla quale il fenomeno dei combattimenti è partito), prelevati o da allevamenti spesso clandestini oppure comprati appena nati dai trafficanti di animali. A tutti vengono amputate le orecchie e la coda, al fine di dare meno punti di presa all'avversario durante il combattimento.
Qui bisogna fare una precisazione, in realtà una ovvietà che spesso viene dimenticata quando notizie sui combattimenti o notizie sul fenomeno dei “cani-killer” arriva nel circuito mainstream: non esistono razze “cattive” e razze “buone” (così come non esiste tale dicotomia in ambito etnico, ma questa è un'altra storia...), basti considerare che il tanto famigerato Pittbull viene usato come cane antidroga e nella pet-therapy. Tutto dipende dal tipo di addestramento al quale il singolo animale è sottoposto.

L'addestramento
In parte lo abbiamo già visto all'inizio, ma come viene creato un “cane da combattimento”?
Innanzitutto viene fatta una vera e propria “selezione naturale”: solo i cani dalla grande potenza mascellare possono infatti entrare nel ring.
Vengono addestrati alternando periodi in cui non gli viene dato da mangiare a periodi in cui mangiano quasi esclusivamente carne cruda; vengono bendati e spesso vivono in gabbie sotto una luce costante, al fine di ricreare le condizioni in cui viene costruito il perimetro di combattimento. Per rafforzarne la mandibola – cioè l'unica arma di offesa contemplata durante l'incontro – vengono appesi nel vuoto, attaccati ad un pneumatico e ripetutamente percossi. Vengono “indottrinati all'odio”, in pratica. Anabolizzanti, anfetamine, cocaina (per la sua azione anestetica) ed analgesici della classe degli oppiacei le droghe più utilizzate. È poi fondamentale durante l'addestramento, una dieta a base di ormoni (come la corticotropina, utilizzata per diminuire i livelli di stress) nonché un forte utilizzo di vitamine e proteine.
Durante questa fase, vengono spesso aizzati contro altri cani al fine di controllarne il livello di aggressività e, dunque, quanto lavoro ci sia ancora da fare prima di arrivare all'incontro.

Una volta trasformati in “macchine da combattimento” sono pronti per essere inseriti nel circuito degli incontri. A questo punto l'animale, solitamente rubato o comprato per pochi euro, vale intorno ai 200.000 euro e rende tra i 25.000 ed i 150.000 euro ad incontro. Tra i due e i cinque i combattimenti che riescono a fare in un mese, tutto dipende – ovviamente – da come escono dall'incontro precedente e dalla volontà degli organizzatori, che a loro volta fanno parte di tre categorie ben distinte, da un livello minimo dove gli addestratori non fanno parte di alcuna organizzazione, fino ad un livello più strutturato gestito dalla criminalità organizzata, dove a farla da padrone è la camorra.
Da questo dipendono anche tipo e luogo di svolgimento dell'incontro: quelli “amatoriali” si svolgono spesso in strada, con pochi spettatori e con un forte uso di minorenni, ai quali viene affidato il compito di custodire gli animali e di fare da “vedetta” durante gli incontri. Per quanto riguarda invece il livello “professionistico” - quello in mano alla criminalità organizzata – dove di solito a combattere sono solo i “grandi campioni”, gli incontri possono durare anche delle ore ed i luoghi prescelti sono zone lontane dalle città: cave, discariche abusive o terreni abbandonati. Gli spettatori in questo caso sono molti di più e arrivano agli incontri – solitamente se ne fanno più d'uno nella stessa giornata – solo su invito. Ogni match termina solo quando uno dei due contendenti non è più capace di “reggere” da un punto di vista fisico o mentale (quando, cioè, renda palese la sua volontà di non proseguire l'incontro). Qualunque sia la fine, comunque, solitamente l'animale che perde viene ucciso con un colpo di pistola dal suo stesso proprietario. Per il “vincitore”, comunque, la vita continua tra ferite ed anabolizzanti fino all'incontro successivo. Problemi renali, circolatori o di deambulazione sono i segnali più frequenti della “carriera” dei cani.

Naturalmente diverso livello di combattimento equivale a diverso giro d'affari.
In ogni caso la puntata minima è di 250 euro, quella massima dipende quasi esclusivamente da quanto piene sono le tasche degli scommettitori. Secondo la LAV solo per quello che riguarda le scommesse il giro di affari annuo si aggira intorno ai 700-800 milioni di euro.

Soldi, sangue, successo. Sono questi i tre aspetti principali che spingono un individuo ad entrare in questo mondo. C'è chi utilizza il circuito dei combattimenti come primo gradino per la scalata ai vertici della criminalità (o per tentare di affiliarsi a qualche famiglia); chi – come abbiamo già visto – ci si avvicina perché se scommetti sul cane giusto vinci parecchio e chi, invece, ci si avvicina per il semplice gusto di assistere allo spettacolo, allo stesso modo in cui si può assistere ad esempio alle corride.

L'onore riflesso
Soldi (molti), sangue (altrettanto) e successo, dicevamo.
Il tipo di successo che si può avere dal possedere un cane da combattimento – in particolare se questo ha un “curriculum” di tutto rispetto – è in realtà un successo simbolico. È un po' come in una delle scene iniziali de “La carica dei 101”: l'animale deve simboleggiare la personalità del padrone. È dunque ovvio che un uomo, uno che magari deve darsi un “certo tono” verso il boss di turno quando non direttamente l'”uomo d'onore” debba essere rappresentato da un animale che simboleggi il dominio, l'autorità, il potere e – ovviamente – la violenza. Identikit perfetto di un cane da combattimento, ancor più se vincente.
È pur vero comunque, che proprio questo aspetto può essere letto all'inverso, laddove non è l'animale a simboleggiare la personalità del padrone quanto il fatto che un animale “dall'aria pericolosa” costituisca anche uno strumento al quale richiedere protezione (reale e/o simbolica non fa poi una gran differenza), e dunque maggiore sarà la grandezza dell'animale, maggiore ne sarà la “fama da duro e pericoloso” maggiore sarà la luce riflessa che irradierà sul proprietario.

Tutto questo, così come la maggior parte dei reati della zoomafia, è possibile per due motivi principali: lo scarso allarme sociale che tali fenomeni portano con sé e – per una conseguenza quasi naturale – lo scarso interesse da parte delle forze dell'ordine. Ma soprattutto di chi dovrebbe combattere la mafia a livello legislativo. È solo nel 2004, infatti, che si è iniziato a considerare l'ipotesi di trasformare quello del combattimento dei cani in un vero e proprio reato: «Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l'integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro» è quanto recita il primo comma dell'articolo 544-quinquies della legge 189/04.

Ben altra cosa è, naturalmente, la sostanza.
Così come ben altra cosa è la lotta alla criminalità organizzata scevra dalla spettacolarità degli arresti del mafioso di turno.
Ben altra cosa, ancora, è combattere la criminalità organizzata e chiedere allo Stato di fare la stessa cosa, laddove quello stesso Stato con un emendamento alla Finanziaria del 2009 aveva accarezzato l'idea di mettere in vendita quei beni confiscati che non fossero stati destinati uso sociale nell'arco di tre o sei mesi, cioè restituire i beni confiscati alla mafia stessa.
Ben altra cosa, infine, è credere che la criminalità organizzata si sconfigga attraverso lo Stato. Ma questa è un'altra storia...

La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.

[Paolo Borsellino]