Messico-Italia. Sulla rotta dei narcos tra canzoni e cocaina


Nonostante la completa dimenticanza dei media italiani, in Messico si sta combattendo una feroce guerra tra i cartelli della droga. Cartelli come quello di Sinaloa, quello del Golfo o i "Las Zetas" hanno soppiantato i colombiani e stanno sempre più diventando una potenza multinazionale (più volte inchieste - giornalistiche e giudiziarie - hanno evidenziato i rapporti che intrattengono con la 'ndrangheta). Chi sono, dove operano e quali sono i legami internazionali che stanno instaurando?
«Abbiamo ucciso molte famiglie, le uccidiamo e le bruciamo». A “confessare” sono quattro esponenti del Cártel de Los Zetas, uno dei più importanti cartelli del narcotraffico messicano. Gli uomini armati che li tengono sotto controllo appartengono invece al Cártel del Golfo, il principale rivale dei Los Zetas (anche se secondo il video riproposto da Repubblica le parti dovrebbero essere invertite). Che siano uomini dei Los Zetas, del cartello del Golfo o dei Sinaloa (nomi sui quali ci soffermeremo più avanti), non è difficile trovare nei media – soprattutto nei blog e nei forum in rete – video come questo. Perché nonostante l'Europa non abbia alcuna copertura da quelle parti, in Messico si sta combattendo ormai da tempo una vera e propria “narco-guerra”, che in quest'ultimo periodo si è arricchita di un'altra triste pagina: le fosse comuni, le narcofosas. 279 corpi, come riportava l'agenzia Misna questa mattina, sono stati rinvenuti nei giorni scorsi tra gli stati di Tamaulipas e Durango, rispettivamente nella zona no-orientale e centro-settentrionale del paese.

Ma il Messico, come insegnano le basi del giornalismo, è un territorio lontano verso il quale – a queste latitudini – si nutre poco interesse.
È per questo, allora, che questa storia parte da Milano, precisamente da un convento. Qui, tra una preghiera ed una penitenza, all'insaputa delle suore si era istituito un vero e proprio centro di smistamento della cocaina, nascosta dentro i breviari o i bagagli di finti pellegrini. L'operazione delle forze dell'ordine – denominata “Annibale” - ha portato all'arresto di trentatré persone (su ottanta indagati in tutto) ed il sequestro di trenta chilogrammi di polvere bianca tra varie località della regione lombarda, Parma, Piacenza e La Spezia. Il fulcro del traffico di droga – stoccata in Ghana, nella sede di una società di import-export fasulla che aveva peraltro fatto richiesta alla Fao per il finanziamento di un progetto di sviluppo del mercato ittico africano – era il portiere del convento, sudamericano, tramite il quale la droga arrivava alle 'ndrine calabresi trapiantate a Milano (tra gli arrestati figurano anche Giuseppe e Domenico Vottari, dell'omonimo clan – i Pelle-Vottari - rivale dei Nirta-Strangio nella faida di San Luca) per poi inondare il mercato italiano ed europeo.
Sudamerica-Africa-Europa. È questa la strada che la droga compie per arrivare nei locali delle principali città europee.
Schema illustrativo del "Ssitema Narco"

Ma questa, come vedremo, non è solo una storia di droga.
È anche una storia di aerei. Aerei DC-9 per la precisione, come quello che il 10 aprile del 2006 atterra a Ciudad del Carmen, sul Golfo del Messico, nel quale i militari messicani trovano 128 casse contenenti 5,7 tonnellate di cocaina (per un valore di mercato stimato in circa 100 milioni di dollari). L'aereo in questione – N900SA – come ha spiegato qualche anno fa il giornalista Daniel Hopsicker, è stato acquistato dai cartelli del narcotraffico tramite fondi che transitavano attraverso la Wachovia Bank, oggi facente parte del colosso Wells Fargo. Sui conti della Wachovia, come è possibile leggere in un'inchiesta di Ed Vulliamy per The Observer riproposta dal settimanale “Internazionale” dal titolo “La banca dei narcos”, sono stati trovati qualcosa come 378,4 miliardi di dollari – somma che equivale a più o meno un terzo del PIL messicano – provenienti dalle casas de cambio (le agenzie di cambio messicane). Agenzie utilizzate per trasferire il denaro con cui la droga viene pagata. E questo ci riporta di nuovo alla 'ndrangheta. Quello del pagamento tramite money transfer, infatti, è un procedimento al quale gli inquirenti sono arrivati nell'ambito dell'operazione “Solare” del settembre 2008, che ha portato all'arresto di circa 200 persone tra Stati Uniti, Italia, Messico e Guatemala.
Tutto transitava da New York, dove la famiglia calabrese degli Schirripa – riconducibile alla cosca Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica – faceva da intermediaria tra le 'ndrine e i cartelli messicani: il Cartello del Golfo prima, i Los Zetas poi. Il sodalizio si sarebbe reso evidente – come sostenuto da Antonio Mazzella, rappresentane Unodc (l'Ufficio delle Nazioni Unite per la lotta al crimine e alle droghe) in un'intervista al quotidiano The Australian di cui riferiva l'agenzia Ansa lo scorso 31 gennaio – con il tentativo di entrambe le mafie di mettere le mani sul fiorente mercato della droga australiano. Anche questi sono i risvolti della globalizzazione...

Quello tra la Calabria ed il continente americano, comunque, è un rapporto che va ben oltre il traffico di droga.Il continente infatti è anche luogo di riparo per personalità come Aldo Miccichè, uomo dalle mille anime (tra le quali spiccano quella di finto deputato) che sarebbe considerato addirittura il “Ministro degli affari esteri” delle 'ndrine della Piana di Gioia Tauro, in particolare dei Piromalli, riparato in Venezuela (dal quale gestirebbe i più disparati traffici: dall'esportazione di agrumi alla vendita di vaccini...).

La cocaina partita dal Centro e dal Sud America arriva in Italia facendo scalo in piccoli porti di stati africani ad alto tasso di corruzione e caos (il clima attualmente riscontrabile nelle “rivolte arabe”...) e da qui entrerebbe nel grande mercato europeo attraverso i porti spagnoli e olandesi. Da lì viene poi gestita dalle 'ndrine calabresi, ormai da anni leader nel mercato degli stupefacenti.
la giornalista
Anabel Hernandez
«Nonostante i paesi produttori rimangano tradizionalmente Colombia e Bolivia » - dice Cynthia Rodriguez, giornalista messicana da quattro anni nel nostro paese ed autrice di “Contacto en Italia: El pacto entre los Zetas y la 'Ndrangheta”, in via di traduzione in italiano -
«a partire dal 2006 il Messico ha assunto una funzione chiave nella distribuzione della cocaina a livello mondiale. Fino a cinque anni fa, i narcos messicani avevano rapporti con sedici paesi. Oggi sono almeno cinquanta».
L'Italia entra nella clientela dei cartelli a partire dal 2008, proprio grazie al lavoro di intermediazione che dagli States fanno gli Schirripa.
Fino a quel momento i calabresi si erano serviti di “broker” - non direttamente collegabili alle 'ndrine – che smerciavano la droga proveniente dai cartelli colombiani di Medellín e Calí.
Già, ma che fine hanno fatto i colombiani?
Uscito di scena “El Doctor” Pablo Escobar (signore indiscusso del Cartel de Medellín) e decapitato i concorrenti del Calí, il controllo della droga è oggi in mano a gruppi paramilitari come le Farc o l'Autodefensas Unidas de Colombia di Salvatore Mancuso (con il quale la 'ndrangheta intratterrebbe ancora rapporti nel commercio della cocaina) anche se i colombiani hanno dovuto lasciare il passo ai cartelli messicani, che negli anni Ottanta “studiavano” presso i colombiani facendogli da corrieri.
I messicani, peraltro, controllano anche il mercato delle metanfetamine, uno dei business più produttivi con gli Stati Uniti. Ma quali sono, attualmente, i cartelli messicani che stanno mettendo a ferro e fuoco il Messico?


Dai cartelli...alla Federazione
Definire con precisione i cartelli e le loro alleanze è praticamente impossibile dato il continuo mutamento degli equilibri e la nascita di gruppi dalla diversa grandezza che cercano il proprio posto al sole. I principali cartelli, comunque, sono i già citati Cártel del Golfo, i Los Zetas, il cartello di Sinaloa, La Familia, i Los Negros, il cartello dei Beltran Leyva, il Cártel de Juaréz ed il Cártel de Tijuana. Attualmente il “gioco” delle alleanze vede il Cártel de Tijuana alleato con quello del Golfo, i Beltran Leyva alleati con i Los Zetas ed un cartello – chiamato “La Federazione” - capeggiato dai Sinaloa.
Ma entriamo nel dettaglio:

Cártel de Sinaloa
Culiacán, capitale del comune omonimo. Qui agisce il Cártel de Sinaloa - conosciuto anche come cartello del Pacifico o Guzmán-Loera – considerato il più potente cartello del paese.
Leader indiscusso è Joaquín Guzmán-Loera detto “el Chapo”, arrestato in Chapas nel giugno 1993 per omicidio e traffico di droga ed evaso dopo aver corrotto alcune guardie carcerarie, nel 2009 è stato inserito dalla rivista Forbes al quarantunesimo posto nella classifica degli uomini più potenti del mondo.
Entrato in attività nel 1990, attualmente il cartello ha influenza su 17 Stati messicani (su 31 totali) ed almeno 80 città degli Stati Uniti. Gestisce il traffico della droga colombiana, della marijuana messicana e dell'eroina proveniente da Messico e sud est asiatico.
Si trovano alleati del cartello in Spagna, Germania, Francia, Svizzera e Italia, mentre sul piano delle alleanze interne si è alleato con il Cartello del Golfo e con quello di Tijuana dando vita alla “Federazione”.

Cártel de Beltrán Leyva
Nel 2008 il Cártel de Sinaloa dichiara guerra ai fratelli Beltrán Leyva (Alfredo, Hector, Arturo Marcos, Mario Alberto e Carlos), fino a quel momento comandanti del braccio armato della famiglia Guzmán-Loera, consegnando all'esercito Alfredo Beltrán Leyva detto “el Mochomo”. Da quel momento i Beltrán Leyva si alleano con i Los Zetas dando il via ad una vera e propria narco-guerra che, stando al Dipartimento di medicina forense di Culiacán (che dipende dalla Procuradoría General de Justicia del Estato) ha visto aumentare il numero di assassinii annuali da seicento a più di mille nel solo Municipio di Culiacán.
Nel dicembre 2009, a seguito della morte di Arturo Beltrán Leyva ucciso in una sparatoria con le forze armate, avviene all'interno del cartello una scissione tra il gruppo originario e riconducibile ai cinque fratelli ed il gruppo conosciuto come i “Los Negros” - anche questo inizialmente facente parte dell'”esercito” del Cártel de Sinaloa – giudato dal trafficante messicano-americano Edgar Valdez Villareal e da Gerardo Alvarez-Vazquez (il leader del gruppo Beltrán è invece Hector). Questi ultimi si avvalgono anche di gruppi criminali esterni, come “La eMe” o MS-13, utilizzati come “manovalanza”.

Tamaulipas è il quartier generale del cartello e ricopre un ruolo di primo piano nel transito della cocaina verso gli Stati Uniti (circa il 40% delle esportazioni annue – più o meno 9.000 autocarri- passano da questa zona). Proprio per questo motivo la città di Nuevo Laredo è stata scenario di guerra tra il cartello di Sinaloa – tramite i Los Negros – e quello del Golfo (tramite i Los Zetas).

Cártel del Golfo
Fondato nel 1940 da Juan Nepomuceno Guerra, fino al 2007 – anno della sua estradizione negli Stati Uniti - è stato guidato da Osiel Cárdenas Guillén. Il quartier generale del cartello è a Matamoros, nella zona nord dello Stato di Tamaulipas, anche se la sua sfera di influenza si estende su 13 stati.
Il traffico di droga è il principale settore in cui opera il cartello (cocaina, marijuana, metanfetamine ed eroina i “prodotti di punta”), data anche la vicinanza geografica con gli Stati Uniti – principale paese di esportazione dei cartelli – ma è anche riconosciuto come una tra le principali organizzazioni nel settore del traffico di armi e nel campo della corruzione.
È probabilmente l'organizzazione che – a livello strutturale – più si avvicina alla 'ndrangheta (forse anche per questo uno dei principali partner internazionali del cartello), struttura applicata a partire dal 2007. L'estradizione di  Cárdenas Guillén, infatti, ha sancito la trasformazione da organizzazione verticistica con a capo un solo uomo (Cáenas Guillén, appunto) ad una struttura molto più orizzontale, dove ognuna delle piazze (le “plaza”, capeggiata da un gatekeeper, un “portinaio”) ha il controllo e la responsabilità su una precisa area territoriale, motivo per il quale le operazioni quotidiane del cartello non differiscono molto da quelle di una comune organizzazione mafiosa: estorsioni, rapimenti e sequestri di persona a fini estortivi.
Oggi il reggente è Jorge Eduardo Costilla Sánchez detto “el Coss”, ex funzionario di polizia dal 1995 luogotenente di Cárdenas Guillén, che fino allo scorso anno comandava insieme al fratello di Cárdenas Guillén, Antonio Ezequiel – conosciuto come “Tony Tormenta”- ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia il 5 novembre del 2010.

Fino a qualche anno fa, fino cioè alla scissione definitiva nel marzo dello scorso anno, il cartello era coadiuvato da un vero e proprio braccio armato costituito da ex membri delle forze speciali dell'esercito messicano: i “Los Zetas”, dediti al controllo del territorio ed al sicariato.

Los Zetas
Da braccio armato del Cártel del Golfo, attualmente i Los Zetas sono diventati una delle organizzazioni più pericolose – se non la più pericolosa – scese in campo nella narco-guerra che si sta combattendo nello stato federale e tra le più pericolose al mondo proprio per i trascorsi militari dei suoi appartenenti. Prelevati – ai tempi in cui facevano parte del Cártel del Golfo - tra ex soldati e disertori del Grupo Aeromóvil de Fuerzas Especiales (GAFE), gruppo d'elite creato proprio per fronteggiare il narcotraffico dal quale è stato prelevato anche l'attuale reggente del cartello Heriberto “El Lazca” Lazcano, dal GANFE (Grupo anfibio de fuerzas especiales) e dalla Brigada de Fusileros Paracaidistas (BFP) nonché tra gli esponenti dei Kaibiles – una forza speciale addestrata per gli scontri nella jungla e per operazioni di contro-insurgenza – guatemaltechi. Alcuni degli uomini attualmente nei ranghi dell'organizzazione sembra siano stati addestrati direttamente dall'Istituto dell'Emisfero Occidentale per la Cooperazione alla Sicurezza (conosciuto anche come Scuola delle Americhe), un'organizzazione per l'istruzione militare che – a dirla con le parole dell'ex senatore democratico Martin Thomas Meehan - «se decidesse di celebrare una riunione di ex alunni, si troverebbero riuniti alcuni dei più infami e indesiderabili malfattori dell'emisfero». Tra gli ex alunni, infatti, spiccano nomi quali quello di Leopoldo Galtieri Castelli – facente parte della junta militare di Jorge Rafael Videla alla quale si deve il colpo di stato in Argentina (1976) al quale si ricollegano i circa 30.000 desaparecidos – e Manuel Antonio Noriega, ex dittatore (ed ex agente CIA) a Panama negli anni Ottanta.

Tra i punti di forza dell'organizzazione, oltre al già citato addestramento militare, c'è l'alta specializzazione tecnologica di alcuni dei suoi vertici che permette anche l'utilizzo delle più aggiornate tecniche di intercettazione telefonica ed ambientale, nonché la struttura a cellula, così che nessuno degli appartenenti possa arrivare a conoscere (e dunque a riferire in eventuali interrogatori) l'intera organizzazione degli affari.
L'organizzazione interna dei Los Zetas si basa su alcune figure specifiche distribuite su una struttura di tipo verticistico quali i “las Ventanas” - “le finestre” - cioè giovani ragazzi utilizzati come vedette sul territorio (molto simile a quel che succede con i ragazzi in motorino assoldati dalla camorra campana) o i “los Halcones”(“i falchi”), simili ai capifamiglia della mafia. Su tutti vige l'operato della “Dirección” - composta da venti membri – che ne è l'organo verticistico, similmente a quello che rappresenta la Cupola per la mafia siciliana.

Dediti principalmente al traffico di droga (come i loro rivali del Cártel del Golfo sono tra i partner principali della 'ndrangheta), negli ultimi tempi hanno allargato il proprio interesse verso i sequestri di persona, in particolare quella di turisti americani.
Sul fronte interno i suoi alleati principali sono il cartello di Tijuana e quello di Juárez.
Nello scorso febbraio sono apparsi decine di manifesti contro l'organizzazione a firma “United Cartels”, nome sotto il quale si cela il sodalizio tra i Sinaloa ed il cartello del Golfo.

Cártel de Juárez
Conosciuto anche come Organizzazione Vicente Carrillo Fuentes, il Cártel de Juárez ha la propria base a Ciudad Juárez, nello stato di Chihuahua, la tristemente nota “città che uccide le donne”. Attualmente capeggiato proprio da Vicente Carrillo Fuentes – fratello di uno dei fondatori dell'organizzazione, Amado (anche se qualcuno sostiene che il vero leader sia la modella Laura Elena Zúñiga) viene formato negli anni Settanta da Rafael Aguilar Guajardo e dal già citato Carrillo Fuentes, che ne diventa il capo tra il 1993 ed il 1997, anno della sua misteriosa morte. A seguito di tale vicenda il cartello quasi scompare e molti dei suoi appartenenti vanno a rinforzare il Cártel de Sinaloa, che a quel tempo stava cercando il proprio “posto al sole” nel proscenio del narcotraffico messicano. Oggi si trovano diramazioni dell'organizzazione in 21 stati messicani nonché in stati come Texas, Oklahoma, Kansas e New Messico negli Stati Uniti.
Legato a doppio filo – anche per vincoli parentali – ai principali cartelli colombiani, il Cártel de Juárez controlla una delle più importanti rotte per il traffico di stupefacenti verso gli Stati Uniti. Ai tempi del comando di Amado Carrillo Fuentes – conosciuto come “Il signore del cielo” in quanto trasportava la cocaina a bordo di aerei – guadagnava 200 milioni di dollari a settimana, parte dei quali reinvestiti per la corruzione delle autorità.
Il braccio armato dell'organizzazione è noto come “La Línea”.

Cártel de Tijuana
Fondatore della “Federazione” nel 1998 (oggi disciolta e sostituita dalla “Nuova Federazione” composta dal Cártel de Sinaloa, dal Cártel del Golfo e da La Familia) insieme al Cártel de Sonora, il Cártel de Tijuana dal 1997 è noto anche come Organizzazione Arellano Félix, anno in cui scompare il cartello di Guadalajara dando origine alla scissione tra questa organizzazione ed il gruppo Guzmán-Loera. Il comando dell'organizzazione è attualmente nelle mani dei fratelli di Ramón Eduardo, il fondatore del gruppo ucciso in uno scontro a fuoco con la Polizia nel 2002. Ha influenza sulla parte nooccidentale del Messico, anche se ne è sempre più probabile l'implosione.

Cártel de La Familia
Il suo quartier generale è lo stato di Michoacán de Ocampo (da qui il nome esteso del gruppo, conosciuto anche come “La Familia Michoacana”), viene formata negli anni Ottanta come gruppo di vigilantes contro lo spaccio di droga nello stato. Un decennio dopo era diventato il braccio armato del Cártel del Golfo (nei “Los Zetas”), dal quale si separò nel 2006 andando a formare l'organizzazione attualmente conosciuta alleato con il Cártel de Sinaloa e alcuni dei fuoriusciti dal Cártel de Tijuana grazie ad accordi presi tra i carcerati delle tre organizzazioni. Sodalizio che si conclude con la guerra tra Cárdenas e Arellano Félix. A febbraio 2010 ha sancito nuovamente un'alleanza con il Cártel del Golfo ed i Guzmán-Loera (formando l'organizzazione denominata “Carteles Unidos”) contro il gruppo composto dai Los Zetas, i Beltrán Leyva ed i cartelli di Juárez e Tijuana. A detenerne il potere sono attualmente José de Jesús Méndez Vargas (detto “El Chango”, la scimmia) e Servando Gómez Martínez, co-fondatori dell'organizzazione insieme a Nazario Moreno González, conosciuto come “El más loco” (“Il più pazzo”), deceduto il 9 dicembre 2010 in uno scontro a fuoco.

A questo cartello si deve la creazione di una rete sociale nelle zone più emarginate dello stato (operazione dalla doppia utilità: controllo del territorio e riciclaggio dei proventi illeciti), ed è caratterizzata da una forte religiosità: oltre a definire ogni omicidio come “giustizia divina”, infatti, Moreno González non si separava mai da una “bibbia” nella quale aveva scritto i propri ordini morali, nei quali si imponeva ai militanti de La Familia di non fare uso di droghe.

Dalla droga ai clandestini. Un business in espansione
Nonostante siano conosciuti nel mondo per il narcotraffico, i cartelli della droga stanno ormai mettendo le mani su un altro dei principali business criminali, quello cioè della tratta degli esseri umani, che sul confine tra Messico e Stati Uniti si traduce nel traffico di clandestini (e nel loro sequestro).Se in Europa la crisi economica – in alcuni casi in collaborazione con ben specifiche scelte politiche – mette in ginocchio le comunità costringendo i giovani a lavori precari o all'emigrazione in cerca di fortuna, stessa sorte capita al di là dell'oceano, dove da sempre i messicani passano – spesso in maniera illegale – il confine con gli Stati Uniti per cercare quella serenità che nel loro paese non riescono ad ottenere. Per non parlare di quei giovani che – in Messico come in Italia – non trovando sbocchi professionali si avvicinano al dorato e pericoloso mondo della criminalità. Live fast, die youg.

Funziona così: i “pretendenti clandestini” pagano circa mille dollari – anticipati – ad un coyote (l'equivalente degli scafisti) per passare il confine. Fino agli anni Novanta questi loschi figuri erano “liberi professionisti”. Oggi, nella maggior parte dei casi, sono stati assoldati – o sostituiti – dai cartelli del narcotraffico, che possono contare su una potenza maggiore rispetto ad un singolo “passatore”.
Una volta oltrepassato il confine vengono portati nei quartieri fantasma che la crisi economica ha creato a Sud – come alcuni quartieri di Phoenix, in Arizona - dove i clandestini si trasformano ben presto in sequestrati. 5 mila dollari è il prezzo da pagare per evitare la soffiata al 911 e la seguente accusa di immigrazione clandestina.

È evidente, a questo punto, come nella guerra al narco-traffico manchi un giocatore fondamentale: il Governo, la cui tanto sbandierata “guerra contro i cartelli” è rimasta una pura utopia.

Cartelli a misura di donna
«Fino al 2000» - dice Anabel Hernandez, giornalista messicana di Reporte Indigo e autrice del libro “Los señores del narco” per la cui tutela si è mossa qualche mese fa anche l'Associazione Libera di Don Luigi Ciotti - «i governi del Pri (Partido Revolucionario Institucional attualmente al potere) hanno protetto i cartelli indistintamente. Con l'elezione di Vicente Fox del Partido de Acción Nacional, le istituzioni si misero a proteggere unicamente i Sinaloa. Allora gli altri cartelli hanno fatto esplodere la violenza che rimaneva sopita da decenni».
L'assenza del governo, però, lascia un vuoto nella lotta al narcotraffico. Vuoto che, ovviamente, qualcuno deve colmare. Sono in particolare i media – dove comunque è forte il successo delle “narcofiction” che esaltano le gesta dei narcotrafficanti, così come florido è il mercato musicale delle “narcocorridos”, esattamente come il fenomeno dei neomelodici napoletani esalta spesso le gesta camorristiche – a svolgere un ruolo di opposizione. Ma è interessante notare come – dall'una e dall'altra parte della barricata – si trovi un altissimo numero di donne, nonostante il crimine organizzato messicano sia un mondo quasi interamente maschile. Come rivela uno studio del National Institute of Women, il numero di donne finite in carcere per “crimini federali” (per lo più legati a spaccio e consumo di droga) è triplicato nel giro di tre anni. Utilizzate principalmente come corriere – anche se in alcuni casi sono addestrate per diventare vere e proprie killer – queste donne vengono introdotte nel mondo dei narcos da mariti, fidanzati o parenti “affiliati”. L'unico caso attualmente conosciuto di donna arrivata ai vertici di uno dei cartelli è quello di Sandra Ávila Beltrán, nota come “la Reina del Pacífico” (la Regina del Pacifico) dal 2007 ospitata dalle patrie galere.

Dall'altro lato ci sono donne come Maria Santos Gorrostieta Salasar, 34 anni, da quattro sindaco di Tiquicheo (nello stato del Michoacán, a pochi chilometri dalla capitale Ciudad de México) che nel 2009 si salvò per miracolo da un attentato dove morì suo marito e per il quale porta ancora i segni, come la borsa esterna attaccata al torace che le serve per espletare le funzioni digestive. Ma la Salasar non si è certo lasciata intimidire e, anzi, ha utilizzato il suo corpo martoriato nei poster elettorali per la campagna del 2012. «Volevo mostrare a voi il mio corpo ferito e mutilato...perché io non ne ho vergogna. È una testimonianza vivente che io sono una donna forte e retta, e a dispetto delle mie ferite fisiche e psicologiche sono ancora ben salda sui miei piedi», ha detto presentando la sua candidatura.

La già citata Anabel Hernandez, Adela Navarro Bello e tante altre donne hanno invece deciso di combattere la loro guerra come giornaliste, nonostante sia chiaro a tutti come il Messico sia il paese più pericoloso nel quale svolgere questa professione. Scrivono libri nei quali fanno nomi e cognomi, raccontando le connessioni/connivenze con la classe politica (come d'altronde dovrebbe fare il vero giornalismo “watchdog”) o dirigono riviste – come Zeta, uno dei settimanali più impegnati nella lotta ai narcos di cui è direttrice proprio Adela Navarro Bello – in una situazione dove resistere a forme di auto-censura è difficile, ed in cui molti giornali decidono di occuparsi d'altro. Nel solo 2010 si è assistito all'assassinio di dodici giornalisti (sessantaquattro a partire dal 2001).

Non solo non si fanno intimidire, ma spesso giornaliste e giornalisti che decidono di svolgere fino in fondo il loro compito “rilanciano”. Come nel caso di Laura Castellanos, che qualche tempo fa ha scritto una lettera al quotidiano La Jornada:
Sono una giornalista indipendente, autrice del libro Messico armato (1943-1981) e Corte de caja (“Punto e a capo”), intervista con il subcomandante Marcos e scrivo per la rivista Gatopardo. Ricorro a questo spazio per denunciare l’intimidazione crescente nei confronti dell’esercizio della mia professione di giornalista, orientato soprattutto ai movimenti radicali e guerriglieri. Sono stata vittima di controlli, intercettazioni telefoniche e su Internet e nei giorni scorsi, approfittando della mia assenza per un viaggio di promozione della mia opera, sono entrati a casa mia passando dal balcone.
Non è stato un atto di delinquenza comune dato che non hanno portato via niente di valore. Sono entrati nel bagno e hanno defecato e orinato oltre ad aver utilizzato i miei oggetti personali. Hanno lasciato aperta la finestra del bagno e del balcone affinché si notasse che ci erano passati. L’unica cosa che hanno rubato è il libretto da reporter che avevo affianco al PC. Il giorno dopo un uomo in bicicletta con aspetto da militare ronzava intorno al mio palazzo e, dopo essere stato scoperto, ha nascosto il suo volto.


Gli atti di controllo nei confronti della mia persona e domicilio sono evidenti. Sporgerò denuncia presso la Procura Speciale per la Difesa dei Delitti contro i Giornalisti della Procura Generale della Repubblica. Non perché credo nella sua giustizia, ma affinché il mio nome resti per i posteri negli archivi dell’infamia. Faccio responsabile il Governo del presidente Felipe Calderon di qualunque atto contro la mia integrità e quella della mia famiglia. Non getto la spugna.
La paura, mischiata alla voglia di “non gettare la spugna” si è tramutata, il 7 agosto dello scorso anno, in una marcia per chiedere al governo di tutelare il fondamentale lavoro dei reporter, una manifestazione svoltasi in silenzio perché, come spiegarono allora i giornalisti, le parole erano state sequestrate.

Un aiuto ai giornalisti viene dalla gente comune: «l'80 per cento delle nostre inchieste» - spiega Adela Navarro Bello - «parte da segnalazioni anonime dei lettori». E poi c'è il web. Web che svolge una vera e propria operazione informativa, come nel caso del “Blog del Narco” o del “Forum Mexico Defense”, dove vengono date indicazioni precise per la protezione de cittadini. Non è difficile, ad esempio, leggere cose come questa:

«Nei prossimi giorni, la guerra tra cartelli si estenderà verso Allende, Terán, Montemorelos, Linares, Ciudad Victoria, San Fernando e le città del sud di questi Stati. È probabile che Monterrey e la sua area metropolitana vengano investite da questa guerra, dato che in questa zona predomina il Cartello dei Zetas, mentre a San Pedro si faranno sentire i Beltrán Leyva che sono gruppi alleati.
È probabile che la guerra tra i cartelli arrivi all'area metropolitana di Monterrey nei prossimi 10 - 20 giorni, quindi se potete fate la spesa, comprate acqua e tutti i viveri di prima necessità, non si sa mai. Consigliamo di farlo perché se inizia lo scontro, così come è già in corso nel confine, sarà molto più complicato e pericoloso uscire in mezzo a sparatorie ed esplosioni di granate. È meglio stare sempre vicini a casa
».

Sarebbe interessante – prendendo la domanda in prestito da una famosa intervista a Giovanni Falcone – chiedere a giornalisti come Hernandez o Navarro Bello chi glielo faccia fare. La risposta, secondo me, sarebbe più o meno questa (a dirla è proprio la direttrice di Zeta): «Continuiamo perché abbiamo preso un impegno con la nostra società, con i nostri lettori, e perché il problema del narcotraffico è un tema a cui non possiamo sottrarci come giornalisti, non possiamo girare la testa dall'altra parte, come fanno alcuni giornali o il governo. È una realtà che esiste e sta compromettendo il futuro delle nuove generazioni, e noi dobbiamo denunciare tutto questo affinché la gente prenda coscienza che questo stato di cose non è normale, e noi continueremo a denunciare.
Perché, nonostante le minacce, nonostante la paura, «(...)Problemi di giustizia sociale, corruzione, droga. Il Messico è il contesto ideale per un giornalista d'inchiesta».