Corsa all'ultima protesi. Inchiesta sulle ingerenze politico-criminali nella sanità italiana (puntata II)


Quando si affronta la questione della sanità pugliese il problema principale è esattamente tentare di dare risposta alle domande che sono dietri ai “se” che Maurizio Belpietro poneva durante questa puntata di Annozero del 2009: esiste o non esiste un sistema (che poi lo si voglia definire di stampo mafioso o di stampo politico – come abbiamo visto nella precedente puntata di questa inchiesta – diventa un dettaglio di natura prettamente linguistica) che gestisce la sanità pugliese alla stregua di una sanità “elettorale”, utile cioè non al cittadino ed alla sua tutela ma alla tutela del potere di determinate, ben specifiche e ben identificabili personalità politiche?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo partire da ormai un bel po' di anni fa.

«Ricoveri fantasma, arrestato il gotha della sanità barese».
Titolava così il quotidiano “La Repubblica“ il 4 maggio 1994. Inizia così il filone pugliese di Mani Pulite. Tra gli arrestati di allora anche Francesco Cavallari, all'epoca considerato il re delle cliniche private baresi. In una sua intervista del 2009 rilasciata al settimanale “Panorama” si può leggere :

Io consegnai personalmente a D'Alema 20 milioni in contanti in una busta bianca durante una cena a casa mia. Ma non finì lì. In altre due occasioni gli diedi due finanziamenti da 15 milioni che gli portai al consiglio regionale. Successivamente gli feci avere altre due trance sempre da 15: in tutto 80 milioni di lire

e ancora

Fu Antonio Ricco, commercialista e direttore generale delle mie cliniche, oggi consulente personale del sindaco Emiliano (…) Io quella Patrizia D'Addario l'ho conosciuta. Me la presentò un giornalista con cui si accompagnava.(...)

«Dalle mie dichiarazioni» - continua Cavallari - «rimasero coinvolti una sessantina di politici. Tra loro c'era anche il socialista Alberto Tedesco, ma non venne indagato. Io non mi spiego la decisione del pm»

Sono passati 17 anni, ma i personaggi che trafficano intorno alla sanità pugliese sono più o meno gli stessi.
Tra questi c'era allora e c'è oggi Alberto Tedesco, nel 1994 socialista “autonomista” oggi passato nelle fila del Partito Democratico (che lo porta in Senato per sostituire l'ex Ministro del Lavoro del secondo governo Prodi Paolo De Castro, nel frattempo migrato verso un seggio in Europa...).
Ma chi è Alberto Tedesco?


'E figlie so piezz' 'e core.
Alberto Tedesco è una vera e propria “macchina da guerra” (politica, s'intende...). Socialista, inizia la sua scalata ai vertici agli inizi degli anni Ottanta, negli anni in cui Bari – città che gli ha dato i natali nel 1948 – diventa la città più socialista d'Italia. Il primo incarico di rilievo (1981-1985) è quello di presidente dell'Amtab, l'azienda per la gestione del trasporto pubblico barese, “gavetta” che gli servirà per approdare alla politica “seria”: nel 1985, infatti, viene eletto per la prima volta consigliere regionale, carica che lascerà solo per il già citato scranno parlamentare. 1990, 1995, 2000, 2005. Ogni elezione dei componenti del consiglio lo vede vittorioso.
Durante la sua permanenza in via Capruzzi si allontana dallo SDI (Socialisti Democratici Italiani, nato nel 1998 a Fiuggi dalle ceneri del Partito Socialista ed oggi confluito – in parte – nell'esperienza del Partito Democratico)e fonda i Socialisti Autonomisti, che diventano in breve tempo una delle forze più influenti dell'intera regione.
Nel 2004 – narra la leggenda – evita di candidarsi per un posto al Senato della Repubblica nel collegio barese, lasciando di fatto il posto a Nicola Latorre, il “delfino” di Massimo D'Alema.

Si sa: in politica per andare avanti, per “fare carriera”, bisogna essere riconoscenti verso gli “amici”, e D'Alema ha ormai esperienza pluri-decennale per non conoscere una regola simile.
Il credito conquistato da Tedesco viene infatti subito esercitato: nel 2005 il consigliere regionale più anziano della Regione Puglia diventa Assessore alla Sanità nel governo di Nichi Vendola. Narra un'altra leggenda, poi, che il posto al Senato sia parte proprio di quel “credito”...

Leggende o meno, nel momento in cui Tedesco diventa assessore iniziano i guai.
Perché l'assessore alla Sanità ha un “piccolo” problema: è in pieno conflitto di interessi, in quanto la moglie ed i figli possedevano azioni di alcune società del campo farmaceutico e parafarmaceutico che, nella sola Puglia, copriva il 65% del mercato. Nello specifico il 65% del business delle protesi.

I «primariucci»
Alberto Tedesco dev'essere fan di Clemente Mastella.
Fino al 2006 è proprietario di ben due aziende che operano nel settore sanitario: la “Medical Surgery s.r.l.”, fondata nel 1999 da Maria Cattaneo (moglie di Alberto Tedesco) e trasformata nel 2007 nella società “Med Net” di proprietà di Carlo e Giuseppe (figli) e la “Aesse Hospital Tecknolab s.r.l.” dove troviamo l'altra figlia di Tedesco, Cristina,
Ambedue le società, come risulterebbe dalla linea difensiva di Tedesco, sono state cedute nelle immediate vicinanze della nomina ad Assessore della Sanità alla “Soluzioni e Management s.r.l.” di cui amministratore unico sarebbe tal Sironi Giovanni. Per risolvere il conflitto d'interessi comunque, la famiglia Tedesco costituì una nuova società di apparecchiature elettromedicali (la Eurohospital) che – stando agli elementi raccolti durante le indagini – durante il mandato del capofamiglia, avrebbe notevolmente incrementato il suo fatturato.
A questo punto, naturalmente, ci si dovrebbe porre una domanda, che è poi la stessa dell'ex assessore Sergio Silvestris (Alleanza Nazionale):«Se c'era conflitto d'interessi, (Tedesco, ndr) ha fatto bene a far vendere le quote e ha fatto male a costituire la nuova società, e per questo si deve dimettere. Se non c'era, perché ha fatto dismettere le quote ai suoi figli?»
Per completare il quadro, comunque, Tedesco piazza (è proprio il caso di dirlo) Bruno Falsea – suo cognato – all'Asl Lecce 1. Carica: direttore sanitario.

A questo punto spunta un altro dei “nomi noti” alle cronache nazionali che aveva le mani in pasta (prima di riciclarsi nel campo dell'ecologia): Gianpaolo “Gianpi” Tarantini, il “fornitore ufficiale” di Arcore, che nella vita precedente – fino al 2004 – è il vero e proprio re delle protesi pugliesi.
Gianpaolo Tarantini per anni è stato in affari con Giuseppe, il figlio di Alberto Tedesco che – come si può leggere nell'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari Giuseppe De Benedictis chiese l'arresto del senatore lo scorso febbraio – dall'alto della sua posizione da assessore, si prodigava «per influire sulle scelte dei dirigenti medici del settore. Tale sua attività in questo senso risulta documentata in modo inconfutabile fin dal 2002», cioè ben tre anni prima della sua elezione ad assessore. «Appare inconfutabile» - continua l'ordinanza - «come già da circa dieci anni gli imprenditori Tedesco Giuseppe e Tarantini Giampaolo facessero ricorso all'aiuto di Tedesco Alberto per imporre, a mezzo di condotte collusive con alcuni operatori sanitari, i loro prodotti sanitari sul mercato». In un'intercettazione tra i due ex soci, Giuseppe Tedesco sostiene che i medici che si riforniscono presso di loro sarebbero «primariucci con cui abbiamo a che fare noi, che li comandiamo a bacchetta!».

Poi avviene qualcosa. Il legame d'affari tra Tedesco e Tarantini si spezza. Siamo nel 2004. Da quel momento Tarantini inizierà a “diversificare la propria offerta”, diventando uno dei leader del mercato delle regalie e del sesso utilizzato come moneta di scambio per vincere gli appalti. Mettiamo da parte l'”affaire” Tarantini, ci torneremo in seguito.

Tutto potevo immaginare...
«Tutto potevo immaginare meno di avere un assessore nella giunta Vendola». A dirlo è Raffaele Fitto, dal 2000 al 2005 Presidente della Regione Puglia, commentando la nomina di Alberto Tedesco.
Già, perché la squadra Tedesco la pesca quasi per intero negli ex uomini (e donne) di Fitto, prima fra tutti Lea Cosentino che, da ex Margherita poi attivista di Forza Italia, nel 2006 diventa Direttore Generale dell'Asl di Bari, da dove transitano molti dei grandi appalti – o delle grandi truffe, dipende dai punti di vista – del comparto sanitario pugliese. La Cosentino, peraltro, nulla fa per celare i suoi rapporti con Tarantini, tanto che – in una delle oltre 1.330 telefonate tra i due nell'arco di circa dieci mesi – chiede a “Gianpi” di intercedere per evitare la pubblicazione di un articolo, su sollecitazione di un certo “Niki”.

Lea Cosentino
È proprio la Cosentino, peraltro, la persona scelta dal Presidente della Regione Nichi Vendola per sostituire un Alberto Tedesco dimissionario al primo sentore di avviso di garanzia.
«Non ti conviene perché si scatenano i sistemi, quelli più...diciamo leciti e non...» furono le parole di Michele Emiliano, allora sindaco di Bari. Una “sorta di” minaccia, dicono dalla Procura. Ed è triste notare come la minaccia sia venuta da un uomo che, da procuratore ad Agrigento, nel suo curriculum può vantare la collaborazione con Giovanni Falcone e Rosario Livatino (il “giudice ragazzino” uccuso il 21 settembre 1990 da uomini della Stidda agrigentina). Ma torniamo a Tarantini.

«Tarantini mi chiese di intervenire presso l'assessore Alberto Tedesco poiché le sue imprese venivano penalizzate, nella concorrenza, dalle ditte dei figli dell'assessore Tedesco».
A dirlo dinanzi ai pm del pool Sanità è – nello scorso gennaio – Sandro Frisullo, ex vicepresidente della giunta regionale (Partito Democratico).

E qui, di fatto, si apre un altro capitolo.

I regali dell'assessore
Dire che Sandro Frisullo nel biennio 2007-2008 (data in cui sono scattate le manette per l'ex vicepresidente) fosse il referente politico di Tarantini in Regione è riduttivo. Frisullo – almeno in quel biennio – era diretta espressione dell'imprenditore, tanto da percepire uno stipendio mensile di 12 mila euro per 11 mesi nel 2008, oltre a 150 mila euro in denaro, costosi capi di abbigliamento, buoni benzina, regali di vario genere – tra cui auto con autista personale nonché il servizio di pulizie per la sua abitazione barese - e prestazioni di natura sessuale. Il motivo di tante attenzioni si devono al fatto che Frisullo ha fatto vincere a Tarantini e ad un altro imprenditore barese (Domenico Marzocca, titolare di una società – la Prodeo S.p.A. - che si occupa di archiviazione di cartelle cliniche) di appalti per un totale di un milione di euro per la fornitura di materiale sanitario da parte della società di “Gianpi” e per quattro milioni per la gestione delle cartelle cliniche dell'Azienda Sanitaria Locale leccese.

Gli chiesi (a Frisullo, ndr) un'estensione per forniture alla Asl di Lecce di una delibera già fatta per il policlinico di Bari per circa 2 milioni di euro, aggiudicata alla Tecnohospital per acquisto di ferri chirurgici fino alla soglia del 40% senza gara, in virtù di una legge regioanel (…) Con riferimento alla modalità di consegna del denaro a Frisullo, ogni volta che mi serviva il denaro andavo io alla Carige, agenzia di via Abate Gimma (…) se c'era disponibilità di contante prelevavo i soldi o attraverso il mio conto personale (…) o sul conto di Tecnohospital (…). Attraverso Verdoscia (Massimiliano Verdoscia, al tempo socio in affari di Tarantini, arrestato nell'agosto del 2009 per detenzione e spaccio di cocaina) facevo un assegno, a vista o postdatato, lui lo depositava presso la Banca popolare di Novara di viale Unità d'Italia, presso la quale lui aveva il conto

racconta durante uno dei tanti interrogatori seguiti all'arresto lo stesso Tarantini.

Decisamente un bel tipo Frisullo. Come se non bastasse – è sempre Tarantini a raccontarlo – non solo si era fatto ammaliare dalla “bicamerale ad ore” (definizione di Marco Travaglio), ma si lamentava anche se i pagamenti arrivavano in ritardo!

Ma porca miseria...
Alberto Tedesco e Nichi Vendola
Ricapitoliamo, aggiungendo un paio di dettagli fin qui tralasciati.
Forniture ospedaliere; diagnosi fasulle (o comunque forzate) necessarie esclusivamente all'acquisto di “stabilizzatori della colonna vertebrale” dalla società di Tarantini per un importo compreso tra i 18 ed i 30 mila euro e con la connivenza del direttore di Neurochirurgia del Policlinico di Bari Pasqualino Ciappetta, il quale esercitava vere e proprie pressioni psicologiche verso quei medici che non rispettavano “la linea politica” del Policlinico.

Gestione degli appalti pubblici nel settore sanitario, nomina dei primari – anzi, dei «primariucci» come abbiamo già detto – nonché l'intreccio tra criminalità organizzata, politica ed affari. Sono questi i pilastri dell'inchiesta portata avanti dalla Direzione Distrettuale Antimafia, dalla quale emerge praticamente di tutto: droga, escort, appalti e gare pubbliche truccate. Il tutto nell'ambito di quella “sanità elettorale” necessaria a politici e traffichini vari per mantenere il proprio potere personale.

Nel luglio dello scorso anno vengono dati gli arresti domiciliari a Francesco Petronella e Michele Columella, titolare della “Vi.Ri. s.r.l.” (campo: smaltimento e trattamento di rifiuti industriali e speciali) che, tramite alcuni dirigenti della Asl di Bari si aggiudica un appalto di 5 milioni di euro per la gestione dei rifiuti ospedalieri della suddetta azienda sanitaria e per il completamento delle attrezzature dell'Irccs Giovanni Paolo II di Bari, appalto di 2 milioni e 600 mila euro assegnato alla Draeger S.p.A., rappresentata dal nipote dell'assessore Tedesco. In giugno, intanto, erano stati arrestati proprio tre dirigenti dell'Asl barese: Antonio Colella, Nicola Del Re e Filippo Tragni nonché il legale rappresentante della “Vi.Ri. s.r.l.” Michele Columella e Francesco Petronella, titolare della stessa. Coruzione, turbativa d'asta e concorso in violazione del segreto istruttorio le accuse.

Ed è proprio Alberto Tedesco – lo abbiamo visto – ad essere trait d'union tra il piano imprenditoriale ed il piano politico. Quel Tedesco che, in odor di avviso di garanzia, sembra debba essere sostituito da Lea Cosentino, prima che quest'ultima – diventando “Lady Asl”- entri a far parte dei tanti indagati in uno degli innumerevoli filoni d'indagine sulle ingerenze politiche sulla sanità pugliese.
Dalle indagini viene fuori, in maniera eloquente, un vero e proprio «sistema criminale collaudato, stabilmente radicato nei vertici politico-amministrativi della Sanità incentrato su logiche affaristiche e clientelari».

A questo punto, come per Frisullo, dobbiamo aprire un capitolo a parte.

Alberto Tedesco l'ho scelto liberamente – e penso di aver fatto una buona scelta – e oggi nel nome di un'idea della moralità e di un'idea della coerenza con la mia storia, chiedo ad Alberto Tedesco di restare al suo posto 

Queste le parole che nel 2007 proferiva il Presidente della Regione Puglia Vendola, lo stesso uomo che aveva scelto Sandro Frisullo – l'uomo “comprato” a 1200 euro al mese da Tarantini – come vicepresidente e che voleva sostituire lo stesso Tedesco con un'altra persona – la Cosentino – poi finita nel registro degli indagati.
Lo stesso Vendola che, in un colloquio telefonico con il suo assessore alla Sanità, non potendo nominare un suo protetto come direttore generale (che sono nominati appunto dai partiti al governo nelle Regioni e che dunque sono il primo pilastro della “sanità elettorale”) chiede se non si possa modificare la legge.
Questa, per il gip, non è concussione. Al massimo è “arroganza politica”. In ogni caso, comunque, se non è concussione è comunque un esempio da manuale dello spoil system, una pratica – come scrive il gip De Benedictis - «talmente imperante nella sanità regionale da indurre il governatore addirittura a pretendere il cambiamento della legge per superare, con una nuova legge “usum delphini”, gli ostacoli che la norma frapponeva alla nomina della persona da lui fortemente voluta».

Qui dobbiamo fare un po' di chiarezza: innanzitutto Vendola non è indagato (aspetto che affronteremo a breve), ma la domanda – a questo punto – è più che legittima: è, come tanti, un traffichino entrato in politica non per il bene della res publica ma solo per il suo bene, oppure è – più semplicemente – incapace di scegliersi i collaboratori?

Ad ogni domanda in merito, peraltro, il governatore ha sempre detto di non conoscere il conflitto d'interessi di Tedesco e che, in ogni caso, sia Frisullo che l'assessore gli erano stati suggeriti – quasi imposti – dal Partito Democratico.
Per Vendola, infatti, che l'assessore alla Sanità abbia parentado vario che commercia nel campo sanitario non costituisce un motivo sufficiente ad avvicendarlo. Ancor peggiore, se vogliamo, è il reiterare un giudizio positivo nei confronti della Cosentino.
Dunque è ancor più importante chiedersi, anche alla luce di quanto si sta verificando nell'ambito partitico della sinistra, capire se il problema sia solo nella scelta della propria squadra o se il problema “gestionale” sia più generale. Ma questa è un'altra storia...

Una terza, importante, domanda da porsi riguarda l'incidenza che le scelte di Vendola – e degli uomini che hanno coadiuvato il suo operato – abbiano inciso sul gigantesco deficit delle Asl pugliesi, che si aggira sui 600 milioni di euro.

il sodalizio bipartisan

Ho appreso con piacere che la Regione Puglia ha già posto la realizzazione del nuovo ospedale tra i primi obiettivi prioritari e ha riservato a questo fine la cifra di 100 milioni di euro sul Programma Fas 2007-2013.
Firmato: Sac. Prof. Luigi M. Verzé

No, nessun caso di omonimia.
Quel “Sac. Prof. Luigi M. Verzé” è proprio quel Don Verzé socio d'affari di Silvio Berlusconi.
Il piano è questo: costruire – sulla falsariga della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor – quello che è stato definito il “San Raffaele del Mediterraneo” con un duplice scopo: tentare di diminuire il “turismo sanitario” sull'asse Sud-Nord e tentare di risollevare le sorti di una Taranto “che scoppia di dolore”.
Se l'idea è – tutto sommato – nobile, cosa ben diversa è la pratica. Innanzitutto le cifre: dei 100 milioni inizialmente stanziati (divenuti immediatamente 120) saranno presi dalle tasche dei contribuenti, che si vedranno al contempo chiudere il SS. Annunziata di Taranto ed il Moscati di Statte (ambedue strutture pubbliche) per fare posto ad una struttura in joint-venture tra pubblico e privato la cui natura principalmente commerciale è stata accertata anche dal Consiglio di Stato (cosa che non gli impedisce di usufruire del finanziamento pubblico...).

Nichi Vendola e Don Verzé
Il primo passo di quest'operazione si ha il 28 maggio 2010 viene costituita a Taranto la Fondazione San Raffaele del Mediterraneo, presidente – guardacaso – Don Verzé, che avrà il compito di gestire il complesso ospedaliero che sarà costruito nel quartiere Paolo VI (“corsi e ricorsi storici”, direbbe qualcuno: fu proprio Papa Paolo VI che, nel 1964 sospese Don Verzé dal sacerdozio in quanto quest'ultimo si occupava più degli affari che delle anime pie...).
Vice-presidente della Fondazione viene nominato Renato Botti, che è anche consigliere d'amministrazione della Molecular Medicine S.p.A., beneficiaria di un finanziamento di 2,2 milioni di euro stanziato dalla Regione Lombardia (leggi alla voce “Compagnia delle Opere”, che impareremo a conoscere nella prossima puntata di questa inchiesta), cioè la società per azioni, dove spicca la figura di Luigi Berlusconi, con la quale il premier – stando ai suoi sogni – sconfiggerà il cancro.
Ma non finisce qua: tra i sottoscrittori dell'accordo del 28 maggio c'è anche tale Angelo Domenico Colasanto, direttore generale dell'Azienda Sanitaria di Taranto, accusato di abuso d'ufficio dalla Procura della Repubblica per i quattromila pazienti deceduti ma sui quali si continuava a lucrare.

Insomma: se e quando il complesso dovesse essere terminato, i tarantini potrebbero trovarsi comunque tra due mali: da una parte un mostro che genera tumori (l'Ilva), dall'altra un'attività ospedaliero-commerciale che specula sulle cure.

«Signor governatore, sa che il suo amico don Verzé è socio d'affari di Berlusconi?»
«No» 

Già un'affermazione del genere dovrebbe servire non solo ai pugliesi, ma anche – e forse soprattutto – all'elettorato nazionale di quello strano agglomerato che è la sinistra partitica italiana. Ma anche questa è un'altra storia...

Arrivati a questo punto – e prima di concludere – possiamo tirare le somme di questa seconda “puntata” dell'inchiesta sulle ingerenze politico-criminali nella sanità del nostro paese.
Nella prima parte abbiamo dato uno sguardo alla gestione della sanità calabrese, gestita da una parte dalla 'ndrangheta e dall'altra – sul versante politico – dall'Unione di Centro.
In Puglia, possiamo ormai dirlo, a comandare è una strana versione della “sinistra”, con connivenze tra esponenti del Partito Democratico, ex “organici” alla giunta Fitto di centro-destra con forti ingerenze imprenditoriali e dove è comunque tutta da dimostrare l'estraneità di un Nichi Vendola che, da Presidente della Regione, non poteva non essere a conoscenza di quel che succedeva alle sue spalle. A meno di non voler considerare l'idea che il “miracolo” - anch'esso comunque ancora da dimostrare – Vendola, in realtà, non sia solo l'ennesimo “bluff”.

Ed è proprio sul ruolo di Vendola nell'intera vicenda che voglio chiudere.

L'uomo che ricusava le giudici
Due voti ad uno.
No, non sono i risultati elettorali di quello che sempre più diventa il “Berlusconi di sinistra” (e l'amicizia con Don Verzé è solo uno dei tanti campanelli d'allarme), ma è il risultato delle intenzioni dei tre pm che hanno esaminato la posizione di Vendola.

Francesco Bretone e Marcello Quercia si sono espressi a favore dell'archiviazione perché, a loro giudizio, non ci sarebbero le condizioni minimali per sostenere l'accusa in dibattimento. Non è dello stesso avviso l'altra pm, Desirèe Digeronimo.
Ed è proprio a lei, Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia posta sottoscorta per le pesanti minacce ricevute dal capoclan degli Strisciuglio di Bari (operazione “Libertà”), che Vendola si rivolge con una lettera:

«L'amore per la verità non mi consente più di tacere. Ho l'impressione» - esordisce il Presidente della Regione - «di assistere ad un paradossale capovolgimento logico per il quale i briganti prendono il posto dei galantuomini e viceversa». È interessante, peraltro, l'uso che in questo periodo si fa di termini come “galantuomo” o “gentiluomo”. Ma andiamo avanti...

«(...)La sua indagine, dottoressa Digeronimo, sta diventando, suo malgrado, lo strumento di una campagna politica e mediatica che mira a colpire la mia persona pur non essendo io accusato di nulla. (…) La prima anomalia è che lei non abbia sentito il dovere di astenersi, per la ovvia e nota considerazione che la sua rete di amici e parenti le impedisce di svolgere con obiettività questa specifica inchiesta (...)»

Il riferimento, nello specifico, è a Enrico Balducci, ex marito della Digeronimo, che negli anni Novanta scese in campo con i verdi, passando sotto Alleanza Nazionale (con l'esperienza dei Verdi di destra) nel 1995. Non sarà mica una ricusazione, quella del Presidente della Regione? In attesa di conoscere la risposta, si spera che questo paese non debba aprire un nuovo capitolo nella storia giudiziaria, passando dalle “toghe rosse” alle “toghe nere”.
Ma anche questa, infine, è un'altra storia...

(2 - continua)