Lo stupro non è un reato. Se porti una divisa...

Sottotitolo: la giustizia non fa parte di un sistema di potere

«Una sera di agosto, prima delle proteste del 13 - ha detto la ragazza - l'ispettore Addesso venne in camera mia mentre stavo dormendo, s'infilò nel letto e iniziò a toccarmi».
A dirlo, anzi a denunciarlo durante un processo qualche mese fa fu Joy, una ragazza nigeriana che, arrivata in Italia - come tante, come troppe - con l'illusione di un lavoro e poi finita nel giro dello sfruttamento e della prostituzione era per questo passata attraverso l'inferno dei Centri di Identificazione ed Espulsione, mentre i suoi aguzzini continuano a rimanere impuniti. D'altronde siamo pur sempre il paese in cui le vittime sono dipinte come carnefici ed i carnefici come eroi nazionali...

Quell'ispettore Addesso - Vittorio Addesso per essere precisi - in servizio presso il C.I.E. di via Corelli a Milano questa mattina ha "subito" il processo (con la formula del rito abbreviato) per quella violenza sessuale.
La sentenza non ha fatto altro che confermare due cose: a) che in questo paese i reati in divisa rimangono impuniti (e la lista diventa sempre più lunga, dalle finte molotov introdotte alla Diaz ai tantissimi pestaggi in carcere che in alcuni casi - comunque troppi - si trasformano in omicidi); b) che l'unica legge vigente in Italia è la legge del più forte. Cioè di chi indossa una divisa.
Perché Vittorio Addesso ha ottenuto un'assoluzione "con formula piena", per cui potrà riprovarci di nuovo, magari dietro la promessa di una riduzione del soggiorno al centro, la stessa promessa che aveva fatto a Joy.

La storia di Joy la potete leggere qui: http://senorbabylon.blogspot.com/2010/03/per-la-liberta-dinformazione-si-ma-di.html, per cui non sto a ripetervela.

Si fa un gran parlare della dignità delle donne italiane per il caso Ruby. Si fanno appelli, si promuovono - o quantomeno si cerca di promuovere - azioni collettive per fronteggiare l'idea di donna-oggetto che l'Italia sembra avere adottato come modello culturale, si va in televisione a chiedersi "se non ora quando?".



Quest'Italia non è un paese per donne
dice l'incipit del promo.
A me, parafrasando la famosa uguaglianza degli animali di orwelliana memoria verrebbe quasi da dire che "Quest'Italia non è un paese per donne. Ma per le donne straniere lo è ancora di meno". In questo spot viene chiesto a noi maschi di dissociarci da quel particolare stereotipo di donna. Ma io chiedo alle donne, a quelle che vanno in televisione o che comunque hanno il potere di denunciare queste cose (come Lunetta Savino l'altra sera all'Infedele di Gad Lerner), come a tutte le altre donne che si indignano per il caso Ruby: dove siete, adesso? Perché una parte di quella - giustissima - rabbia che utilizzate per scagliarvi contro il premier e chi ancora vive in quell'idea "da anni '50" non la usate un po' per Joy, per far conoscere la sua storia e, attraverso la sua, anche quella delle tantissime ragazze e donne che subiscono vessazioni di genere ma che non hanno il potere di denunciarlo?

Io non posso - e non voglio - credere che se il maschio italiano ha preso da Berlusconi l'idea della donna "anni '50" voi abbiate preso l'idea della vostra difesa dalla Lega o da qualche manifesto di Forza Nuova.

Qui e qui potete ascoltare le testimonianze dell'avvocato Eugenio Losco e di una compagna attiva contro i C.I.E. sulla vicenda (testimonianze rilasciate a Radio OndaRossa)


In conclusione pubblico (sottoscrivendolo, naturalmente) l’appello lanciato per il 2 febbraio dalle compagne contro i Cie di Roma.

APPELLO PER IL 2 FEBBRAIO
Mercoledì 2 febbraio ci sarà a Milano il processo con rito abbreviato per la denuncia fatta da Joy contro l’ispettore di PS Vittorio Addesso.
Noi ci saremo. Vogliamo essere con Joy anche in questa tappa della sua ribellione alle violenze e ai soprusi che ha subito.
Joy si è ribellata per se stessa, ma anche per tutte quelle che, nella stessa situazione, non hanno avuto il modo o il coraggio di farlo e per tutte quelle che troveranno, nel suo esempio, la forza per non subire.
La sua vicenda è emblematica. Le istituzioni pensano che quelle/i che hanno subito violenza per mano dei loro funzionari, staranno zitte/i per non subire ulteriori vessazioni, contando, anche, sull’omertà di chi, pure, è a conoscenza dei fatti.
Se questo non succede c’è la vendetta, come è accaduto per Joy, che è stata pestata, insieme alle sue compagne, da Addesso e commilitoni, con la scusa della rivolta di Corelli.Anche qui nel silenzio di chi vede e sa.
Se la ritorsione non funziona, come non ha funzionato con Joy, che, al processo per la rivolta di Corelli, ha denunciato la violenza sessuale ed il successivo pestaggio, allora c’è la denuncia per calunnia che, anche in questo caso, accomuna Joy a tutte le vittime della violenza delle istituzioni e ai loro familiari che hanno il coraggio di rendere pubbliche le vicende.
Joy è stata denunciata per calunnia direttamente al processo e da un giudice donna.
Per inciso, questo è successo anche alla madre di Aldrovandi ed alla sorella di Uva.
Le istituzioni usano, di norma, la denuncia e la querela, contro quelle /i che osano chiedere loro conto di violenze e/o ingiustizie subite, perchè sono consapevoli della disparità dei rapporti di forza.
Ma Joy non è stata lasciata sola.
Le compagne e i compagni solidali, le femministe e le lesbiche, fra denunce e manganellate, hanno reso pubblico tutto quello che le è successo.
Le femministe e le lesbiche non si sono demoralizzate neanche quando hanno contattato, invano, realtà che, pur prendendo per questo finanziamenti pubblici, si sono mostrate evasive e sfuggenti.
Sono riuscite, ugualmente, a tirare fuori Joy dal circuito perverso in cui era chiusa.
Per tutto questo, i meccanismi abituali, messi in atto dalle istituzioni, non hanno funzionato.
Ora, lo stato ha un’ultima carta da giocare, quella della mela marcia: scaricherà tutta la responsabilità su Addesso imputando quello che è successo ad un “riprovevole comportamento personale”.
Noi sappiamo che non è così.
Il compito delle istituzioni in divisa è di tenere a bada, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, il dissenso e, in cambio, hanno l’immunità e l’impunità.
E le donne rinchiuse nei Cie sono bottino di guerra.
La storia di Joy ci racconta la violenza di genere, ma anche quella delle istituzioni, la violenza nelle strutture chiuse di detenzione, ma anche quella nei confronti delle migranti e dei migranti, nuove schiave e nuovi schiavi, ed infine la violenza dello stato nei confronti di tutte/i quelle/i che osano ribellarsi.
La storia di Joy ci insegna che ribellarsi è necessario, perché solo così si può spezzare omertà e silenzio, che quelle/i che si ribellano non devono essere lasciate/i sole/i, che non è il caso di contare su strutture paraistituzionali che fanno quasi sempre un passo indietro quando prendere posizione su soprusi, vessazioni, violenze significa mettere in discussione alleanze, convenienze, interessi, che è necessario autorganizzarsi e costruire un’altra società.
RIBELLARSI SEMPRE RIBELLARSI TUTTE!!
CHIUDERE TUTTI I CIE!!
Donne-femministe-lesbiche contro i Cie, Roma