Il senso di Michele per la piazza

Sottotitolo: il nemico del mio nemico non sempre è mio amico.
AFP PHOTO/MOHAMMED ABEDI

Il mondo arabo brucia. Il 17 dicembre scoppia la rivolta in Tunisia: a Mohammed Bouazizi viene sequestrato il banco di frutta e verdura perché – dicono i poliziotti – non c'è la licenza. Seguono proteste da parte del giovane 26enne e relative percosse da parte delle forze dell'ordine. Il 4 gennaio 2011 Mohamed muore in seguito alle ustioni riportate per aver protestato dandosi fuoco.
È l'inizio della rivolta: i tunisini si riversano in strada, e da quel momento la c.d. “rivolta per il pane” diverrà la miccia che incendia gran parte del mondo arabo: dopo la Tunisia ad essere investite dalle proteste saranno l'Algeria (8 gennaio), la Giordania (13 gennaio), il Marocco, lo Yemen, la Mauritania (16 gennaio) e l'Egitto (18 gennaio).

Si protesta per quel che si protesta in tutto il mondo: inflazione galoppante, disoccupazione, aumento dei prezzi dei generi alimentari e degli affitti. La polizia, ogni volta, scende in piazza per fare il proprio dovere: difendere – con la repressione – il sistema che gli passa lo stipendio. Centinaia i morti ed un numero indefinito di feriti.
La rivolta, però, sembra profilarsi anche come rivolta anti-autoritaria, in particolare in situazioni come la Tunisia, dove l'ex Presidente Zine El-Abidine Ben Alì è rimasto in carica per 23 anni (ed in particolare nel momento in cui la protesta è continuata quando si è tentato di ricreare il “sistema Ben Alì” senza Ben Alì) o l'Egitto, dove Hosni Mubarak detiene il potere da 30 anni esatti.
Il fronte delle proteste, nel frattempo, si allarga toccando per qualche ora l'Albania e l'Italia. O meglio: in Italia si spera che ci sia qualcuno disposto a scendere in piazza per protestare. Non lo faremo per i problemi reali quali – vado a memoria – il lavoro che scarseggia o per il quale vengono riviste le regole (leggasi alla voce “modello Marchionne”) per non parlare di quella strage quotidiana degli omicidi sul posto di lavoro (le c.d. “morti bianche”). Non scendiamo in piazza in solidarietà a tutte quelle persone che quotidianamente perdono la propria abitazione perché – anche per effetto del lavoro che sempre più diventa nuovo sfruttamento – non hanno i soldi per pagare affitti sempre più alti (non entriamo poi nella casistica degli affitti agli studenti fuori sede), tanto meno lo facciamo per denunciare come il diritto allo studio stia tornando un fenomeno classista già adesso chiuso a chi non può permettersi rette universitarie altissime e libri spesso utili più alle case editrici che non alla didattica.


No. Noi non scenderemo in piazza emuli dei tunisini o degli egiziani. L'Italia è stata chiamata in piazza per difendere la magistratura!



Non so che effetto faccia su di voi questo video, ma a me l'idea di scendere in piazza per difendere la magistratura mette i brividi. Prima di essere tacciato di essere “organico” al berlusconismo – visto che in questo periodo storico se osi dire qualcosa di diverso dall'anti-berlusconismo sei automaticamente “filo-”- voglio precisare che la cosa non mi mette i brividi perché credo alla teoria-Cicchitto del “golpe della magistratura”. Quello che però sembra essere sempre più evidente è la delega – totale – che la c.d. “opposizione parlamentare” ha affidato alla magistratura, memore di quel che fu il “piano-Craxi”: incapace di progettare anche solo un'idea di società (basti guardare alla totale adozione del “piano Marchionne” e la conseguente assenza – anch'essa totale – di un piano industriale alternativo) la classe dirigente anti-berlusconiana si affida nuovamente a codici e leggi per abbattere il “regime”.
Ma il “regime” è un'altra cosa: il “regime”, oggi, è quel sistema per cui il partito di opposizione parlamentare – quanto meno a livello di dirigenza nazionale – altro non è che l'ala di centro sinistra del sistema del monopartitismo competitivo nel quale ci troviamo. Faccio mie le parole del professor Domenico Losurdo che definisce i caratteri di questo sistema in un'intervista a “L'Ernesto” (trovate la versione completa qui: http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19905):

(...)In conclusione. Nel corso del Novecento si è sviluppato su tre fronti un gigantesco processo di emancipazione, che è partito dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla lotta contro la guerra e la carneficina del primo conflitto mondiale. Tutto ciò è oggi dimenticato e rimosso sino al punto che, nell’ideologia oggi dominante, la storia del comunismo diviene la storia dell’orrore.
Il paradosso è che a questa gigantesca manipolazione non ha partecipato soltanto la destra propriamente detta; ad essa ha fornito il suo bravo contributo anche Fausto Bertinotti, di cui Vendola è l’erede e il discepolo. Non c’è dubbio, si è impegnato anche lui nel tentativo di cancelare dalla memoria storica il gigantesco e molteplice processo di emancipazione scaturito dalla rivoluzione d’ottobre: di questo grande capitolo di storia egli ha tracciato un quadro che non è molto diverso da quello tracciato dall’ideologia e dalla classe dominante.
Si è venuta così a costituire una cultura, o meglio un’«incultura», che è di grande aiuto all’ordinamento esistente. Come sul piano più propriamente politico, anche su quello ideologico è all’opera quello che io (sempre nel mo libro Democrazia o bonapartismo) ho definito il regime di «monopartitismo competitivo». Vediamo all’opera un unico partito che, con modalità diverse, rinvia alla stessa classe dominante, alla borghesia monopolistica. Certo, non manca il momento della competizione elettorale, ma si tratta di una competizione tra ceti politici ognuno dei quali cerca di realizzare le sue ambizioni di corto respiro, senza mettere in alcun mdo in discussione il quadro strategico, l’orientamento culturale di fondo e la classe sociale di riferimento, e cioè la borghesia monopolistica: su ciò non si discute neppure.
Questa è la situazione dinanzi alla quale ci troviamo: il Monopartitismo Competitivo. La cancellazione del sistema proporzionale ne ha favorito il consolidamento. (…)

Michele Santoro, nel video di presentazione di “Forza Giudici” (stando al – secondo me azzeccato almeno in termini di “vendibilità”- titolo del quotidiano “Il Tempo” di oggi) pone comunque una domanda che merita di essere ripresa. Intorno al terzo minuto si chiede se si possa dire con sicurezza se magistratura, polizia, servizi segreti in questo momento non siano usati per attaccare chi non è il vero avversario del premier.
È una domanda interessante per almeno un paio di motivi: innanzitutto perché la stessa cosa si potrebbe chiedere rigirando la domanda, cioè chiedendosi se – ai tempi in cui a governare non era Berlusconi (per cui si dovrebbe iniziare l'analisi dai tempi della malaunità d'Italia) – la stessa cosa non sia stata fatta anche da governi di colore diverso, magari in forma meno evidente e mediatizzata. Ma questo, naturalmente, rimarrà quesito senza risposta.

Il secondo aspetto interessante di questa domanda è l'ingenuità – naturalmente finta ingenuità – di chi si “scandalizza” per la presenza politica nel Consiglio Superiore della Magistratura, come se questa fosse una novità dell'ultim'ora. Forse Santoro dimentica che un terzo dei componenti del CSM è eletto dal Parlamento riunito in seduta comune. Tradotto per i non adetti: sono nomi sui quali c'è una convergenza tra governo ed opposizione. Per cui sono personaggi – la caratura dei quali dipende anche dalla caratura generale dell'humus nel quale si va a pescare – che vanno bene sia a chi parla di “toghe rosse” sia a chi ne beatifica sempre e comunque l'operato.


Arriviamo così a quel sottotitolo d'apertura: il nemico del mio nemico non sempre è mio amico.
Perché la convergenza tra area di sinistra e magistratura in nome dell'anti-berlusconismo o quantomeno, come scritto in precedenza, il tentativo della c.d. sinistra di utilizzare la magistratura come salvagente (contro Berlusconi o per la salvaguardia della propria poltrona, poi, è dicotomia quasi impercettibile...) appare proprio come quel vecchio detto, quello per il quale si giustificano – per il raggiungimento di un determinato obiettivo – operazioni che non potrebbero essere giustificabili, come quella vecchia moda della sinistra extraparlamentare di creare cartelli elettorali praticamente con chiunque pur di tornare in Parlamento. Scrive Daniele Sepe su “Il Manifesto” del 6 giugno 2010:

La questione è stata posta qualche mese fa da alcuni interventi pubblicati su questo giornale nel dibattito sul «fenomeno» Saviano ma si è subito esaurita. Eppure il sasso lanciato non era di poco conto: «Ma cosa è successo alla sinistra radicale in Italia? Sono io che ho perso la bussola o sono altri che si sono dimenticati per strada un poco di concetti che ci accompagnavano nell’analisi della società? Ad esempio la magistratura, le forze dell’ordine, l’apparato repressivo dello stato sono oggi nostri alleati nella lotta contro il Capitale? Io ricordavo altre cose. Ma la legalità, le leggi cosa sono se non un sistema di regole che serve a proteggere il più forte dal più debole? Non sono promulgate dallo stesso stato che l’istante dopo accusiamo di essere classista, liberticida, guerrafondaio e repressivo? No, sembra da quello che sto leggendo oggi che sono io che mi sbaglio» (così Daniele Sepe sul manifesto il 6 giugno 2010).
Sarebbe a mio modo di vedere buon esercizio chiedersi poi di quale magistratura stiamo parlando: perché – tralasciando gli aspetti (conflitto di interessi?) per i quali Santoro va in onda proprio grazie ad una sentenza di quella magistratura che il 13 febbraio ci chiede di difendere – bisogna capire se quella che vorrebbero difendere è la magistratura tout court o solo quella “anti-berlusconiana”. In quest'ultimo caso, naturalmente si dovrebbe ammettere l'esistenza di una magistratura “buona” ed una “cattiva” e dunque, in ultima analisi, perorare la causa delle “toghe rosse” che tramite la legge fanno politica contro Berlusconi.

In ambedue i casi, comunque, non c'è niente da difendere.
Perché se difendiamo il secondo tipo di magistratura diventiamo un po' tutti più berlusconiani (e qui mi viene in mente il Gaber del “non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”). Se difendiamo la prima versione – cioè la magistratura in toto – allora dobbiamo difendere anche un tipo di magistratura che ha reso possibile, ad esempio, che si comminino ventiquattro anni di carcere ad una persona con ben venti anni di ritardo, giudicando così una persona completamente diversa da quella che venti anni fa avrebbe (il condizionale è d'obbligo alla luce delle ombre sul processo...) commesso il delitto. Qui si potrebbe aprire un discorso sul quando la giustizia sia davvero giustizia e quando si trasforma in vendetta, in particolare in un paese dal giustizialismo facile come negli ultimi anni sta diventando il nostro.
Oppure dovremmo difendere quella magistratura che commina due anni di carcere per un caso di omonimia o per un semplice scambio di persona.
Per non parlare di quella magistratura che, arbitro in terra del bene e del male (per citare Fabrizio De André) commina tre anni di carcere per un furto di 1,29 euro o due anni ed otto mesi ad un signore 74enne reo di aver trafugato “addirittura” un etto di prosciutto (da notare che – ad esempio – sono stati dati tre anni e sei mesi agli assassini di Federico Aldrovani e sei anni a Luigi Spaccarotella, che fece il tiro a segno da una parte all'altra dell'autostrada con la vita di Gabriele Sandri).
È questa, mi chiedo, la magistratura che ci viene detto di difendere?

Sappiamo che dagli anni Settanta in poi (con una fortissima intensificazione nell'ultimo periodo) abbiamo assistito ad una vera e propria mutazione antropologica della sinistra italiana, che oltre ad aggiungere quella deriva centrista nel nome e nel modus operandi è ormai affetta da quella malattia che risponde al nome di giustizialismo grazie alla quale a nessuno viene l'orticaria a pensare che uno dei leader della “nuova” sinistra è un ex pm, quando solo pochi decenni fa una cosa del genere non era nemmeno pensabile...Cosa è successo nel frattempo, io credo, non può essere giustificato solo con l'identificazione anti-berlusconiana.

Arriviamo così alle conclusioni.
Arriviamo, quindi, agli aspetti comici di tutta la vicenda.
È comico vedere l'affanno dell'opposizione parlamentare nella richiesta di dimissioni fatta al premier (con tanto di “petizione popolare” nei circoli...). È comico perché non si è mai visto chiedere le dimissioni ed attendere che l'eventuale dimissionario prenda baracca e burattini e, di sua sponte, si levi dalle scatole (evidentemente è una richiesta “democratica”).
Non si è mai visto per un semplice motivo: quando un uomo si avvicina al Potere e ne trae beneficio (discorso che quindi coinvolge non solo l'attuale premier ma tutte e tutti coloro che accettano questo tipo di sistema) perché mai dovrebbe privarsene? Dunque non è con il galateo e le “preghierine” che si otterrà l'effetto desiderato.
Certo, si potrebbe pensare, o forse si dovrebbe, alla giustezza o meno di un sistema in cui il Potere è gestito da un ristretto gruppo di persone che, per questo, si trova in una situazione gerarchicamente superiore rispetto alla maggior parte della popolazione (quindi che si parli di regimi totalitari o democrazie più o meno rappresentative poco importa). Ma questa, naturalmente, è un'altra storia...