Esclusi e ammassati: cronache dal campo rom di via Salone, Roma

 
Questi sono alcuni stralci del rapporto "Esclusi e ammassati", una ricerca sul c.d. "Piano nomadi" svolta dall'associazione "21 Luglio" con particolare riferimento al campo di via Salone a Roma dove, grazie alle politiche razziste del Comune - che si inseriscono comunque all'interno delle ben note derive razziste del paese intero - associate alla completa ignoranza su quello che è il mondo romanì si sta creando un piccolo laboratorio di (dis)integrazione sociale utile solo a legittimare repressione e ben noti stereotipi.

Credo sia interessante leggerlo non solo perché è una delle rare occasioni in cui - per usare uno dei più classici slogan - si dà "voce ai senza voce", ma anche perché possiamo renderci conto che quelle stesse istanze che rivendicano (diritti, casa, istruzione, lavoro...) sono esattamente le stesse istanze per le quali noi lottiamo e scendiamo in piazza tutti i giorni. Perché dobbiamo continuare a tenere ben presente che i doveri esistono laddove vengono concessi e tutelati anche i diritti,

Esclusi e ammassati
Rapporto di ricerca sulla condizione dei minori rom nel villaggio attrezzato di via di Salone a Roma



Quadro normativo e politico

[1]. Il 21 maggio 2008, il presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, in seguito agli attacchi avvenuti ai danni degli abitanti di alcuni insediamenti rom a Ponticelli (Napoli)2 , ha emanato il DPCM denominato Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia3. Il 30 maggio 2008, il presidente del Consiglio ha inoltre emanato tre ordinanze per l’attuazione del decreto nelle regioni di Lombardia, Lazio e Campania4 con cui i prefetti di Milano, Roma e Napoli sono stati nominati «Commissari delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza».


[2]. Secondo il decreto del 21 maggio 2008 lo stato di emergenza sarebbe dovuto durare fino al 31 maggio 2009. Il 28 maggio 2009 è stato emanato un altro decreto del presidente del Consiglio dei ministri che ha prorogato lo stato di emergenza al 31 dicembre 2010, estendendolo anche alle regioni del Piemonte e del Veneto5. Inoltre, il 1° giugno 2009 sono state emanate altre due ordinanze di attuazione del decreto di emergenza con cui i prefetti delle città di Torino e Venezia sono stati nominati «Commissari delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza» per le regioni di Piemonte e Veneto6.


[3]. Secondo il testo del provvedimento, la dichiarazione dello stato di emergenza si sarebbe resa necessaria per «l’estrema criticità determinatasi» a causa della «presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi che si sono stabilmente insediati nelle aree urbane [e] considerato che detti insediamenti, a causa della loro estrema precarietà, hanno determinato una situazione di grave allarme sociale, con possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e sicurezza per le popolazioni locali […] che mettono in serio pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica […]»7. Sempre secondo il testo della dichiarazione «[...] la predetta situazione, che coinvolge vari livelli di governo territoriale, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con gli strumenti previsti dalla normativa ordinaria»8.


[5]. Il primo intervento organizzato a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza è stato il censimento condotto nel corso del 2008 che ha coinvolto rom e sinti abitanti degli insediamenti formali e informali di Napoli, Roma e Milano. Le operazioni sono state svolte con l’impiego di forze di polizia e - limitatamente ai territori di Roma e Napoli - con la partecipazione della Croce Rossa. Tra gennaio e aprile del 2009 a Roma è stato svolto un secondo censimento nei campi formali e informali. Le operazioni, condotte dall’esercito e dalle forze di polizia, hanno portato a perquisizioni delle abitazioni e sgomberi forzati10.


[6]. I censimenti e la raccolta delle impronte digitali di alcuni abitanti dei campi hanno provocato critiche da parte del Parlamento europeo che nel luglio del 2008 ha adottato una risoluzione in merito al censimento su basi etniche dei rom in Italia in cui esprime apprensione riguardo all’affermazione contenuta nei decreti del governo «che la presenza di campi rom nei pressi di grandi città rappresenta di per sé una seria emergenza sociale, con ripercussioni sull’ordine pubblico e la sicurezza tali da giustificare la dichiarazione di stato di emergenza»11. Inoltre, una delegazione di eurodeputati ha visitato l’Italia nell’autunno 2008 per verificare le modalità di esecuzione del censimento.


[8]. Nel luglio 2008 anche l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) ha svolto una missione investigativa in Italia, visitando i campi rom a Milano, Roma e Napoli. Nel rapporto presentato nell’aprile 2009, l’OSCE ha rilevato che «le misure adottate dal governo, a partire dalla dichiarazione di stato di emergenza, [sono] sproporzionate in rapporto all’effettiva portata della minaccia alla sicurezza legata all’immigrazione e alla situazione degli insediamenti rom e sinti. Inoltre, la delegazione esprime preoccupazione per il fatto che le misure prese, che in effetti hanno per obiettivo una particolare comunità, cioè rom e sinti (altrimenti detti “nomadi”), insieme alle notizie spesso allarmiste e incendiarie diffuse dai media e alle dichiarazioni di esponenti politici noti e influenti, alimentino il pregiudizio anti-rom in tutti i settori della società e contribuiscano alla stigmatizzazione della comunità rom e sinti in Italia»14.


[9]. Il 18 febbraio 2009 è entrato in vigore il Regolamento per la gestione dei villaggi attrezzati per le comunità nomadi nella Regione Lazio, firmato dal prefetto-commissario. Queste sono alcune disposizioni previste dal nuovo regolamento: la vigilanza esterna e interna (sarà presente un presidio fisso) e il possibile uso di telecamere; l’identificazione delle persone che entrano nel campo, compresi i residenti; il rilascio anche ai minori di un tesserino di riconoscimento con fotografie e dati anagrafici; il divieto di ingresso e parcheggio per autoveicoli e motoveicoli; l’autorizzazione per la residenza avrà una durata massima di due anni prorogabile e verrà rilasciata dal Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma; le persone provenienti da paesi terzi dovranno avere il permesso di soggiorno o dovranno dimostrare la permanenza in Italia per un periodo superiore a 10 anni; il pagamento di un canone e delle utenze. Il regolamento stabilisce che il permesso di risiedere nel campo viene revocato a coloro che non rispettano i doveri sopra indicati, a coloro che abbandonano la struttura per più di 3 mesi senza autorizzazione, a coloro che rifiutano più volte l’inserimento lavorativo, a coloro che con il loro comportamento provocano «concrete minacce di turbamento alla sicura e civile convivenza».


[11]. Il Piano Nomadi che interessa la città di Roma è stato presentato dal prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, in qualità di commissario straordinario per l’emergenza nomadi nel Lazio e dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il 31 luglio 2009 presso il «villaggio attrezzato» di via di Salone18. Il ministero dell'Interno ha messo a disposizione la somma di 19,5 milioni di euro per la realizzazione del Piano19. Secondo il documento, questa è la situazione delle comunità di rom e sinti a Roma: presenza di oltre 80 insediamenti abusivi, di 14 campi tollerati e di 7 «villaggi autorizzati»; 2200 persone stimate negli insediamenti informali, 2736 in quelli «tollerati» e 2241 nei «villaggi attrezzati». Le persone appartenenti alle comunità rom e sinte sarebbero 7.177 negli oltre 100 insediamenti presenti nel territorio comunale. Il Piano prevede un totale di 13 «villaggi autorizzati» (nuovo villaggio A, nuovo villaggio B, Salone, Gordiani, Camping River, Candoni, Castel Romano, Cesarina, Lombroso, Ortolani, Salviati, La Barbuta, Struttura di transito) con la possibilità di accogliere un massimo di 6000 rom e sinti. Il documento sembra quindi indicare un limite alle presenze. Il Piano ha previsto entro giugno 2010 la chiusura definitiva di tre campi: Casilino 900, Tor de Cenci, La Martora, considerati abusivi. A settembre 2010 soltanto i campi di Casilino 900 e solo parzialmente La Martora risultano essere stati sgomberati.


[13]. Dal mese di novembre 2009 le autorità amministrative del Comune di Roma, in accordo con il prefetto-commissario, hanno avviato le procedure sia per il rilascio della tessera DAST (Documento Autorizzativo per lo Stazionamento Temporaneo) - necessaria agli abitanti per poter risiedere negli insediamenti autorizzati - sia per la richiesta di protezione internazionale da parte dei rom presenti nei campi Salone e Casilino 900, necessaria per regolarizzare la loro posizione giuridica al fine di rilasciare - sussistendone i presupposti - il permesso di soggiorno per motivi umanitari. I rilievi dattisloscopici e fotografici sono stati utilizzati in entrambe le procedure e hanno riguardato tutti gli abitanti dei due campi, non solo gli apolidi di fatto, ma anche coloro che erano già in possesso di un documento di identificazione e i rom cittadini italiani.


[16]. L’11 marzo 2010, l’organizzazione internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani, Amnesty International, ha presentato un rapporto dal titolo La risposta sbagliata, in cui viene analizzato criticamente il contenuto del Piano Nomadi. Secondo Amnesty International il Piano viola il diritto all’alloggio dei rom perché prevede sgomberi forzati, la distruzione degli insediamenti e il trasferimento delle persone in «appena 13 campi situati nella periferia romana. [...] Invece di offrire ai rom l’accesso a un alloggio adeguato, le autorità li stanno allontanando trasferendoli in campi lontani. Questo aumenta ulteriormente gli ostacoli e la discriminazione cui i rom vanno incontro nella ricerca di un lavoro regolare che consentirebbe loro di accedere al mercato immobiliare privato. [...] Il piano è chiamato “Piano Nomadi”. Ma la maggior parte dei rom che saranno toccati non è affatto nomade. Etichettandoli e trattandoli come nomadi, chi ha ideato il piano sta perpetuando gli stessi problemi che sostiene di affrontare. [...] Amnesty International ritiene che, nella sua formulazione attuale, il “Piano nomadi” non rispetti gli obblighi dell’Italia di garantire che non vi sia discriminazione nei confronti di gruppi specifici né segregazione in materia di alloggio».


Storia e composizione del «villaggio attrezzato» di via Salone27


[24]. Da quando il campo è stato attrezzato e fino al 2008, secondo le informazioni raccolte dall’Associazione 21 luglio, e tenendo conto del numero degli abitanti presenti in quel periodo, la viabilità di accesso all’area, i presidi antincendio, le vie di esodo erano compatibili con le norme in materia di gestione delle emergenze e del pericolo incendi. Dal 2008, al servizio di guardiania gestito da un'associazione del terzo settore, si è aggiunto quello di sorveglianza svolto da due società di vigilanza privata. Il personale armato si divide i compiti di sorveglianza, tramite i monitor collegati alle videocamere, e di controllo interno al campo con l’utilizzo della macchina di servizio.


[25]. Secondo quanto affermato dal rappresentante di un’associazione che gestisce un progetto all’interno dell’insediamento32, tra il 2006 e il 2008 era in vigore un regolamento sottoscritto dagli abitanti del campo, dalla polizia municipale e dalle associazioni. Inoltre, durante lo stesso periodo, era stato creato un “Comitato di gestione” di cui facevano parte anche due rappresentanti di ognuna delle comunità presenti nell’insediamento. Questa partecipazione diretta ha comportato il raggiungimento di alcuni risultati, giudicati positivamente dai rappresentanti delle associazioni: mantenimento di buone condizioni strutturali del campo, partecipazione attiva delle donne alla vita sociale, buone condizioni di vita dei minori presenti all’interno del «villaggio»33.


[26]. Dal 2006 al momento della stesura di questo rapporto il campo ha, tuttavia, visto aumentare in modo significativo il numero dei propri ospiti provenienti da altri insediamenti sgomberati. Nel 2008 gli ospiti accolti risultavano essere circa 700 - inclusi 210 minori in età scolare, tutti iscritti alla scuola dell’obbligo con una frequenza che raggiungeva circa il 96% degli alunni34. Nel novembre del 2009 sono state trasferite a via di Salone 10 famiglie provenienti dall’insediamento di via Dameta; nel febbraio 2010 circa 200 persone provenienti dal campo Casilino 900; nel luglio 2010 circa 50 persone (7 famiglie) sgomberate dal campo di via La Martora. A causa di questi trasferimenti i tre spazi dove si svolgevano le attività di socializzazione sono stati occupati dalle case-container messe a disposizione dei nuovi arrivati. In precedenza questi spazi venivano usati dalle associazioni e dai rom per l’organizzazione di feste: il Giurgevdan, il Natale e la celebrazione della giornata per i Diritti dell’Infanzia del 20 novembre. Al momento della stesura del rapporto gli abitanti risultano essere 97835, a cui bisogna aggiungere una stima del 10% in più di abitanti formalmente non autorizzati. Si arriva così a un numero di presenze pari a circa 1076 abitanti distribuiti in 198 case-container36.


[27]. Gli osservatori privilegiati intervistati hanno sottolineato come l’aumento della popolazione del campo e il progressivo degrado delle condizioni strutturali dell’insediamento stiano comportando seri problemi relativi alla situazione igienico-sanitaria e alla sicurezza degli abitanti: aumento di materiale da discarica non smaltito presente nei pressi dell’entrata del campo; apertura incontrollata di varchi nella recinzione; presenza di numerosi cani randagi; continue risse tra rom appartenenti alle diverse comunità; aumento di comportamenti devianti e criminalità (prostituzione, spaccio di droga). Inoltre, se prima dell’aumento progressivo degli abitanti, le famiglie pagavano un contributo compreso tra il 20 e il 30% del costo delle utenze (la parte rimanente veniva versata dal Comune di Roma), al momento dello svolgimento di questa ricerca il pagamento è stato sospeso per tutti gli abitanti. L’amministrazione comunale, infatti, ha concesso ai nuovi arrivati l’utilizzo gratuito delle utenze e, per evitare di creare disparità di trattamento e possibili dissidi tra nuovi e vecchi abitanti, ha disposto per tutti la sospensione del pagamento.


[28]. Durante lo svolgimento della ricerca, era in corso nel campo di via di Salone il rilascio da parte degli uffici comunali della tessera DAST, accompagnata da un documento denominato Atto di impegno e di una copia del Regolamento per la gestione dei villaggi attrezzati. I documenti sono stati ritirati da coloro i quali, secondo l’Ente attuatore37, avevano i requisiti necessari per ottenere l’autorizzazione alla permanenza all’interno del «villaggio attrezzato».




[29]. Ogni abitante, contestualmente all’ottenimento del DAST, ha dovuto firmare un documento con cui si è impegnato - «per se stesso e per i propri figli minori a carico» a «fronte del rilascio dell’Autorizzazione allo Stazionamento Temporaneo nel villaggio attrezzato di Salone per tutta la durata dello stazionamento»38 - a: «farsi carico degli oneri di sua spettanza quali il canone mensile stabilito per l’utilizzo della piazzola e dei servizi del campo, le utenze per i consumi familiari e l’importo della tassa rifiuti; effettuare la piccola manutenzione della piazzola assegnata comprensiva delle eventuali strutture connesse e di rispettare e mantenere efficienti le strutture comuni; assicurare costantemente l’assolvimento dell’obbligo scolastico per i minori in età scolare, oltre la regolare frequenza di corsi di formazione professionale, attività di studio o di occupazione lavorativa, per i minori non più soggetti agli obblighi scolastici; frequentare le attività di integrazione sociale previste dal locale Presidio Socio Educativo; collaborare alle attività di controllo del locale Presidio di Vigilanza; rispettare tutti gli obblighi previsti dal Disciplinare sul funzionamento dei Villaggi Attrezzati nel Comune di Roma39 [...]». Il Disciplinare è stato emanato dal Comune di Roma nel gennaio 2010 e «stabilisce, per le comunità nomadi presenti nel Comune di Roma le modalità di permanenza temporanea nei Villaggi Attrezzati [...]». Il documento indica i criteri generali di gestione demandando «l’attività di controllo e vigilanza [...] e la generale responsabilità della sicurezza del villaggio» a un «presidio di vigilanza» (composto da forze di polizia municipale oppure da «soggetti selezionati della vigilanza privata») che deve svolgere i seguenti compiti: «Assicurare il controllo sul rispetto delle norme del presente Regolamento in rapporto con il Gruppo di polizia municipale competente per il territorio; tenere aggiornato il registro delle presenze e verificare che le persone alloggiate siano autorizzate e munite di documento idoneo ad attestarne l’identità secondo le norme vigenti; provvedere, previa identificazione, ad annotare in un altro Registro le generalità delle persone che occasionalmente chiedono di accedere all’area di stazionamento indicando il nucleo familiare di riferimento, dopo averne verificato il consenso; accertare, attraverso il coordinatore, le violazioni alle norme dettate dal presente regolamento, comunicandolo al Dipartimento delle Politiche Sociali per gli eventuali provvedimenti». Il Disciplinare tra i criteri di gestione indica le attività sociali ed educative, promuove «l’elezione di un Comitato di Rappresentanza del Villaggio»40 e istituisce un Comitato Consultivo presieduto dall’assessore ai Servizi Sociali; stabilisce inoltre le regole di comportamento di «ciascun assegnatario»: «effettuare la piccola manutenzione della propria piazzola e delle strutture connesse; rispettare e mantenere efficienti le strutture e gli impianti comuni; provvedere al pagamento dei servizi forniti dall’Amministrazione; tenere pulita la piazzola assegnata collocando i rifiuti negli appositi contenitori; posizionare correttamente, all’interno degli spazi concessi, la roulotte o altro modulo abitativo; non creare intralcio o pericolo al transito di persone o veicoli nelle zone di libero passaggio; assicurare la frequenza dei minori a carico alla scuola dell’obbligo». Il documento elenca anche una serie di divieti: «Manomettere gli impianti idrici, elettrici, antincendio, nonché qualsiasi altra struttura a servizio dell’area; utilizzare le strutture o parti di esse per scopi che non siano quelli autorizzati; accedere, parcheggiare o semplicemente transitare con qualsiasi veicolo o motoveicolo all’interno del villaggio attrezzato, senza specifica autorizzazione del locale Presidio di Vigilanza; favorire l’ingresso nel villaggio anche se solo per visite, da parte di soggetti privi dei requisiti soggettivi di natura legale previsti per il rilascio del titolo autorizzativo [...]; ospitare e far dimorare persone non registrate e comunque non autorizzate; occupare spazi al di fuori della recinzione; arrecare disturbo al vicinato a mezzo di apparati radiotelevisivi o similari; accendere fuochi negli spazi comuni, ad eccezione di attrezzature idonee, tipo barbecue, a distanza di sicurezza dalle strutture abitative e dai servizi; detenere animali in violazione delle norme vigenti in materia, nonché realizzare recinti per il ricovero degli stessi»41.


Le condizioni strutturali del «villaggio attrezzato» di via Salone


[30]. Il campo, di forma trapezoidale, presenta un unico cancello di accesso, presidiato h24 da personale di vigilanza, e un corridoio centrale per la sola viabilità interna dei mezzi di servizio e di soccorso. Sui lati della strada sono disposti 198 moduli abitativi, costituiti da prefabbricati posizionati su cavalletti metallici. Tutta l’area risulta munita di recinzione metallica con altezza non inferiore a 2,5 metri, munita di circa 30 videocamere per la sorveglianza. Ciascuna unità abitativa è fornita di allaccio elettrico, idrico e pozzetto di scarico delle acque nere. Per le esigenze di cottura dei cibi si è constatata la presenza presso le singole unità abitative di una bombola di gas GPL esterna di 12 kg ed in alcuni casi anche di bracieri esterni. Lungo la strada interna sono collocate 6 colonne idranti che risultano prive di manichetta e lancia antincendio. Una colonna idrante è risultata priva di saracinesca di intercettazione e pertanto, non fuoriuscendo acqua, si presume che la rete stessa sia priva di alimentazione idrica o comunque l’alimentazione idrica è chiusa. Non sono stati rilevati estintori distribuiti all’interno dell’area. Non è stata rilevata la presenza di alcun tipo di segnaletica riguardo ai presidi antincendio all’interno del campo.


[32]. In base alle rilevazioni del personale tecnico dell’Associazione 21 luglio, la superficie totale dell’insediamento al netto dell’area antistante e della strada di servizio è di 23000 mq46. Il Regolamento regionale n. 18 stabilisce che le strutture (campeggi e «villaggi attrezzati» per la sosta temporanea) possono offrire una capacità ricettiva per un numero non superiore a 250 ospiti per ogni ettaro. Gli abitanti dovrebbero quindi essere al massimo 575, mentre secondo una stima basata sui rilevamenti effettuati dall’Associazione 21 luglio, al momento dello svolgimento della ricerca, gli abitanti del campo di via di Salone erano 1076 ovvero 501 persone in più, quasi il doppio della capacità di accoglienza stabilita dalle norme.


[33]. Per quanto riguarda la superficie delle abitazioni, lo stesso Regolamento prevede, con l’art. 5, che: i) le unità abitative denominate bungalow abbiano una superficie interna utile compresa fra 20 e 40 mq; ii) la piazzola attrezzata, dotata di reti tecnologiche per le utenze idriche, elettriche e fognarie, abbia una superficie minima non inferiore a 50 mq; iii) l’“equipaggio” sia un «gruppo costituito da un numero massimo di quattro persone che utilizzano e soggiornano in una singola piazzola»47. Da notare che, secondo l’art. 40 del Regolamento Edilizio del Comune di Roma48, la dimensione minima di un’abitazione per quattro persone deve essere di almeno 56 mq.


[34]. L’ambiguità sottesa alla possibilità di far riferimento ai diversi termini, bungalow o abitazione, contenuti nelle due norme, viene meno se si nota che il Regolamento regionale del 24 ottobre 2008 n. 18, chiarisce all’art. 2 che le strutture «ricettive all’aria aperta» sono adibite alla «sosta e soggiorno di turisti». I container presenti nell’insediamento di via di Salone sono invece da considerarsi maggiormente come abitazioni (che devono quindi essere di almeno 56 mq per 4 abitanti) in cui risiedere per un tempo lungo (ed evidentemente non da turisti) se si tiene conto del fatto che il Regolamento per la gestione dei villaggi attrezzati per le comunità nomadi nella Regione Lazio prevede la residenza nei campi attrezzati per almeno due anni, prorogabili49.


[36]. Il Regolamento regionale del 24 ottobre 2008 n. 18, inoltre, stabilisce che almeno il 30% della superficie della struttura ricettiva deve essere destinato a verde sportivo e naturalistico. Per quanto riguarda il campo di via di Salone la superficie destinata a questo scopo dovrebbe essere di 6900 mq di cui 1725 mq quella per le aree alberate e ombreggiate. Di fatto le aree a verde sportivo consistono in due spazi di circa 300 mq ciascuno, uno attrezzato con alcuni giochi per bambini e l’altro adibito a campo di calcio. Le aree alberate e ombreggiate consistono in 25 piccoli alberi per una superficie ombreggiata complessiva di circa 180 mq.


[37]. Durante le visite nel «villaggio attrezzato», compiute dai ricercatori dell’Associazione 21 luglio, è stata registrata una notevole difformità dai parametri edilizi e igienico-sanitari e una totale assenza delle disposizioni vigenti per il superamento delle barriere architettoniche50.


Carenze strutturali e condizioni di vita


[38]. Le condizioni strutturali dell’insediamento sono apparse in cattivo stato. Nel corso dei numerosi sopralluoghi l’impianto fognario era costantemente inutilizzabile per circa la metà degli abitanti e i rom (coloro che erano in grado di farlo) si adoperavano per tentare di sbloccarlo lamentandosi per la pericolosa situazione igienico-sanitaria anche dovuta alla presenza, nei pressi dell’entrata del campo, di una grande quantità di immondizia non smaltita:


[39]. «Qui il problema sono le fogne, si otturano e non possiamo stare vicino e poi così possono portare anche le malattie»51.


[44]. «L’acqua a volte non c’è o scorre pochissimo. Spesso si bloccano le fogne. Noi lo abbiamo detto e ci hanno comunicato che ognuno di noi deve agire per conto proprio, che è colpa nostra se si bloccano, ma non è vero. Il campo è abbandonato, non è gestito da nessuno. Prendono solo i soldi, come per i vigilanti. Potrebbero darci un campo attrezzato per noi del Casilino. Qui non è attrezzato, c’è solo la rete intorno»56.


[48]. «Tutto il campo non ha uno spazio giusto, non ci sono gli spazi dove stare insieme, anche per i bambini. Poi qui dentro ci sono tante razze: montenegrini, bosniaci, rumeni; tutte le razze. Questo è un problema perché non siamo mai andati d’accordo con loro. Non siamo cresciuti con loro, non li conosciamo, non conosciamo il loro carattere. Poi si picchiano, fanno di tutto»60.


[49]. «Qui alcune persone mettono la musica ad alto volume tutto il giorno e tutta la notte. Siamo gente diversa troppo mischiata e spesso ci sono delle risse. Qui c’è anche la prostituzione anche di ragazze giovani, soprattutto dei rumeni. Lo fanno sia per gli abitanti del campo sia per quelli fuori. Per loro [i rumeni] è normale, ma per noi [rom dalla ex-Jugoslavia] non è possibile, non lo ammettiamo. Non possiamo accettare la prostituzione o i giovani che usano droga, che fumano, come succede qui»61.


[51]. «Nel campo Salone lo spazio è troppo piccolo, non mi piace stare in questo campo. Al Casilino era diverso, lì c’era tutta la mia gente che conoscevo. Se mettevo l’acqua davanti nessuno mi diceva niente. Anche se mettevamo una piscina [gonfiabile] per i bambini, nessuno diceva niente. Se la mettiamo qui, la gente dice che la dobbiamo togliere, e non si sa nemmeno dove metterla»63.


[59]. «Io vorrei la cittadinanza. Con la cittadinanza io posso uscire normalmente dal campo e potrei vivere nelle case normali. Io ho paura di uscire ed essere fermato e portato al CIE [Centro Identificazione ed Espulsione]. Vivere qui è come vivere in gabbia. In Italia c’è più razzismo che negli altri paesi europei: in Spagna i rom vivono nelle case e tutti quelli nati lì hanno la cittadinanza. I nostri figli sono nati qui ma non sono italiani. È questo il problema: non hanno diritti. Vivere qui è come vivere in gabbia. Ora aspetto il permesso di soggiorno così posso essere più regolare. [...] Con un pezzo di carta la mia vita cambia molto. Noi speriamo con questo permesso di soggiorno [permesso per motivi umanitari] di avere un lavoro»71.


[60]. «Quello che ci serve è la cittadinanza. Non vogliamo essere fermati senza documenti. Siamo nati in Italia ma non siamo regolari. Siamo costretti a vivere in questo campo perché non abbiamo documenti»72.


[62]. «Io non avevo scelta o per strada o qui. Non c’è scelta. Adesso aspetto il permesso di soggiorno e poi provo ad affittare un appartamento. Voglio stare con i miei figli tranquillo. Ma se non hai il permesso di soggiorno cosa fai? Non puoi fare niente. Non posso affittarmi la casa se non ho i documenti in regola»74.


[64]. «Qui è come un campo di concentramento, non c’è il tatuaggio, ma c’è il tesserino per entrare e per uscire. Io mi chiedo se questo campo è a norma. I container saranno fatti secondo la legge? La legge permette di fare stare in questo modo tutta questa gente in uno spazio del genere? Bisogna fare queste cose secondo la legge. Io dico di aiutarci ad avere documenti regolari, e quindi un lavoro e la scuola per i bambini, poi per la casa ci penso io, la voglio poter pagare io»76.


Le case-container

[65]. Le abitazioni presenti nel «villaggio attrezzato» di via di Salone consistono in tre tipologie di case-container di 22,50, 24,30, e 27,60 mq composte da un soggiorno, due camere e un disimpegno/cucina77. Gli abitanti intervistati hanno riferito dei disagi provocati dalla esiguità degli spazi all’interno dei container. Spazi in cui vivono fino a 9 persone e in cui non è possibile svolgere le normali attività quotidiane (dormire, mangiare, studiare, ecc...) soprattutto per quanto riguarda la vita dei minori. Gli abitanti sgomberati dal Casilino 900 hanno sottolineato la differenza tra i container e le case abbattute nell’inverno del 2010, considerate comunque migliori per lo spazio e in generale per le condizioni di vita:


[77]. «Il container è troppo stretto e siamo in 8 lì dentro. Dobbiamo fare tutto fuori, non possiamo stare dentro. In estate è un forno e in inverno è un frigo perché è tutto di lamiera e plastica. [...] Mangiamo sempre fuori, ma d’inverno quando piove e fa freddo non possiamo. Ora sì perché è estate, ma dopo non possiamo mangiare tutti insieme. Dentro il container [i miei bambini] non possono stare, è troppo stretto, stanno fuori nel cortile, ma anche quello non è grande per tutti»89.


[78]. «Noi siamo tanti, siamo 7 e il container è piccolo per tutti. È troppo stretto vivere lì. Ora che è estate è troppo caldo e dentro non possiamo stare. I bambini stanno molto a scuola e studiano lì. Non hanno spazio per giocare dentro e quelli che studiano litigano con i più piccoli. Ora dormono male e alcuni dormono fuori [nel cortile] con noi. D'inverno alcuni dormono per terra. D’estate mangiamo fuori tutti insieme. D’inverno non possiamo stare tutti: è troppo stretto»90.


[79]. La mancanza di spazio impedisce anche lo svolgimento delle feste tradizionali che in condizioni normali prevederebbero l’uccisione e la preparazione rituale di un animale - pecora o maiale - da parte degli appartenenti alle diverse comunità presenti al campo insieme a una grande partecipazione di parenti e amici:


[81]. «Da quando sono venuto qua, non ho mai fatto una festa ancora. Dove la faccio qua? Neanche il Giurgevdan ho fatto qui. Non posso fare il fuoco qua, può prendere fuoco tutto quanto. Tutti i container sono vicini qui. Basta poco e va a fuoco tutto»92.


[83]. «Qui non possiamo fare nessuna festa nostra, non c’è spazio e non possiamo accendere il fuoco. È la nostra tradizione e la stiamo perdendo per colpa loro. I miei figli perderanno la loro cultura»94.


[87]. «Qui non c’è spazio. Io volevo fare una festa per ringraziare che mio figlio di 6 mesi è rimasto vivo dopo la rianimazione, ma non c’è lo spazio qui per fare questo»98.


[88]. «Fra una settimana farò l’anniversario dei 6 mesi per la morte di mio fratello. Preparo da mangiare e tutti sono invitati, anche quelli che non conosciamo. Questi anniversari si fanno dopo 7 giorni, poi dopo 6 mesi e dopo un anno e poi basta. Non ci entreremo tutti, alcuni staranno in piedi, altri seduti. Ci dobbiamo arrangiare e accontentare. Gli zingari sempre si devono accontentare, non è come per voi»99.


[89]. «Non possiamo uccidere gli animali qui. Non possiamo fare come le nostre tradizioni, dobbiamo uccidere la pecora fuori. Hanno ucciso le nostre tradizioni»100.

Il campo. Gli spazi per i minori e la privacy delle famiglie


[91]. «Qui al campo ci sono giochi per i bambini e un campetto di calcio, ma i vigilanti li cacciano quando vanno lì»101.


[92]. «Ogni tanto i bambini andavano a giocare nel campetto di calcio, ma litigano e poi possono esserci risse con le altre razze che sono al campo»102.


[93]. «Al Casilino c’era il parco intorno. Qui dove giocano? Qui non c’è niente. Ci sarebbe un posto dove i bambini piccoli possono giocare, ma la vigilanza non li fa entrare dentro, dicono che sporcano e rompono tutto»103.


[94]. «Quando ho portato i miei figli ai giochi qui al campo i vigilanti non ci hanno fatto entrare. I vigilanti e la polizia municipale non fanno usare il campetto da calcio e i giochi perché dicono che si rompono»104.


[96]. «Vicino l’entrata del campo ci sono dei giochi per bambini, ma i guardiani non ci fanno entrare. I guardiani ci sgridano e dicono che dobbiamo andare via e uscire dal quel posto. Allora con le persone che hanno portato dal Casilino giochiamo davanti le case dei nostri familiari»106.


[97]. «Prima c’era un tendone qua, uno spazio per tutti. Ma quando sono arrivati quelli dal Casilino, lo hanno tolto. Adesso quindi non c’è uno spazio dove possono giocare i ragazzini. Se poi vanno a parlare all’entrata e dove si gioca a pallone i guardiani li cacciano via. Dove ci sono i giochi per i più piccoli è solo per l’asilo nido»107.


[103]. La conformazione del campo e la vicinanza delle abitazioni tra loro, secondo alcune persone intervistate, non permettono un’adeguata tutela della riservatezza degli abitanti rom:


Il campo e la città


[109]. L’insediamento di via di Salone si trova in una posizione isolata nell’estrema periferia est di Roma, al di là del raccordo anulare. La distanza dai servizi essenziali, e in particolare dai servizi di trasposto che collegano il campo alla città, è considerevole: la farmacia più vicina dista 4,2 km, l’ospedale più vicino - il Sandro Pertini - 10,6 km, l’ufficio postale è a 2,7 km, il negozio di generi alimentari a 3,1 km; la fermata dell'autobus è a 1,5 km e per raggiungerla è necessario camminare lungo una strada impraticabile perché sprovvista di illuminazione, marciapiede e attraversamenti pedonali. La linea non è utilizzata dai residenti nel campo perché non ritenuta adeguata al raggiungimento dei servizi. Per raggiungere l'altra fermata è necessario percorrere 3 km. Solo nell’aprile del 2010 il funzionamento della stazione dei treni “Salone” lungo la linea ferroviaria regionale - a circa 300 m dal campo - è stata ripristinata dopo una chiusura durata 8 anni per apparenti «motivi di ordine pubblico dovuti al vicino campo nomadi»118. L’avvenimento è stato accompagnato da un episodio di discriminazione diretta: secondo quanto riferito dal sindacato autonomo Fast Ferrovie, la società Trenitalia avrebbe predisposto un modulo prestampato nel quale capotreni e controllori avrebbero dovuto segnalare e contare «eventuali passeggeri di etnia rom» in transito alla stazione di Salone, tra Roma Tiburtina e Avezzano119.


[110]. Secondo quanto osservato dall’Associazione 21 luglio, circa la metà degli abitanti del campo è priva di un mezzo di trasporto autonomo e questo ha favorito all’interno dell’insediamento la pratica della vendita “in nero” di beni di prima necessità (pane, acqua, sigarette, ecc…).


[112]. «Se vuoi andare verso la città, la fermata dell’autobus è a tre chilometri. Per ogni cosa è tutto difficile e lontano. Se non hai la macchina non puoi muoverti e la macchina costa per averla e mantenerla. [...] I miei bambini escono solo per andare a scuola e io non posso sempre portarli al parco sulla Tiburtina. Sono tanto tempo chiusi qui, che dobbiamo fare?»120.


[114]. «Qui intorno al campo non c’è niente. È tutto lontano, siamo isolati da tutto. Anche solo andare a fare la spesa diventa difficile. Qui alcune persone vendono pane, acqua; sono come dei negozi di alimentari. Ma è vietato e se vengono scoperti li possono mandare via. Ma fanno come un servizio perché non ci guadagnano tanto e anche per andare a comprare le cose da mangiare ci vuole tempo; tutto è lontano da qui. [...] Io ogni tanto porto i miei figli piccoli dove eravamo prima e facciamo dei giri lì, nel quartiere dove abitavamo prima. Qui è troppo difficile, non c’è niente, la città è lontana»122.


[115]. «Quando ero al Casilino io uscivo con i miei parenti e anche con i miei cugini da soli per il quartiere. Ci conoscevano tutti e avevamo amici italiani della nostra scuola. I miei cugini hanno anche le fidanzate che non sono rom e sono le compagne di classe che vivono nel quartiere Centocelle. Qui c’è troppa delinquenza e non c’è integrazione con la città»123.


[116]. «Il campo è isolato e lontano da tutto. Noi, i miei figli, non avremo alcun futuro se non ci integriamo e non interagiamo con gli italiani. E come facciamo così, con questa distanza? Forse vogliono spostare gli zingari sempre più lontani, nelle montagne. Se vuoi un'integrazione devi aiutare le persone ad avere le case. Se metti le persone nei lager, lontano da tutto e tutti che integrazione ci può essere così? Forse arriveranno a metterci al Polo Sud e forse anche i pinguini farebbero le manifestazioni contro di noi. [...] Qui intorno non c’è nulla per i bambini. Se posso, io li accompagno al Casilino. Quello è il mio punto di riferimento, il mio posto, dove conosco tutto e tutti. Qui non c’è niente»124.


[119]. «È tutto troppo lontano dal campo. A volte io e mio marito portiamo con noi la mia nipote di 12 anni per farla stare con i cugini fuori dal campo. Poi c’è anche un problema di sicurezza: non ci sono marciapiedi e camminare per strada è anche pericoloso. Il campo non è collegato bene con i mezzi e bisogna avere per forza la macchina»127.


[120]. «La distanza è un grande problema qui. Non ci sono mezzi, allora i ragazzi vanno a piedi fino a La Rustica dove c’è l’autobus. La prima fermata è a 3 chilometri da qui e i ragazzi vanno tutti a piedi. Il campo è troppo distante e i bambini e ragazzi non possono andare in città. Qui siamo lontani da tutto, non sappiamo dove andare. Io se non avessi la macchina non so come potrei fare la spesa, e alcuni qui non hanno la macchina. Se non hai la macchina, puoi morire di fame qui»128.


[122]. «Quando ero al Casilino andavo a piedi a fare la spesa. Qui per muovermi devo spendere 10 euro. Mio suocero è morto dopo un mese che è arrivato qui. Lui era attivo, qui si è messo paura e si è bloccato, non faceva più niente. I nostri anziani di solito sono persone attive, ma qui non si possono più muovere da soli, non sono più autonomi. [...] Prima andavamo in giro nel quartiere intorno al campo ci conoscevano tutti. C’era integrazione nel quartiere. Ci stavamo integrando, mio figlio aveva gli amici gagè anche la fidanzata gagè. Qui dove possono andare? La città è troppo lontana. Dentro i campi i bambini non avranno mai futuro. La mia preoccupazione è che loro impareranno qui la delinquenza. Ci vuole un inserimento con la casa e il lavoro per mantenere la propria famiglia. Bisognerebbe vivere fuori dai campi e senza associazioni. Dentro al campo, lontano dalla città e con la delinquenza non c’è integrazione. Se un bambino vede che con la delinquenza si guadagna bene perché andare a lavorare? Il campo significa delinquenza e non integrazione»130.


[123]. «Qui viviamo isolati. L’ambulanza ci mette almeno 30 minuti per arrivare quando succede qualcosa. [...] La città è lontana, da qui non si può andare facilmente. I bambini sono come rinchiusi qui»131.


Sicurezza


[125]. Secondo le rilevazioni effettuate dai tecnici dell’Associazione 21 luglio all’interno del «villaggio attrezzato» di via di Salone non sono presenti adeguate misure di sicurezza antincendio. Le colonne idranti per l’erogazione dell’acqua in caso di incendio sono risultate inutilizzabili per la chiusura dell’alimentazione idrica. Inoltre non sono stati rilevati estintori distribuiti all’interno dell’area e non è presente alcun tipo di segnaletica riguardo ai presidi antincendio all’interno del campo. Durante le visite effettuate è stata rilevata la presenza del cancello di accesso all’area largo circa 5 m e di un cancelletto di 1,20 m munito di maniglione antipanico sulla strada laterale interna. La capacità di esodo, sulla base di quanto rilevato e nell’ipotesi che il cancello sia completamente aperto, è di 500 persone. Le criticità riscontrate in merito alla gestione delle emergenze e del pericolo di incendio sono: la presenza di materiale facilmente infiammabile quali masserizie varie accatastate all’esterno delle unità abitative e bombole di gas; la breve distanza tra i moduli abitativi stessi; l’uso di bracieri esterni per la cottura dei cibi che possono creare situazioni estremamente pericolose e di difficile gestione se gli interventi non sono tempestivi e non sono presenti i presidi antincendio richiesti (idranti ed estintori); la presenza di erbe secche nel campo incolto confinante con parte dell’area dell'insediamento che può essere fonte di pericolo in caso si incendio delle stesse, con il rischio di una veloce estensione dell’incendio anche all’area interna.


[126]. La grande maggioranza dei rom intervistati ha riferito di non aver mai partecipato allo svolgimento di attività formative e a esercitazioni antincendio e ha espresso il proprio timore circa la pericolosità, per l’incolumità di tutti gli abitanti, di eventuali roghi nelle abitazioni a causa della estrema vicinanza dei container fra loro e dell’assenza di vie di uscita. La recinzione metallica che circonda il campo presenta numerosi varchi incustoditi che permettono l’ingresso di persone che, secondo il regolamento prefettizio, non dovrebbero essere ammesse. È stata infatti riscontrata la presenza di abitanti (almeno il 10% dei residenti autorizzati) formalmente non in regola con l’assegnazione dei container e che sfugge ai controlli quotidiani. Ciò comporta periodici sgomberi effettuati dalla polizia municipale all’interno dell’insediamento133. Il «villaggio», come già scritto, è sorvegliato h24 da vigilanti privati armati che operano con l’ausilio di circa 30 videocamere collocate lungo tutto il perimetro del campo. Durante le interviste, gli abitanti hanno riportato l’inefficacia di queste azioni di controllo che a qualcuno sono invece apparse inutilmente intimidatorie e pericolose per gli stessi residenti134. Altri elementi problematici sottolineati dalle persone intervistate relativi alla loro sicurezza e soprattutto all’incolumità dei minori, sono stati: la presenza di numerosi cani randagi, la convivenza forzata con altre comunità considerate pericolose e coinvolte in attività illegali, la mancata applicazione del regolamento da parte del personale preposto:


[128]. «I vigilanti se ne stanno sempre chiusi nel loro container. Si fanno gli affari loro. Anche quando ci sono le risse non intervengono, si fanno gli affari loro perché hanno paura di intervenire e farsi male per noi. È anche pericoloso perché hanno la pistola. E se la perdono? E se qualcuno gliela prende e la usa? Io penso che le telecamere servono a controllare quello che facciamo: se qualcuno uccide un altro almeno così sapranno chi è. Dicono che è per la sicurezza. Registrano la nostra vita. [...] Qui è pericoloso per gli incendi. I container, le persone sono tutte troppo vicine. Se succede qualcosa in un container, poi va a fuoco tutto. Le persone non sanno neanche dove scappare: devono scavalcare la rete intorno? Adesso hanno anche chiuso l’acqua di emergenza, perché spesso veniva usata. [...] Da quando siamo venuti qui dal Casilino 900 non ci hanno detto cosa dobbiamo fare in caso di incendio e non ci hanno dato un estintore»136.


[131]. «Ora le autorità vogliono chiudere tutto il perimetro della rete. Hanno già chiuso tutto altre volte, ma la gente riapre di nuovo altre entrate. Qui non è sicuro per niente. Io ho chiesto al V Dipartimento che ci sia un'uscita di emergenza in caso di incendio, ma mi hanno detto che deve essere tutto chiuso. Io ho paura che ci possa essere un incendio. Ci sono anche tanti cani randagi, ci mordono e abbiamo paura. Io sono preoccupato per i miei figli. Hanno già morso mia figlia, la potevano sbranare. Noi lo abbiamo detto ai vigili e loro hanno detto: ‘Ammazzateli voi i cani’. Io ho l’estintore a casa, ma l’ho dovuto prendere io, per la mia sicurezza. Da quando sono qui, non abbiamo fatto formazione o esercitazioni antincendio. Hanno anche staccato l’acqua di emergenza in caso di incendio. Ho paura delle risse, qui si litiga troppo, io dormo 2 ore ogni notte. Ho paura a lasciare da soli i miei figli qui, non lo faccio mai. I miei figli non hanno futuro qui. [...] Siamo pieni di telecamere e ci sono i vigilanti, ma non servono a niente. Qui se succede qualcosa non gliene frega niente a nessuno. I vigilanti non rispettano il regolamento e sono corrotti. La musica è sempre ad alto volume e secondo il regolamento non si potrebbe, ma nessuno viene a fare rispettare il regolamento. I vigilanti dicono: ‘Che ci importa a noi?’»139.


[134]. «Non mi fido a lasciare mia nipote girare da sola [...]. Hanno fatto del male a una signora al campo qualche giorno fa. È successo che una signora stava dormendo ed è stata aggredita e picchiata. Parlano di controllo per la sicurezza degli abitanti del campo, ma non è vero nulla, non funziona»142.


[136]. «Non siamo sicuri qui. Io ho paura dei rumeni e degli altri abitanti che non conosciamo. Ho paura per i miei bambini, che qualcuno li prende e fa del male a loro. [...] Io non ho capito a che servono la vigilanza e le telecamere. Qui non vengono i vigilanti, viene la polizia a parlarti. E poi i vigili vengono ogni due, tre giorni a controllare. Qualche giorno fa i vigili sono venuti e hanno bussato alla mia porta alle 3 del mattino per entrare senza chiedere il permesso e senza mostrare un ordine scritto. I bambini si sono messi paura e piangevano. I vigili hanno detto che era un controllo dei documenti e poi hanno portato altre persone che abitano qui al campo in Questura. Loro sanno tutto di me, perché mi chiedono ogni volta il permesso di soggiorno?»144.


[138]. «Ho paura degli incendi. Siamo tutti troppo vicini e ammassati. Se succede un incendio da dove usciamo? Al Casilino le case erano tutte lontane fra loro e se succedeva un incendio avevamo il tempo di vedere e uscire. Qui siamo troppo vicini: se brucia uno, bruciamo tutti. C’è troppa plastica e lamiera. [...] Ci sono la vigilanza e le telecamere per controllarci. Ma a me non mi frega nulla, io non rubo. Se mi controllano... Tanto io non faccio nulla di male. È come mi dicevano i miei nonni di quei posti durante la guerra, i campi di concentramento. Siamo qui tutti ammassati, gente diversa, di diversi posti e controllati dalla sorveglianza. Ci sono ladri e onesti»146.


[141]. «Qui al campo ho paura a rispondere agli insulti, perché poi prendi le botte dagli altri ragazzi. Qui è pericoloso: gli altri ci dicono che siamo gli intrusi del Casilino, che dobbiamo andare via e ci minacciano rompendo le bottiglie. Io non giro mai solo e sto sempre a casa»149.


Scuola e formazione


[142]. Nell'anno scolastico 2009/2010 i 265 bambini in età scolare residenti al campo sono stati iscritti negli istituti presenti nelle zone di Tor Bella Monaca, La Rustica, Torre Angela, Ponte di Nona dove vengono accompagnati dagli operatori dall’organizzazione che gestisce il “Servizio di scolarizzazione dei minori appartenenti alla comunità rom del villaggio attrezzato di via di Salone”150.


[143]. Le problematiche relative alla frequenza scolastica dei bambini, rilevate nel corso della ricerca, hanno riguardato soprattutto le famiglie trasferite dal Casilino 900 durante l'anno scolastico 2009/2010. I genitori, mentre ancora abitavano nel vecchio insediamento, hanno interrotto la frequenza scolastica dei figli per un periodo tra 20 giorni e un mese e mezzo per il timore dell’imminente sgombero. Inoltre i bambini, giunti al campo di via di Salone, sono stati accompagnati dall’organizzazione che si occupa della scolarizzazione negli istituti che frequentavano prima del trasferimento con l’intento di non interrompere la continuità didattica. La grande distanza dal nuovo campo e la necessità di accompagnare anche gli altri bambini nei diversi istituti ha comportato quotidiani ritardi degli alunni - anche di due ore dall’inizio delle lezioni - che hanno causato la bocciatura di un bambino:


[146]. «Durante lo sgombero del Casilino 900 hanno dovuto interrompere per 20 giorni. Non si sapeva quando ci sarebbe stato lo sgombero e i bambini del campo non andavano più a scuola, non arrivavano neanche i pullman per accompagnarli. Ogni giorno pensavamo di dover essere sgomberati e i bambini rimanevano a casa. Io ho dovuto portare un certificato medico perché hanno interrotto la scuola»153.
[147]. «Quando ero al Casilino andavo alla scuola media lì vicino, ma per lo sgombero ho interrotto per un mese e mezzo. Anche ora da Salone vado in quella scuola. Io in quella scuola quando ero al Casilino qualche volta andavo da sola e qualche volta con il pullman. Quando andavo a piedi ci mettevo 5 o 10 minuti. Anche ora che sono a Salone mi accompagnano con il pullman. Parto alle 7.30 e arrivo alle 9.00 a scuola. Però prima, quando ero al Casilino era meglio, conoscevo tutte le strade, era più bello»154.


[149]. «I miei figli vanno a scuola sempre con regolarità. Dopo che ci hanno spostato dal Casilino arrivano sempre in ritardo perché il pullman che parte da qui deve fare tutto il giro e accompagnare gli altri bambini che abitano qui e poi arrivare alle scuole al Casilino. I miei figli entravano sempre alla terza ora! Ci mettono tanto ad arrivare. Mio figlio che andava in prima media è stato bocciato perché arrivava sempre in ritardo. Per venti giorni si è bloccata la scuola quando eravamo al Casilino e aspettavamo lo sgombero. Ogni giorno ci dicevano che dovevamo essere sgomberati e i bambini non andavano a scuola, proprio non li accompagnavano, era tutto fermo. Il prossimo anno forse li iscrivono in scuole vicine al campo, ma io spero che possano andare ancora nelle loro scuole. Due miei figli hanno vinto la borsa di studio. Io spero per l’integrazione che li iscrivono nelle loro scuole vicino al Casilino. Lì sono più brave le maestre, li aiutano e hanno gli amici del quartiere che li conoscono e li aiutano»156.


[150]. Per quanto riguarda l'ambito formativo-lavorativo, nel corso del 2010, quattro abitanti del campo di via di Salone sono stati inseriti nel progetto per la raccolta dei rifiuti ingombranti “Ricicla Casa” realizzato in collaborazione con l’AMA, l’azienda di igiene urbana che opera nel territorio del comune di Roma. Il progetto ha previsto una fase di formazione tra il 13 e il 30 luglio 2010 e una seconda fase iniziata il 13 settembre 2010 e che avrà una durata di 6 mesi che consiste in un percorso professionalizzante che vedrà i partecipanti impegnati sul campo presso l’isola ecologica di via Collatina a Roma. Nel corso del 2009 è stato realizzato un progetto che ha visto il coinvolgimento di 11 cittadini rom abitanti del campo di via di Salone che hanno frequentato un percorso formativo di 600 ore al termine del quale hanno conseguito la qualifica professionale di manutentori e installatori di impianti fotovoltaici157.


Salute


[151]. Secondo quanto affermato dal coordinatore dell’area sanitaria di un’organizzazione che interviene nel campo, le patologie più ricorrenti che riguardano i minori sono quelle che vengono definite «da ghetto»158: problemi respiratori dovuti alle abitazioni i cui ambienti sono molto caldi nei mesi estivi e freddi in quelli invernali; dermatiti, pediculosi, verruche, scabbia. Per quanto riguarda gli adulti, le altre patologie più diffuse sono l’ipertensione e le malattie dell’apparato cardiovascolare legate a tabagismo, alcolismo, tossicodipendenza e cattiva alimentazione.


[152]. La salute degli abitanti del campo, e soprattutto quella dei bambini, è messa in serio pericolo dalla presenza del vicino inceneritore per rifiuti tossici e nocivi che si trova al numero civico 245 di via di Salone159. L’impianto ha subito tra il 1999 e il 2004 una serie di guasti: la rottura di un serbatoio di acido cloridrico, lo scoppio di un forno, un principio di incendio.


[155]. Dall’analisi delle interviste raccolte nel corso della ricerca emerge che spesso i bambini dell'insediamento mostrano disagi psicologici dovuti al contesto in cui vivono. La presenza di queste problematiche è stata confermata dal coordinatore dall’area sanitaria per il progetto Gestione campi attrezzati del V dipartimento del Comune di Roma: «C’è una forte correlazione tra lo sviluppo del bambino e l’ambiente in cui vive o è costretto a vivere. I bambini del campo di via di Salone sono inevitabilmente più vulnerabili rispetto ad altri bambini che crescono e vivono in ambienti sani e ricchi di occasioni e stimoli socio-culturali. I disturbi di tipo psicologico sono tra le patologie più diffuse tra i bambini che vivono in un campo nomadi come quello del campo di via di Salone. Questo tipo di disturbo è meno evidente rispetto a un disturbo fisico, ma è spesso più insidioso e più pericoloso per la crescita della persona. [...] Gli studi di ricerca hanno infatti evidenziato che le deprivazioni ambientali che i bambini devono affrontare in contesti simili a quelli di un campo nomadi producono un’alta percentuale di disturbi d’ansia, fobie, disturbi del sonno, dell’attenzione e iperattività, ritardi nell’apprendimento. Questi disturbi sono gravi e invalidanti per i bambini, impediscono infatti un pieno inserimento nella realtà sociale e creano difficoltà gravi nella sfera relazionale. Inoltre sono predittivi di disturbi più gravi nell’età adolescenziale e adulta. [...] Un ambiente degradato e deprivato non consente la crescita piena, libera e consapevole della persona perché quello di via di Salone è un ambiente dove il tempo è fermo, dove tutto è sempre uguale a se stesso e dove non si può coltivare nessuna ambizione e nessuna speranza. Non c’è realmente la percezione del tempo, non c’è tempo evolutivo, quindi non c’è possibilità reale di crescita. [...] Il disordine sociale del campo corrisponde anche a una mancanza di regole accettate e condivise. Vivere nel disordine affettivo e sociale, crescere nella deprivazione e senza possibilità di istruzione adeguata, essere costretti a diventare troppo presto adulti, costringe i bambini rom a vivere sotto regole contraddittorie che spesso subiscono e non capiscono e tutto ciò porta inevitabilmente a una difficoltà nel riconoscimento dell’autorità e nell’interiorizzazione del super-io e della coscienza morale»164


[161]. «Il mio nipote di 5 anni è sempre triste perché non ha spazio per stare a casa. Come fanno a stare bene così? I mie bambini qui sono tristi e nervosi e piangono sempre. Non hanno spazi per fare niente. [...] Sono tristi, hanno bisogno di stare più integrati con gli altri in città. Qui stanno male così»170.


[163]. «La bambina è più triste e depressa da quando vive nel campo Salone. È tutto troppo stretto, mancano gli spazi. Dal Casilino sono venuti anche minori con problemi mentali che adesso a Salone stanno peggio perché sono chiusi al campo e proprio non possono uscire. Prima al campo Casilino la bambina si muoveva e conosceva tutti: c’era una protezione e non poteva succedere niente di importante. Ma adesso ha sempre paura: per una ragazzina che sta crescendo e diventa adolescente i pericoli a Salone sono tanti»172.


[169]. Gli altri elementi di criticità riportati dagli abitanti del campo di via di Salone, sono stati: l’eccessiva distanza dell’ospedale più vicino che si trova a più di 10 km dall’insediamento; l’assenza di un presidio sanitario fisso; il fatto che spesso le ambulanze giungano al campo molto tempo dopo aver effettuato la chiamata per un’emergenza. In alcuni casi gli intervistati hanno affermato che il personale sanitario del pronto soccorso si è rifiutato di raggiungere l’insediamento:


[170]. «Il lunedì viene un dottore al campo per tutti i bambini. I medici dovrebbero stare ogni giorno qui con l’ambulanza sempre qui»178.


[171]. «Prima avevamo il dottore nostro a Centocelle. Qui ce n’è uno che viene una volta alla settimana, ma io porto i miei figli sempre da quello di prima. Qui a volte non arrivano nemmeno le ambulanze. Qualche giorno fa, 10 giorni fa, c’è stata una rissa e una persona era ferita e l’ambulanza è venuta a prenderlo dopo due ore. C’erano i guardiani e guardavano solo come era la rissa, hanno visto che c’era uno ferito e non hanno fatto nulla. Se qui succede qualcosa di grave, e succede qualcosa a un ragazzino, l’ambulanza viene? Qua dovevano mettere un pronto soccorso fisso qui. Ci hanno messo come cani qua dentro, e invece dovrebbe esserci un medico e un’ambulanza fissa qui dentro. Con tutte queste persone, saremo 1000 qui, ci vuole un pronto soccorso, un’ambulanza che sta sempre qui»179.


[174]. «Noi abbiamo un figlio di 26 anni handicappato. Lui ha un grave ritardo mentale, così hanno detto i dottori. Non riesce mai a dormire e stare tranquillo, a volte ha delle crisi di nervi. Noi dobbiamo sempre portarlo in giro per le sue cure e per le visite di controllo. Dobbiamo andare in ospedali diversi e lontani, Forlanini, S. Camillo, Umberto I, ma da qui non possiamo. Non abbiamo la macchina e dobbiamo camminare per 3 chilometri a piedi per prendere l’autobus e mio figlio non può: ha paura di tutto, ha paura delle macchine e si ferma, urla, gli viene un attacco di nervi. Lui è grande e forte ora e noi non ce la facciamo a trattenerlo e a calmarlo fino alla fermata dell’autobus. È tutto lontano da qui e per fare una sola visita ci mettiamo un giorno intero con lui che sta così male. Io sono triste e mi dispiace per mio figlio. Il servizio sociale conosce la nostra situazione ma non ha fatto niente per lui. Noi abbiamo chiesto di cambiare campo e di andare a quello di Candoni per migliorare le cose per mio figlio. Lì ci sono gli autobus vicini per poter andare a far curare mio figlio. Io non voglio andare via da qui per me e mio marito, ma per il bene di mio figlio. È per lui che voglio andare via non per me che sono grande. Lui ha bisogno di noi genitori, lui non mangia se non vede mangiare noi genitori»182.


[177]. «Prima, quando eravamo al Casilino, il medico era vicino, andavamo a piedi o con un autobus. Io non ho la macchina e non posso più portare i miei figli dal medico al Casilino. Qui dovrebbe essere sempre presente un pediatra, dovrebbe essere fisso al campo; e dovrebbe esserci anche un’ambulanza e un medico. Il medico viene qui solo una volta a settimana. La ASL dovrebbe fare dei controlli per le malattie infettive, per le malattie sessuali. Dovrebbero fare i controlli sanitari perché c’è troppa gente ammassata, si rischia un’epidemia»185.


[178]. «Noi non abbiamo il tesserino, ma quando eravamo al Casilino i dottori ci facevano lo stesso le visite in ospedale perché ci conoscevano. Io, da quando sono qui sono stata male già due volte e ho chiamato l’ambulanza. Una volta ci ha messo un’ora per arrivare e l’altra volta 30 minuti. Se uno si sente male può morire aspettando tutto questo tempo. Da qui io non posso neanche andare a fare le visite di controllo. Qui [al campo] c’è un dottore, ma se non hai il tesserino non ti visita. Al Casilino, nel posto dove andavamo, i dottori ci conoscevano tutti e ci facevano le visite anche senza tesserini»186.

Note