Pinochet è vivo e lotta insieme a noi. Firmato: il governo cileno.

460_0___30_0_0_0_0_0_marcha_mapuche «Noi prigionieri politici mapuche, attualmente reclusi nel Penal el Manzano di Concepción, informiamo il Popolo Mapuche e l'opinione pubblica Nazionale ed Internazionale quanto segue:
Che a partire da oggi, lunedì 12 luglio 2010, diamo inizio ad uno sciopero della fame fino alle ultime conseguenze.
Le ragioni di questa drastica ed estrema determinazione obbediscono ad una serie di situazioni che stiamo denunciando di fronte agli ingiusti processi politico-giudiziari dei quali siamo oggetto e che contravvengono a tutti i diritti che ci appartengono come Mapuches e come prigionieri politici.
Solo a mo' di sintesi abbiamo denunciato di esser oggetto di montature mediatiche condotte dal Ministerio Publico che attraverso dei procuratori anti-mapuche e gruppi corrotti di poliziotti hanno la pretesa di imporre. E' così che lo Stato del Cile, a difesa del padronato impegnato nel conflitto con il nostro Popolo e con l'ansia di perseguitare ed annientare il Movimento Mapuche, ha criminalizzato la giusta lotta delle comunità, arrestando e accanendosi contro di noi, imponendo severe leggi dittatoriali e fasciste contro onesti lottatori sociali.
Inoltre, denunciamo che esiste una forte e grottesca campagna anti-Mapuche orchestrata dalla destra economica e politica di questo Paese, che utilizza i suoi mezzi di comunicazione, i procuratori ed i politici affini con l'obiettivo di cercare delle condanne anticipate nell'opinione pubblica.
Pertanto, dichiariamo che sospenderemo lo sciopero solo se verranno esaudite le giuste richieste che sono:
1.- La Non applicazione della legge antiterrorista in cause Mapuche; che significa la Fine della legge antiterrorista della legislazione Pinochetista.
2.- No al processo davanti alla Giustizia Militare in cause Mapuche; Che significa la Fine della Giustizia Militare in Cile.
3.-Libertà per tutti i prigionieri politici Mapuche detenuti nelle diverse carceri dello Stato del Cile. Che significa:
- Esigere il diritto ad un processo dovuto o processo giusto.
- Fine alle montature politico-giudiziarie che implicano la fine dei processi esterni e viziati, la non utilizzazione dei testimoni a volto coperto e la fine delle pratiche che violano i diritti umani di base come l'estorsione, le minacce, le torture sia fisiche che psicologiche e le degradanti condizioni nei centri di reclusione.

4.- Demilitarizzazione delle zone Mapuche in cui le comunità rivendicano diritti politici e territoriali.
Infine, rivolgiamo un appello al Nostro Popolo a mobilitarsi, a protestare ed a lottare per quella che consideriamo una causa giusta. Ed alle altre organizzazioni sociali e politiche a stare all'erta.
Per Territorio e Autonomia per il Popolo Nazione Mapuche.
“Weuwain”
Presos Políticos Mapuche – Concepción
»

Questo è il testo del comunicato con cui i circa quaranta prigionieri politici mapuches tentano non solo di “alzare il livello dello scontro” ma, principalmente, tentano di alzare il livello di attenzione – sia locale che a livello internazionale – sulla loro causa.

  • La situazione
Dal 12 luglio i prigionieri politici detenuti nelle carceri di Concepción, Temuco, Valdivia, Angol e Lebu hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro l’applicazione della c.d. “ley antiterrorismo” (legge 18.314) derivante dal regime di Augusto Pinochet e mai modificata (neanche da quella Michelle Bachelet che pure di torture e dittature dovrebbe intendersene, essendo stata perseguitata proprio dal regime militare che uccise Salvador Allende) e che viene applicata solo nei processi in cui alla sbarra ci sono esponenti di questo popolo che lottava per la propria terra già ai tempi del colonialismo spagnolo.
È emblematica in tal senso la storia di Patricia Troncoso Robles, ormai in sciopero della fame da oltre 100 giorni e che ha scontato una pena di dieci anni più un giorno per l’incendio alle piantagioni del fondo Poluco-Pidenco dell’impresa Forestal Mininco. Se il Cile non continuasse ad essere sotto stretto regime fascista (d’altronde Sebastian Piñera – attuale presidente – si definisce post-pinochettista non a caso…) Patricia potrebbe tornare ad essere una donna libera. E come lei molte e molti altri Mapuche, caduti sotto la scure della “carcerazione preventiva”, prevista dalla ley 18.314 per ben due anni senza che alle ed ai detenuti venga formulata incriminazione alcuna. Legge che, qualora non bastasse, prevede tra le altre cose l’impossibilità degli avvocati della difesa di prendere visione degli atti di indagine (cosa che naturalmente falsa tutto l’apparato giudiziario…) vietando al contempo di presentare testimoni sotto protezione. Tradotto: nessun testimone a favore dei Mapuche, a meno che non si voglia fare la fine di Jaime Mendoza Collio, 24enne assassinato con un proiettile alla schiena da parte di Walter Ramirez Espinoza, professione carabiniere.
Ad un mese dall’inizio dello sciopero – coperto a livello locale ed internazionale dal più completo silenzio di quegli organi di stampa che si definiscono “democratici” – destano particolari preoccupazioni le condizioni di Andrés Ignacio Gutiérrez Coña (detenuto presso il carcere di massima sicurezza Nueva Imperial di Valdivia), tanto che l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha chiesto l’intervento della Croce Rossa Internazionale, che spero si muova in maniera differente dal modus operandi che di solito usa nei Centri di Identificazione ed Espulsione italiani.
Ed a proposito di Italia, anche la nostra bandiera è tinta di sangue mapuche (oltre a quello iracheno, afghano e di tutte le altre zone in cui sono presenti i nostri “contingenti di pace”, ma questa è un’altra storia…) grazie a Luciano Benetton che, dietro la facciata di pubblicità “altermondiste” cela la sua anima global-capitalista depredando le terre dei Mapuche per i suoi allevamenti di ovini e bovini.
Le organizzazioni internazionali, sempre pronte ad iniziare guerre laddove ve ne sia la necessità (per le multinazionali che compongono ed eleggono tali organizzazioni) si limitano solo ad una presa di posizione blanda sulla faccenda. Come direbbe il buon Giorgio Gaber: «gli dispiace come a uno normale».