La Malaunità italiana. Capitolo 1: Il lager di Fenestrelle

«Questa canzone vuole essere la denuncia a quelle verità nascoste che la storia del risorgimento italiano ha sempre ignorato e che ancora oggi nega. Per celebrare tutti i "dimenticati", dedico questa canzone a tutte le vittime, a tutti gli eroi e a tutti i martiri caduti in battaglia, nei campi di concentramento e nelle loro case durante la difesa della propria patria e della propria terra: l'antico Regno delle Due Sicilie. Una preghiera in onore, in memoria e per la gloria di tutti i "briganti", di tutti gli emigranti e di circa un milione di morti...» scrive al termine della canzone “Malaunità” [qui: http://www.youtube.com/watch?v=aIFzaKrd-pI per i lettori da Facebook e ReportOnLine] singolo di lancio di un lavoro – uscita prevista: ottobre 2010 – dedicato ai martiri del Regno delle Due Sicilie Eddy Napoli, probabilmente il volto mediaticamente più noto (è infatti uno degli artisti di riferimento della canzone napoletana e per anni voce solista dell’Orchestra Italiana di Renzo Arbore) della battaglia per ristabilire la Verità sull’Unità d’Italia.
Ho sempre creduto che la musica sia in molti casi veicolo di Cultura migliore rispetto ai libri che tutti noi abbiamo avuto sottomano durante gli anni delle scuole dell’obbligo e – per chi le frequenta – durante i corsi universitari per un semplice motivo: i libri di Storia sono scritti dai vincitori, per cui tutto quello che abbiamo studiato e su cui siamo stati interrogati è spesso una pura invenzione necessaria a creare lo splendore di figure che altrimenti ben altra fama avrebbero.
0 Potete scaricare la canzone da qui: www.musicanapoletana.com/eddynapoli_malaunita.zip. Viene lasciata in free download perché l’intento dichiarato è quello di fare opera di divulgazione sull’imbroglio con cui da 150 anni ci definiamo “italiani”. Già, ma di cosa stiamo parlando? La storia ufficiale ci ha sempre detto che l’annessione del Regno delle Due Sicilie fu attuata come opera caritatevole dei piemontesi per evitare il tracollo del regno borbonico. Ma è davvero così?
Che il Regno delle Due Sicilie non fosse un paradiso è affermazione banale (parliamo pur sempre di uno stato gerarchizzato, per cui fallace per definizione), ma come si può affermare che il Regno era vicino alla bancarotta quando, durante la conferenza internazionale di Parigi del 1856, risultò terzo paese al mondo per sviluppo industriale dopo Inghilterra (prima) e Francia (seconda)? Come si può credere alla favoletta del Piemonte caritatevole che salva il Regno quando gli stessi sabaudi erano indebitati quattro volte di più del Regno delle Due Sicilie?
La stessa Borsa di Parigi – l’allora Wall Street – valutava la rendita del Regno al 120%, la quota più alta di tutte. Un ultimo – interessante – dato, tratto da “Scienza delle Finanze” di Francesco Saverio Nitti scritto nel 1903 ci dice che il totale delle monete degli stati italiani al momento dell’annessione era di 668 milioni di lire, di cui ben 443,2 appartenenti al Regno delle Due Sicilie, che dunque possedeva una quantità di monete maggiore rispetto al resto degli stati annessi messi insieme.
Solo duri di comprendonio e persone in malafede dunque possono – dati alla mano – credere ancora alla favola che ci hanno fatto credere fino ad oggi e che tra qualche mese il nostro (sempre meno)Belpaese si appresterà a festeggiare. Come sostiene Pino Aprile, autore di “Terroni”, il libro che insieme a “Malaunità” ha riaperto la questione: «il Sud è il bancomat d’Italia. È il derubato che viene chiamato ladro». Come vedete, comunque, il Sacco del Mezzogiorno non è una questione aperta negli ultimi tempi. Ma proseguiamo con un po’ di dati sul “disastrato” Regno delle Due Sicilie:
  • nel 1734, anno in cui il Regno passa ai Borboni, la popolazione si aggira intorno ai 3.044.562 abitanti; un centinaio di anni dopo – nel 1856 – siamo già a 9.117.050 abitanti. In 122 anni la popolazione è tre volte il numero iniziale, non certo un indice evidente di povertà…
  • L’industrializzazione del Regno era – anch’essa – il triplo rispetto a quella piemontese, con un numero percentualmente uguale di occupati nell’agricoltura e nel commercio, con un tasso di povertà che – evidentemente – era tra i più bassi del paese.
  • Napoli, a pari merito con Vienna, era la terza città europea per numero di abitanti e ricchezza pro-capite, seguita a ruota da Palermo. Campania e Sicilia, oggi, sono le regioni più disastrate, basti pensare che la Campania oggi è all’ultimo posto per Pil pro-capite (dati Istat).
  • Non esistevano cose come la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta. Quelle furono portate più avanti, dagli “eroi” garibaldini: entrando a Napoli, infatti, il falso eroe dei due mondi – costretto a farsi allungare i capelli per coprire la pena comminata per un ben poco eroico furto in America Latina – si fece accompagnare dal capo della camorra e dal capo (corrotto) della polizia che aveva tradito i Borboni.
  • Dal 1863 al 1880 – cioè agli albori dell’epopea unitaria – emigrarono verso il Settentrione e l’estero qualcosa come 1.900.000 persone, segno di un netto peggioramento delle condizioni di vita. Per inciso il fenomeno dell’emigrazione iniziò a registrarsi proprio dopo l’unità. Come può dunque spiegarsi questo fenomeno se i piemontesi portarono “pace, amore e prosperità”?
A questo punto, quando ormai è chiaro che la favoletta fin qui conosciuta da tutti noi non è più storia plausibile bisogna porsi un altro interrogativo: chi ha voluto la fine del Regno delle Due Sicilie? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro di circa una trentina d’anni.
1830: sale al trono del Regno delle Due Sicilie Ferdinando II di Lapide Fenestrelle Borbone che, in un quinquennio, attua un vastissimo piano di riforme che prevede tra le altre cose la riduzione del suo appannaggio personale (traduzione: cessione di parte delle sue ricchezze), prosecuzione del risanamento economico con l’abolizione dell’accumulamento delle ricchezze (qui sembra essere chiaro il riferimento allo Statuto di San Leucio), riduzione delle imposte e creazione di istituti per far apprendere un mestiere ai mendicanti, cercando quindi di elevarli nella scala sociale; costruisce ponti, ferrovie e strade. Insomma: sotto Ferdinando II il Regno rischia seriamente di diventare il fulcro dello sviluppo mondiale. Nel 1836 il re inizia a volare alto: usufruendo del principio di libero scambio tanto osannato dagli inglesi concede l’estrazione dello zolfo (che al tempo aveva lo stesso valore strategico che oggi ha il petrolio) ai francesi, togliendo le concessioni proprio all’Inghilterra. Il perché è presto detto: la Francia pagava il doppio. Naturalmente questo non piace all’Inghilterra – che peraltro se non controllava direttamente la politica savoiarda ne influenzava parecchio le decisioni – che, con decisione del Primo Ministro Lord Palmerston inviò la flotta inglese nel golfo napoletano minacciando bombardamenti, sbarchi e depredazioni varie. Ferdinando II, invece che inginocchiarsi al volere della prima potenza mondiale ordinò a sua volta all’esercito di tenersi pronto. La prima “guerra fredda” conosciuta in Europa terminò solo grazie all’intervento di Luigi Filippo, sovrano di Francia. Da allora, però, l’Inghilterra giurò che lo scopo principale della sua politica estera sarebbe stato l’annientamento del Regno delle Due Sicilie.
Nel 1851 si assiste al secondo match: il deputato e ministro William Gladston diffonde delle lettere, derivanti dalla sua visita presso le carceri borboniche, in cui scrive: «Il governo borbonico rappresenta l’incessante, deliberata, violazione di ogni diritto(…)la negazione di Dio, la sovversione d’ogni idea morale e sociale eretta a sistema di governo». C’è solo un “piccolo ed insignificante” problema: come egli stesso ammetterà nel 1888, Gladston nelle carceri napoletane non c’è mai stato. Le lettere le ha scritte su commissione di Lord Palmerston (per la serie “corsi e ricorsi storici, secondo volume”: L’incidente del Tonchino e le armi di distruzione di massa di Saddam non sembrano anche a voi idee riprese da queste lettere?). Veniamo così al 1859, anno della morte di Ferdinando II – non poche voci parlano di avvelenamento – e salita al trono di Francesco II, contornato da amici e consiglieri collusi con i savoiardi e la massoneria. L’11 maggio dell’anno seguente lo sbarco garibaldino a Marsala è reso possibile solo dalla presenza di due navi battenti bandiera inglese (soventi erano infatti i raid in territorio borbonico) che danno tutto il tempo ai garibaldini di sbarcare in tutta sicurezza. Garibaldini che, grazie all’arma della corruzione di cui erano maestri, uccisero – non solo metaforicamente – il Sud.
5215 condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo ed oltre 1.000.000 di morti. È su queste cifre che si basa la nostra tanto festeggiata “unità”.
  • Case study: Fenestrelle. Hitler in confronto era un difensore dei diritti umani…
635 metri di dislivello, 3 chilometri di lunghezza complessiva per un’area di 1.300.000 metri quadrati. 3 forti, 7 ridotte e 28 risalti; una scala coperta di 4.000 gradini ed una reale di 2.500 e 14 ponti di collegamento. Situata a circa duemila metri d'altezza sulle montagne piemontesi tra la valle del Chisone e la Val di Susa, la Fortezza di Fenestrelle (o forse sarebbe meglio parlare al plurale) è la più grande struttura fortificata d’Europa (tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Muraglia cinese europea”). Costruita (in 122 anni) sotto il regno di Luigi XIV (il “Re Sole”) su consiglio del generale Nicola Catinat, forte Mutin – questo il nome della fortezza – fu conquistato dalle armate sabaude di Vittorio Amedeo II nell’agosto del 1708, dopo un assedio durato 15 giorni. Dal 1820 furono adeguate le strutture difensive, considerate insufficienti dal sovrano di Sardegna.   
«Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perché il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché abbia a torturare con la fame e con l’inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?» A chiederlo, in un’interrogazione parlamentare di cui mai fu autorizzata la pubblicazione negli atti ufficiali del Parlamento, è Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni. Già, perché a Fenestrelle, così come in tanti altri luoghi come quelli, si creavano quei lager a cui il regime nazista si sarebbe ispirato qualche secolo dopo. E ciò è ancor più macabro se si pensa che su un muro, ancora oggi, si può leggere la frase: «Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce», antesignano di quell'«Arbeit macht frei» all'ingresso dei lager nazisti e che nel 1861 il generale Manfredo Fanti chiedeva al Conte di Cavour se vi era lnon festeggio unitàa possibilità di noleggiare all'estero dei vapori per scortare a Genova 40.000 prigionieri di guerra (i treni anti-ebrei sono nati esattamente in quella data: 19 novembre 1861). Nel complesso di Fenestrelle, peraltro, era consuetudine di rompere vetri ed infissi allo scopo di «rieducare con il freddo i detenuti». Detenuti che, è bene ricordarlo, a ben altri climi erano abituati, per cui anche questa è da considerarsi niente di meno che una vera e propria tortura. A Fenestrelle furono deportati - è proprio il caso di dirlo - soldati del più diverso rango tra militi ed ufficiali, sacerdoti, fanciulli, uomini di cultura e semplici civili che avevano in testa un ideale e nel cuore la difesa della propria terra e la fedeltà ai borbonici. Iniziarono così a chiamare la Resistenza borbonica "brigantaggio", come oggi si definisce la Resistenza Mapuche, quella Sahrawi, quella kurda o la più nota Resistenza palestinese con l'appellativo di "terroristi". Fu la legge Pica a creare la prima pulizia etnica della storia, legge promulgata dall'allora governo Minghetti per «reprimere il brigantaggio nel Meridione». Una legge grazie alla quale, attraverso l'istituzione dei tribunali di guerra e la "deregulation" per i militari (che da quel momento ebbero carta bianca) poté darsi il via a quel genocidio mitigato solo in parte dall'inizio dell'emigrazione meridionale (da qui il passo: «primma brigante e doppo emigrante» della canzone di Eddy Napoli). Il trattamento riservato agli "ospiti" di Fenestrelle (così come ai reclusi di tutti gli altri lager sabaudi) oggi sarebbe considerato violazione dei diritti umani: cibo che definire tale è indice di una spiccata fantasia; cenci di tela come riparo per il freddo. Nessuno è mai riuscito a resistere ad un tale trattamento, ed i morti - essendo fuori da ogni discussione una degna sepoltura per dei "delinquenti sovversivi" - venivano buttati in delle grandi vasche di calce viva visibili ancora oggi. La prigionia veniva definita "villeggiatura per meditare sul regolamento militare", precorrendo i nostri tempi nei quali i reclusi dei Centri di Identificazione ed Espulsione sono definiti "ospiti" (e qui torniamo ai "corsi e ricorsi storici"...) Ci fu anche un tentativo di rivolta dei detenuti - era il 22 agosto del 1861 - che, scoperto in tempo, costò ai rivoltosi l'inasprimento delle pene con la maggior parte costretta con palle di 16 chili ai piedi, ceppi e catene varie. «Dal 2008 una targa in memoria di quei caduti svetta su quel luogo di pena a memoria e monito per le future generazioni, ed ogni anno la nostra presenza a Fenestrelle si rinnova per onorare le vittime dell’Unità d’Italia» - dice Fiore Marro, presidente del Comitato nazionale delle Due Sicilie - «perché gli italiani non dimentichino quale è stato il prezzo dell’Unità nazionale in termini di vite umane, e si prenda coscienza della dignità umana e del rispetto a cui hanno diritto soldati, ufficiali, uomini che hanno combattuto per una causa giusta: la difesa della propria patria contro una guerra non dichiarata e contro le promesse non mantenute che hanno portato, oggi, al declino del meridione» Dice Raphael Lemkin, che ne ha definito per primo il concetto: «Genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione. Esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale». Cosa sono dunque l'Unità d'Italia ed i 150 anni che l'hanno seguita sin qui se non un grande, immenso, genocidio? L'anno prossimo sarà il 150° anniversario. Ma non c'è assolutamente niente da festeggiare.


«Come ha potuto solo per un momento uno spirito fine come il tuo, credere che noi vogliamo che il Re di Napoli conceda la Costituzione. Quello che noi vogliamo e che faremo è impadronirci dei suoi Stati.» [Camillo Benso conte di Cavour all’ambasciatore Ruggero Gabaleone]