Comunicato dei detenuti del Cie di Ponte Galeria alla cosiddetta "società civile"

Stando ai "rumors", anche se per ora non ho ancora riscontri ufficiali (e mentre scrivo sto ascoltando "Silenzio Assordante", il programma sui C.I.E. di Radio Onda Rossa) Joy, la ragazza nigeriana che ha conosciuto in pratica quasi tutti i lager di questo paese e dove, in quello di via Corelli a Milano ha subito un tentativo di violenza da parte dell'ispettore Vittorio Addesso, è stata liberata. Per ora ve la lascio così, come "rumors" in attesa di avere qualcosa di più consistente in mano per scriverne. La libertà di Joy però non deve farci abbassare la guardia. I C.I.E. sono ancora aperti ed al loro interno si applicano regole talmente disumane da far impallidire persino il peggiore dei gerarchi nazisti. Riprendo (con preghiera di diffusione agli eventuali blogger e a tutti coloro che possono) il comunicato dei reclusi nel lager romano di Ponte Galeria

qui: http://www.zshare.net/audio/771245927a1dcc3b/ il servizio di Radio Onda d'Urto con Massimo D'Alessio, l'avvocato che difende Joy.

A tutte le persone che vivono in questo paese
A tutti coloro che credono ai giornali e alla televisione
  
Qui dentro ci danno da mangiare il cibo scaduto, le celle dove dormiamo hanno materassi vecchi e quindi scegliamo di dormire per terra, tanti tra di noi hanno la scabbia e la doccia e i bagni non funzionano.

La carta igenica viene distribuita solo due giorni a settimana, chi fa le pulizie non fa nulla e lascia sporchi i posti dove ci costrigono a vivere.

Il fiume vicino il parcheggio qui fuori è pieno di rane e zanzare che danno molto fastidio tutto il giorno, ci promettono di risolvere questo problema ma continua ogni giorno.

Ci sono detenuti che vengono dai CIE e anche dal carcere che sono stati abituati a prendere la loro terapia ma qui ci danno sonniferi e tranquillanti per farci dormire tutto il giorno.
 
Quando chiediamo di andare in infermeria perché stiamo male, la Auxilium ci costringe ad aspettare e se insistiamo una banda di otto/nove poliziotti ci chiude in una stanza con le manette, s’infilano i guanti per non lasciare traccia e ci picchiano forte.

Per fare la barba devi fare una domandina e devi aspettare, un giorno a settimana la barba e uno i capelli.

Non possiamo avere la lametta.

Ci chiamano ospiti ma siamo detenuti.

Quello che ci domandiamo è perché dopo il carcere dobbiamo andare in questi centri e dopo che abbiamo scontato una pena dobbiamo stare sei mesi in questi posti senza capire il perché.

Non ci hanno identificato in carcere? Perchè un’altra condanna di sei mesi?

Tutti noi non siamo d'accordo per questa legge, sei mesi sono tanti e non siamo mica animali per questo hanno fatto lo sciopero della fame tutti quelli che stanno dentro il centro e allora, la sera del 3 giugno, è cominciata così.
Ci hanno detto: «se non mangi non prendi terapie» ma qui ci sono persone con malattie gravi come il diabete e se non mangiano e si curano muoiono.

Uno di noi è andato a parlare con loro e l’hanno portato dentro una stanza davanti l’infermeria dove non ci sono telecamere e l’hanno picchiato.

Così la gente ha iniziato ad urlare di lasciarlo stare.

In quel momento sono entrati quasi 50 poliziotti con il loro materiale e con un oggetto elettrico che quando tocca la gente, la gente cade per terra.

Le guardie si sono tutte spostate sopra il tetto vicino la caserma dei carabinieri qui dentro, dove sta il campo da calcio.

Dalla parte sinistra sono entrati altri 50 poliziotti.

Quando abbiamo visto poliziotti, militari, carabinieri, polizia, finanza e squadra mobile ufficio stranieri (che sono i più infami) sui tetti, uno di noi ha cercato di capire perché stavano picchiando il ragazzo nella stanza.

«Vattene via sporco» un poliziotto ha risposto così.

In quel momento siamo saliti tutti sopra le sbarre e qualcuno ha bruciato un materasso e quindi i poliziotti si sono spaventati e sono andati fuori le mura per prendere qualcuno che scappava.

Da quella notte non ci hanno fatto mangiare né prendere medicine per due giorni.

Abbiamo preso un rubinetto vecchio e abbiamo spaccato la porta per uscire e quando la polizia ha visto che la porta era aperta hanno preso caschi e manganelli e hanno picchiato il più giovane del centro, uno egiziano.

L’hanno fatto cadere per terra e ci hanno picchiati tutti anche con il gas, hanno rotto la gamba di un algerino e hanno portato via un vecchio che la sua famiglia e i sui figli sono cresciuti qui a Roma, hanno lanciato lacrimogeni e hanno detto che noi abbiamo fatto quel fumo per non far vedere niente alle telecamere. Così hanno scritto sui giornali.

Eravamo 25 persone e alcune uscivano dalla moschea lontano dal casino, ma i giornali sabato hanno scritto che era stato organizzato tutto dentro la moschea e ora vogliono chiuderla.

La moschea non si può chiudere perché altrimenti succederebbe un altro casino.

Veniamo da paesi poveri, paesi dove c'è la guerra e ad alcuni di noi hanno ammazzato le famiglie davanti gli occhi.

Alcuni sono scappati per vedere il mondo e dimenticare tutto e hanno visto solo sbarre e cancelli.

Vogliamo lavorare per aiutare le nostre famiglie solo che la legge è un po' dura e ci portano dentro questi centri.

Quando arriviamo per la prima volta non abbiamo neanche idea di come è l'Europa.

Alcuni di noi dal mare sono stati portati direttamente qui e non hanno mai visto l'Italia.

La peggiore cosa è uscire dal carcere e finire nei centri per altri sei mesi.

Non siamo venuti per creare problemi, soltanto per lavorare e avere una vita diversa, perché non possiamo avere una vita come tutti?

Senza soldi non possiamo vivere e non abbiamo studiato perché la povertà è il primo grande problema.

Ci sono persone che hanno paura delle pene e dei problemi nel proprio paese.

Per questi motivi veniamo in Europa.

La legge che hanno fatto non è giusta perché sono queste cose che ti fanno odiare
veramente l'Italia.

Se uno non ha mai fatto la galera nel paese suo, ha fatto la galera qua in Italia.

Vogliamo mettere a posto la nostra vita e aiutare le famiglie che ci aspettano.

Speriamo che potete capire queste cose che sono veramente una vergogna.


Un gruppo di detenuti del CIE di Ponte Galeria (Roma)