Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.

«Vince il partito dell'astensionismo». «È tutta colpa di Beppe Grillo». «Il paese ha completamente svoltato a destra».
Queste sono le tre notizie di una certa rilevanza del dopo elezioni. Stupito dei risultati? Direi proprio di no.
Io a votare non ci sono andato, per tanti motivi: ed il fatto che nell'ultimo periodo abbia vissuto una definitiva svolta anarchica non è neanche quello più importante. Ma prima di procedere voglio commentare l'ennesima barzelletta che vanno raccontando gli “alti generali” del Partito Democratico, che addossano la sconfitta a Beppe Grillo. Io credevo che anche per i partiti valesse quel concetto di “nomen omen”, cioè quell'idea di epoca Romana, con la quale si legava il nome al destino del nascituro, ma a quanto vedo non è così. Io quell'opera fatta da Beppe Grillo la chiamo semplicemente “concorrenza elettorale”, cosa che un partito che già dal nome invoca la democrazia dovrebbe vedere di buon grado, almeno come sfida a fare di più e – soprattutto – a far meglio. E invece più passa il tempo e più sembra che quell'aggettivo sia stato messo lì per ricordare ai piani alti qualcosa che, altrimenti, scorderebbero. Il problema non è Grillo, che per quanto mi sia particolarmente inviso – ed i lettori non occasionali del blog lo sanno – sta quantomeno tentando di far entrare un po' di gente nuova nel panorama politico. Gente e soprattutto idee nuove, quelle che mancano a persone che fanno politica da 30,40 anni (cioè la quasi maggioranza dei politici di primo piano che si rifanno all'area di sinistra) e che sarebbe anche l'ora si dedicassero a qualche attività di altra natura, tipo la pesca o l'uncinetto, che avrebbero sicuramente un impatto minore sulle sorti del Paese.

Anche se non avessi abbracciato gli ideali di Enrico Malatesta, Michail Bakunin, Pierre-Joseph Proudhon e tanti altri, questa volta alle urne non ci sarei andato ugualmente, principalmente perché ho sempre odiato quella concezione del “vai a votare, vota anche il meno peggio, ma vota”, quella moda tutta italiana di turarsi il naso ed apporre una X su questo o quest'altro simbolo, a seconda di ordini di scuderia nei quali la c.d. “base” non ha alcuna voce in capitolo. Io vado a votare solo se c'è qualcuno che mi convince, come non ho avuto problemi – qualche mese fa – ad attivarmi in prima persona per Ignazio Marino durante le primarie per l'elezione del segretario del PD. Ma poi quegli stessi ordini di scuderia, quelle stesse strategie che non capisco e mai capirò,
hanno portato su quella poltrona un allineatissimo Bersani, e su questo stendo un pietosissimo velo bianco. L'unica risposta che mi è piaciuta è stata quella di Martina Veltroni – figlia dell'ex segretario – che si è chiesta come mai nessuno, ad oggi, abbia abdicato al proprio potere all'interno del partito nonostante sia ormai evidente lo scollamento tra i vertici e la base. Ma si sa che su certi personaggi la colla per le poltrone fa decisamente presa.

Non sono andato a votare perché – detta senza giri di parole – non avrei saputo chi votare. Perché l'area di sinistra ha candidato personaggi ai quali, in base a quel che ho avuto modo di leggere e vedere in varie occasioni, mai avrei concesso il mio beneplacito. Sono due gli esempi – sul piano nazionale – che mi preme qui riportare: Mercedes Bresso ed Enrico Rossi. L'ex presidente della Regione Piemonte ha fatto secondo me un “piccolo” quanto fondamentale errore: mettersi contro la sua gente. Come molti di voi sapranno – visto che ne ho anche parlato in qualche precedente post – forte è in Piemonte il fronte del NO-Tav, cioè di quella gente che, a ragione, non vuole che l'alta velocità gli passi sotto il terrazzo solo per permettere alla nuova classe alto-borghese di spostarsi in breve tempo da una città all'altra. La signora Bresso, invece, in base a quella logica che vuole i partiti asserviti al potere economico e quindi alle grandi lobby di potere – anche quelle che vogliono la Tav – si è sempre espressa in favore di questa soluzione.
Come mi insegnano i politologi, nell'epoca post-ideologica nella quale non si vota più per affezione al partito – fortunatamente, dico io – lo schierarsi con i Padroni e non con la gente diventa un prezzo da pagare decisamente alto e salato, più o meno quanto l'eccessivo costo della Tav (circa il quadruplo del costo che ha negli altri paesi, ma questa è un'altra storia...).
Faccio comunque le mie più sentite condoglianze ai piemontesi, che adesso si ritrovano Cota come Presidente: tra la padella e la brace stavolta era davvero difficile non bruciarsi.
Ma io sono toscano e non piemontese, quindi guardiamo all'offerta che offrivano le elezioni nella mia terra. Anche in questo caso l'area di sinistra si è affidata ad un personaggio che con la sinistra come la intendo io ha poco a che fare. Si chiama Enrico Rossi – ha vinto le elezioni – e ha detto sì alla privatizzazione dell'acqua, agli inceneritori ed all'apertura di un Cie (Centro di Identificazione ed Espulsione) nel territorio che dovrà amministrare per i prossimi cinque anni.

Anche qui la domanda che mi faccio da un po' di tempo, più o meno da quando la sinistra è passata dall'epoca post-comunista a quella proto-capitalista (cioè ha avallato in tutto e per tutto il volere di banche, grandi industrie e potentati economici vari) è la stessa: «E la sinistra? Dov'è?». La mia visione archetipica di “sinistra”, seppur ormai datata, vede ancora la forte contrapposizione tra le due categorie, e visto che io alle mie (poche) “anticaglie” ci sono anche abbastanza affezionato, non posso votare per chi non fa gli interessi della gente.

Se non fossero sufficienti la privatizzazione dell'acqua e gli inceneritori, quel che più mi infastidisce è l'apertura verso i lager introdotti per decretare che la vita e la morte sono condizioni che si decidono per via geografica. Di immigrati rinchiusi in quei luoghi se ne dovrebbe parlare tutti i giorni, ma siete troppo impegnati a cercare il “nuovo Prodi” - come leggevo stamattina su La Stampa – per occuparvi dei problemi veri. Se proprio ne volete uno io vi sconsiglio Mario Draghi, perché è un uomo delle banche (leggasi alla voce Goldman Sachs: http://economicamente.blogosfere.it/2006/10/draghi-goldman-sachs-e-le-privatizzazioni.html) e se volete prendere Vendola – un ambientalista col petrolio, come denuncia Gianni Lannes in questo articolo [http://www.italiaterranostra.it/?p=3791] - come leader fatelo pure, basta che qualcuno si svegli dal coma e si ricordi che la politica si fa tra e per la gente, non per quelli che siedono nei consigli d'amministrazione!

Dicevo che chi avalla i Cie non potrà mai avere il mio voto – e ad essere sinceri credevo che mai avrebbe potuto avere quello di chi si definisce di “sinistra” - ed il perché ve lo spiego raccontandovi una storia:

Martedì 30 Marzo 2010. Roma, zona di Ponte Galeria.«È iniziato tutto verso le 22,30» – racconta R, un “ospite” del Cie – «quando la polizia ha picchiato uno dei ragazzi che aveva tentato la fuga insieme ad altri quattro o cinque che sono riusciti a scappare. Allora è esplosa la rabbia. Alcuni detenuti hanno iniziato a lanciare agli agenti delle bottigliette d'acqua, poi hanno divelto le porte ed i bagni e hanno dato fuoco ai materassi e alle coperte e sono saliti sui tetti. Saranno stati una ventina di persone». R. è nel nostro paese dal 1984, è appena uscito dal carcere dopo aver scontato una condanna di un anno per spaccio. Secondo i proclami della propaganda del Potere dovrebbe essere rimpatriato, ma se ciò avvenisse potrebbe anche essere una liberazione per lui, perché R sta per entrare in quel giro vizioso che qualcuno chiama “sicurezza”: è in Italia da 26 anni e non è stato ancora identificato, dopo un anno di carcere è stato portato nel Cie romano – cioè la forma massima di libertà per chi non è nato “nella nostra bella e giusta Patria” - e probabilmente tra qualche giorno si ritroverà con un foglio di via in mano. La durata di questo “foglio di esistenza” è di cinque giorni, dal sesto – se ti acchiappano – sono tenuti a rispedirti di nuovo in carcere perché clandestino, e da lì di nuovo nei lager. E poi ancora e ancora, finché tornare nel tuo paese di origine, magari un paese in cui sei scappato perché in guerra o perché vittima di sfruttatori, ti sembra quasi una liberazione.

Se non avete idea di cosa sia l'Inferno provate a leggere i resoconti da questi posti, visto che è praticamente impossibile riuscire ad entrarci (a meno di non cancellare la propria identità per diventare Bilal Ibrahim, nome di fantasia dietro al quale si nasconde il giornalista de L'Espresso Fabrizio Gatti):

«Qualche giorno fa un recluso ha sbattuto la testa contro il muro per la disperazione e un altro che protestava è stato picchiato tanto forte che gli hanno rotto i denti. Riempito di botte come quei ragazzi che avevano provato a scappare salendo sui tetti. Poi ci sono i casi di autolesionismo: ogni sera qualcuno ingoia una lametta. Se ti lamenti, minacciano di chiamare la polizia, l'esercito e i carabinieri. Se chiedi di essere curato o portato in ospedale, ti dicono che stai fingendo perché vuoi scappare. Sequestrano tutto: shampoo, sapone e dopobarba, perché bisogna comprare solo quello che forniscono i gestori del centro (la cooperativa Auxilium, che ha sostituito la Croce Rossa Italiana, rea di connivenze con i carcerieri, ndr). Sequestrano anche gli accendini, ma allo spaccio vendono i cerini, e forse non hanno capito che anche con quelli si può accendere un fuoco».

… O forse è proprio quello lo scopo dei “democratici” carcerieri.

La rivolta di martedì ha coinvolto solo il settore maschile. Nel settore femminile nessuna si è accorta di nulla, per effetto delle medicine (per lo più psicofarmaci) che vengono somministrate loro apertamente o con l'inganno dalla direzione. Già, la sezione femminile: fino a ieri mattina tra le recluse a Ponte Galeria c'era anche Joy, la 28enne nigeriana diventata il simbolo di questi deportati del XXI secolo. Per chi non ne conoscesse la storia:

Siamo nel luglio dello scorso anno. Joy è rinchiusa nel Cie di via Corelli a Milano, dove subisce un tentato stupro da parte dell'ispettore capo di polizia Vittorio Addesso che viene allontanato solo grazie all'intervento di Hellen, la compagna di stanza di Joy. Ad agosto scoppia una delle tante rivolte che si verificano in questi luoghi – dettate spesso, come abbiamo visto, da una situazione che definire disumana sarebbe riduttivo – per la quale vengono arrestati nove uomini e cinque donne, tra cui anche Joy ed Hellen. Durante il processo Joy denuncia il tentato stupro, chiamando in causa anche un esponente della Croce Rossa di Milano, che ha smentito il tutto avallando la tesi difensiva dello “scherzo”. Per questo motivo Joy si fa sei mesi di carcere per calunnia ed una volta uscita dal carcere rientra nel circuito securitario dei Cie, prima a Modena e, nell'ultimo periodo, a Ponte Galeria.

Joy diventa un caso. Perché nel frattempo sempre più persone iniziano a conoscerne la storia, la sua come quella di tutti quei deportati che vengono democraticamente definiti “ospiti” (il ritorno nei Cie è stato fatto di nascosto e nel cuore della notte, per evitare a Joy, Hellen e le ragazze arrestate con loro di incontrare le tantissime persone che ne attendevano la scarcerazione). Mentre Joy, Hellen e le tante persone di cui mai conosceremo i nomi vengono segregati in questi luoghi, all'esterno la polizia inizia a reprimere tutti i tentativi di salvare Joy, come avviene il 25 novembre dello scorso anno, quando è stato manganellato un presidio di donne che volantinavano davanti alla stazione Cadorna di Milano per denunciare quel che avviene a queste persone.

Conoscere la loro storia mi fa venire in mente due nostri connazionali che, in altre epoche ed altre latitudini, hanno vissuto la stessa prepotenza del Potere, solo perché considerati “non conformi” alla perbenistica società borghese del tempo: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, gli anarchici italiani uccisi dal Potere americano negli anni '20 solo perché “anarchici ed italiani”. Ieri era questa la colpa, oggi – nel nostro democratico paese – la colpa è quella di cercare un futuro migliore, o tentare di scappare dalla guerra o dagli sfruttatori come nel caso di Joy, (de)portata in Italia con l'illusione di un lavoro e messa sulla strada come avviene a migliaia e migliaia di ragazze di cui mai si legge sugli organi di informazione borghesi, troppo occupati a riempire pagine e minuti con il nulla più totale.

Loro pagano, pagano con il ritorno a casa, con la carcerazione o la deportazione nei Cie, gli altri – quelli che gestiscono i business criminali – rimangono impuniti, e spesso ce li ritroviamo anche seduti al fianco delle o nelle istituzioni, come gli ultimi mesi hanno dimostrato.

Ed anche per la rivolta di martedì a pagare saranno i deportati, nonostante si possano sentire evidenti i colpi di pistola sparati per placare gli animi (ovviamente smentiti dai carcerieri).


tra tutti a pagare di più sarà Joy, l'unica ad essere trasferita nuovamente al Cie di Modena, dove – a differenza di quel che avviene a Roma e Milano – non è possibile avere con sé telefoni cellulari. Questo vuol dire solo una cosa: vogliono ridurla al silenzio, così nessuno potrà più urlare che nei Cie si stupra.

L'idea su questo fronte che ha il nuovo Presidente della Regione Toscana è quella di creare non un unico Centro per tutta la regione, ma quella di crearne tantissimi, piccoli da distribuire sul territorio (per ora si parla di Grosseto, Pisa, Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino e Prato come sedi), così da avere un controllo più democratico ed umano su questi luoghi, almeno secondo la versione ufficiale. La versione ufficiosa è che così le rivolte potranno essere controllate meglio, così da far credere a quella stessa gente che si sente “cittadino” solo quando oblitera il proprio diritto di voto che i Centri di Identificazione ed Espulsione sono i luoghi più belli del mondo. Belli come l'Inferno, naturalmente.

E se credete ora che tutto sia come prima
perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.
[La canzone del maggio - Fabrizio De André]